in

«Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia» di Enrico Macioci: da Alfredino a Francesco

- -

Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia
di Enrico Macioci
Terrarossa, 2022 

pp. 102
€ 14 (cartaceo)
€ 7,50 (ebook)

Vedi il libro su Amazon

Gli adulti se la bevono perché gli torna comodo: i bambini sono arnesi complessi, piccole magie ambulanti che non hanno ancora dimenticato abbastanza né capito abbastanza. Gli adulti invece hanno capito bene una cosa debbono dimenticare di essere stati bambini. (p 73)

Il passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza, e da questa all’età adulta, è un percorso lungo e complesso che prevede il confronto con gli altri (i genitori in primis, poi la scuola, gli amici, le istituzioni), l’accettazione di un mondo imperfetto (anche qui, in primo luogo bisogna accettare l’imperfezione dei genitori e la loro mortalità) e l’assunzione di responsabilità delle proprie azioni (farsi cittadini, rendersi autonomi). È un processo lungo ma è altrettanto vero che alcuni eventi capitali premono sull’acceleratore e a volte fanno saltare diversi step in pochi momenti. Pensiamo alla morte improvvisa di un padre, a una guerra che infuria mentre stiamo giocando con l’amico di scuola, a una malattia incomprensibile che ci taglia via gli anni più ingenui.

Per Francesco, bambino di sei anni che vive a L’Aquila, la fine di questa età d’oro coincide con la sparizione dell’amico di infanzia Christian, che avviene in contemporanea alla tragedia di Alfredo Rampi, caduto in un pozzo artesiano il 10 giugno 1981 e deceduto una manciata di ore dopo. I giorni che vanno dal 10 al 13 giugno sono per il piccolo Francesco un incubo, nonché un’occasione per intravedere uno spiraglio nella porta lasciata accostata sulla vita adulta. Sono tre giorni di riflessioni, filtrate certamente dal Francesco ultraquarantenne che racconta la storia guardandosi indietro e attribuendo a gesti ed eventi una luce diversa, velata di malinconia come spesso capita guardando le foto ingiallite di un’epoca conclusa.

È proprio la malinconia a guidare le parole dell’uomo che osserva il bambino che è stato. Il Francesco adulto, forse una controparte letteraria di Enrico Macioci, guarda indietro a Francio (così lo chiamava suo padre, facendo inalberare sua madre) in un periodo in cui tutto doveva ancora accadere: l’amichetto Christian doveva ancora sparire per tre giorni, prima di sparire definitivamente dalla sua vita; i genitori dovevano ancora separarsi; L’Aquila, città natale, doveva ancora essere devastata dal terremoto del 2009. Ma quella di Francesco non è la tipica infanzia malinconica in cui immergersi come fosse un bagno caldo. Non è un giardino profumato e assolato in cui sdraiarsi per qualche ora prima di reimmettersi fra le strade della vita attuale. L’infanzia di Francesco, vista con la malinconia dell’età adulta, è piuttosto costellata di chiaroscuri. È il luogo dei ricordi belli, sì, ma è anche il luogo dove sono stati piantati i semi dei disastri che si sono susseguiti. Tutto doveva ancora accadere, è vero, ma tutto ciò che sarebbe accaduto da lì in avanti era già presente in nuce, era già lì, sotto gli occhi di tutti: i litigi dei genitori che non fanno altro che rimpallarsi un odio sotterraneo erano lì, così come presenti erano quelle crepe nei muri, le stesse «che si sarebbero aperte nella luce rotta d’un mattino di inizio primavera del 2009» (p. 81).

Sono proprio questi i due elementi che spiccano nella scrittura di Macioci: la presenza di una malinconia che non è solo un nido a cui tornare e la capacità di connettere il passato con il presente, di riuscire a vedere quello che è oggi alla luce di quello che è stato ieri. In un mondo come il nostro, che tende a suddividere tutto per epoche storiche (il medioevo, l’età moderna, la storia contemporanea), e che tende a dimenticare che quel che siamo oggi lo dobbiamo a quel che siamo stati ieri, Macioci compie il difficile passo di unire i punti, di far risalire alle cause gli effetti, leggendo la storia – personale e collettiva – come un unico percorso senza soluzione di continuità. Il risultato è un effetto straniante ma catartico al contempo. È come trovare la risposta improvvisa a una domanda che ci si è posti per lungo tempo, una di quelle domande fondamentali che ci tormentano la notte prima di andare a dormire.

Macioci scrive dunque un libretto agile ma corposo, ripescando dal passato una storia che l’Italia intera non ha dimenticato e che è conosciuta anche da chi non ha vissuto la tragedia di Alfredino, in quei giorni di giugno del 1981. Da quella storia – da questo pretesto metaletterario – tira fuori qualcosa di bellissimo.

David Valentini