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L'inno alla meraviglia di David Almond in "Skellig"

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Skellig
di David Almond
Salani, 2018

Traduzione di Paolo Antonio Livorati

pp. 151
€ 13,00 (cartaceo)
€ 5,99 (ebook)
 
È il mistero ciò che rende speciale il libro di David Almond. Chi è, cos’è Skellig, la creatura pallida e senza tempo che Michael trova in un angolo del suo garage, ricoperta da polvere e mosconi morti? Trasferitosi da poco in una casa fatiscente, ancora tutta da sistemare, l’attenzione dei genitori tutta rivolta a una sorellina nata prematura e forse in pericolo di vita, il ragazzino sente su di sé tutto il peso del mondo e non riesce a confidare a nessuno le sue preoccupazioni. 
Volevo solo che andassero via, e volevo che rimanessero. Volevo di nuovo giocare come giocavo una volta, volevo che tutto fosse di nuovo com’era una volta.
L’essere che giace immoto, agonizzante, associato istintivamente alla voce roca, graffiata che gli dà la bella lettura di Andrea Oldani, non è un mostro, anche se ha abitudini igieniche molto discutibili, mangia avanzi di cibo (meglio se cinese) e beve di gusto birra scura, “il nettare degli dei”; non è un uccello, nonostante la leggerezza delle sue ossa, le ali bianche che improvvisamente si dispiegano e il fatto che gli altri uccelli lo nutrano come fosse uno di loro. Può essere un angelo, ma il pensiero balena solo fugacemente nella mente del protagonista. Quello che è certo è che la creatura, che dice di chiamarsi Skellig, appare legata alle sorti della sorellina, e nella mente di Michael in qualche modo le si sovrappone. Sono, del resto, due figure fragili, che hanno bisogno di accudimento, che bisogna strappare alla morte a tutti i costi.
Occuparsi di Skellig è per il bambino anche un modo per reagire al senso di impotenza dato dal ricovero della piccola in ospedale, dalla pur giustificabile distrazione dei genitori. Lo affianca in questa operazione Mina, sua coetanea e vicina di casa, che gli pare determinata, intelligente, detentrice di tutte le risposte, e che guarda con occhi stupiti le cose del mondo, rifuggendo le verità precostituite e la nettezza della divisione tra sogno e realtà. A Mina non importa cosa pensano gli altri, Mina coltiva il suo pensiero autonomo, ama William Blake e plasma figure nella terracotta. Insieme a lei, Michael si sente meglio, accettato e non giudicato, libero di calare la maschera.
C’è tutto, in Skellig: la famiglia, il dolore di fronte alla malattia di chi si ama, l’amicizia, il bullismo embrionale di chi semplicemente non capisce la sensibilità altrui, una riflessione sul valore dell’istruzione, la levità di una lingua plastica, che riesce a trasfigurare il reale contaminandolo con l’onirico e a restituire in scene meravigliose l’ebbrezza del volo.
È un romanzo di formazione, in cui il protagonista, grazie al confronto con la nuova amica e a una consapevolezza progressiva dei suoi sentimenti, impara ad accettare che esistono “cose che non si possono sapere” e a vedere quanto di straordinario c’è al mondo. È un romanzo sulla meraviglia, che progressivamente contagia anche il lettore, sia esso giovanissimo (e in tal senso il testo è perfetto a partire dalle scuole medie) o adulto. 
Cos’è Skellig? Se lo chiede continuamente Michael e ce lo chiediamo anche noi, ma mentre le pagine si susseguono appare chiaro che la risposta non conta poi così tanto, perché ciò che conta, dopotutto, è solo ciò che lascia, ciò che insegna.
    
Carolina Pernigo