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Un grido costato una vita: il racconto di Anna Politkovskaja in “La Russia di Putin”

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La Russia di Putin

di Anna Politkovskaja
Adelphi, 2022

1ˆedizione 2004

Traduzione di Claudia Zonghetti

pp. 375
€14 (cartaceo)
€7,99 (ebook)


Io vivo la vita e scrivo di ciò che vedo (p. 14)

Una voce libera e coraggiosa, quella di Anna Politkovskaja in La Russia di Putin: un racconto e un reportage che fanno di quest’opera un punto di partenza per capire non un periodo qualsiasi, ma la storia contemporanea.

Anna Politkovskaja parte dalle guerre cecene e, attraverso testimonianze e verbali dell’epoca, ci racconta gli abusi di potere e di carne che sono accaduti durante quegli anni e così scopriamo numerosi aspetti che la propaganda putiniana tende, ovviamente, a nascondere e a tacere.

Putin, intanto, martella il Paese con i suoi slogan: la rinascita dell’esercito è un dato di fatto e lui solo, Putin, ne è l’artefice perché ha rimesso in piedi un esercito umiliato (da El’ cin) e offeso […] (p. 17).

Siamo davanti a un diario dettagliato e non superficiale, che prende in esame punto per punto tutti i caposaldi governativi: dall’esercito e i suoi generali al sistema giudiziario fino ai sistemi di corruzione e illegalità. L’autrice non elemosina dettagli e testimonianze sia di chi è dalla parte del potere sia di quelli che hanno subito profondi lutti e che tutt’ora pensano a come poter vivere, o meglio, sopravvivere.

Ho letto questo libro perché è necessario capire; capire come sia stata possibile l’ammirazione che molti hanno avuto verso il leader russo e come sia stato possibile arrivare a quello che, oggi, sembra essere un punto di non ritorno. Nella Storia non sono mai mancati esempi di questo genere, purtroppo, ma quello che racconta Anna Politkovskaja non accade cento anni fa e, dunque, a maggior ragione, il nostro sgomento non può che aumentare.

Le indagini accurate della giornalista testimoniano un governo di soprusi e prevaricazioni che sono all’ordine del giorno e riesce, però, anche a smascherare la macchina della propaganda, che non solo tende a screditare gli oppositori, ma anche ad annientarli fisicamente e moralmente. La propaganda riesce anche a incrementare il consenso del popolo. È sistema sociale e governativo che intacca la vita di ogni singola persona nella sua quotidianità e nella sua socialità: non c’è libertà d’espressione, di pensiero e di stampa e, dunque, carpire la verità non è per niente un lavoro semplice.

Siamo ripiombati nelle tenebre da cui già una volta ne abbiamo cercato di venire fuori nei lunghi decenni dell’era sovietica. Abbiamo notizia di un numero di un numero sempre maggiore di casi in cui l’FSB si inventa procedimenti penali ricorrendo alla chiave ideologica che gli è più necessaria […]. Sono talmente tanti, ormai, da essere la regola, e non l’eccezione (p. 68).

Ed è per questo che il libro di Anna Politkovskaja è illuminante sotto molti aspetti: passa dalla sua passione e dal suo amore verso la Russia che non ha mai vacillato fino alla volontà di scavare nei meandri più fangosi per cercare e, soprattutto, raccontare la verità. A noi sembrerà scontato una giornalista che svolge con passione il proprio lavoro e racconta quello che ha trovato, ma in alcuni paesi questo è un atto di profondo coraggio e di eroismo che può costare la vita, come nel caso di Anna, uccisa il 7 ottobre del 2006 a Mosca. Un omicidio che attirò l’attenzione del mondo, ma che, alla fine, non sconvolse nessuno.

Perché ce l’ho tanto con Putin? Per tutto questo. Per una faciloneria che è peggio del latrocinio. Per il cinismo. Per il razzismo. Per una guerra che non ha fine. Per le bugie. Per i gas nel teatro Dubrovka. Per i cadaveri dei morti innocenti che costellano il suo primo mandato. Cadaveri che potevano non esserci. Io la penso così. Altri avranno punti di vista differenti (p. 354).

Le parole che, con tanto amore, Anna scrive, sono un grido ai posteri. Non si tratta di parole fredde e gelidi resoconti, Anna mette del suo e lo fa, non nascondendosi dietro ai verbali o alle sentenze giudiziarie; non mancano mai, infatti, le sue impressioni o le sue emozioni. Oscilla tra paura, rabbia, angoscia e tormenti per una situazione che, evidentemente, non può cambiare da sola, ma che, dall’altra parte, non può restare inerme a osservarla passivamente.

È qui il coraggio della sua scrittura, che non si vuole elevare alla verità assoluta, quella cui credere ciecamente, ma è “solo” una testimonianza o, meglio, come la definiva lei stessa: «Un libro di appunti appassionati a margine della vita come la si vive oggi in Russia» (p. 14).

E la parola chiave è “margine”, perché quello di Anna, come anche altri hanno provato a fare prima e dopo di lei, è un lavoro che resta defilato dalla società, appunto ai margini: non tutti sono preparati ad ascoltarlo e a leggerlo e non tutti sono pronti a prenderne atto. Non si risparmia lei in prima persona e non risparmia, nemmeno, le critiche verso i suoi concittadini.

È la storia di un paese che ha fatto della propaganda la sua vita e strumento principale, è la storia di una donna che ci ha rimesso la vita per raccontarlo, è la storia di un uomo che sfrutta un popolo per i suoi interessi personali ed è, infine, uno sguardo sul mondo di oggi che non può più essere ignorato. Non c’è quindi nessuna pretesa nei confronti del lettore, a cui non resta altro che tirare le proprie conclusioni.

Giada Marzocchi