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"Viaggio al Congo": il colonialismo in Africa secondo André Gide

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Viaggio al Congo


Viaggio al Congo
di André Gide
Marsilio, Marzo 2022

Traduzione di Giordano Tedoldi

pp. 256
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


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Il resoconto di questo viaggio, che Gide compie tra il 1925 e il 1926, è tutto permeato della sottile linea di incomprensione che lega un qualunque uomo a una cultura altra. Da una parte, c’è la volontà di denuncia per quello che inaspettatamente Gide trova in termini di sfruttamento e di soprusi,  perpetrati dai colonizzatori ai danni della popolazione locale; dall’altra, la voglia di raccontare un viaggio alla maniera di Conrad. 

È la venerazione per l’autore di “Cuore di tenebra” quella che  accompagna le descrizioni delle tappe più tecniche del viaggio. D’altronde c’è la scoperta di un mondo che lo scrittore agogna dall’età di vent’anni e che riesce a vedere dopo i cinquanta. Marsilio ci ripropone una nuova edizione di questo libro dello scrittore francese, che ha il merito di portare alla luce nuove sfumature dell’opera.


Il libro si apre al terzo giorno di navigazione in mare, quando la monotonia del paesaggio e le ore vuote e indistinte trasmettono un’indicibile languidezza. Tuttavia, questa monotonia che lo accompagna gli permette, una volta fuori dalla savana boscosa, di osservare le pratiche orrende non tanto dei colonialisti francesi, ma dei loro concessionari, che truffano i nativi e perpetrano, impuniti, soperchierie e violenze. Questo è quello che anche il traduttore Tedoldi ci riporta, questo senso di precario equilibrio tra due mondi, il mondo dello scrittore e quello del giornalista. E tra questi mondi così diversi si perde lo scrittore che insegue farfalle e si rammarica di non poterle catturare.


È a questo punto che il diario diventa quello che era non solo all’epoca della pubblicazione, ma anche oggi: una guida che mette in guardia dai pericoli del colonialismo.

Si giudica uno sciagurato amministratore coloniale, spedito troppo giovane e senza sufficienti istruzioni in un posto remoto. Ci sarebbero voluti ben altra forza di carattere, valore morale e intellettuale. Mancando questi, per farsi obbedire dagli indigeni, si ricorre alla forza, incerta, incontrollata, spudorata. (p. 28)
Anche quando si tratta di elogiare la realizzazione di una strada non si può fare a meno di notare una doppia posizione dello scrittore, che, se da un lato ammira l'opera faraonica portata a termine, dall'altra giustifica il facchinaggio, perché "questo regime spaventoso, ma temporaneo, era accettato in vista di un bene più grande", molto più feroce il suo giudizio nei confronti delle Grandi Compagnie Concessionarie, che fanno solo arricchire qualche ricco azionista. Poi il viaggio nella foresta diventa sempre più duro e difficile e questo rende più sferzanti i giudizi sugli usi e i costumi. A fine dicembre e a quasi metà libro ecco uno dei giudizi figli del suo tempo, che potrebbe sembrare negativo, ma che invece ci rivela quanta distanza ci sia tra l'Occidente e l'Africa, nella mente di questi viaggiatori:
Abbacinati dallo splendore, dall'intensità della luce del mattino: sono arrivato dall'altra parte dell'Inferno. Fort-Archambault, provincia islamica dove, oltrepassata la barbarie, si entra in contatto con un'altra civiltà, un'altra cultura; cultura indubbiamente ancora  alquanto rudimentale, ma già caratterizzata da un sentimento di nobiltà, da un senso della gerarchia, e da una spiritualità senza scopi tangibili che si esprime nel gusto per l'immateriale. (p. 183)
Il senso perenne di questi resoconti resta una sorta di conciliazione dell'inconciliabile, ma anche nei momenti più duri quello di Gide di fronte all'Africa resta uno sguardo incantato, connotato di forti passioni, di grandi emozioni, ed è lo sguardo che anche oggi vorremmo avere su mondi inesplorati o da riscoprire, con la profonda umiltà di comprendere ciò che vediamo.

Samantha Viva