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Perdersi nelle storie altrui: «Il confine» di Silvia Cossu

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Il confine
di Silvia Cossu
Neo edizioni, 2022

pp. 154
€ 15 (cartaceo)

Siamo tutti condizionati dalla necessità di mostrare chi siamo molto più di ciò che ci piaccia ammettere. (p. 20)

Poco prima di questa affermazione, la protagonista/narratrice del romanzo si lancia in una affermazione ancora più perentoria, sottolineando come «La vanità è il motore morale del nostro tempo». E dopotutto chi meglio di lei, che di professione scrive biografie per personaggi dal passato più o meno glorioso e dal presente più o meno devastato, può essere certa di una verità del genere? Uscendo un istante dal romanzo per avere conferme nell’aldiqua del mondo reale, ogni giorno sui social troviamo esempi della nostra vanità: dalle foto in posa che quasi nulla hanno ormai di autentico alle narrazioni romanzate ed eroistiche dei nostri avvenimenti più banali, noi tutti (o quasi) trascorriamo il tempo a mostrare agli altri la versione migliore di noi stessi, con il solo scopo di essere adulati (o compatiti, nel caso si raccontino eventi negativi) da perfetti estranei. Nel raccontarci edulcoriamo le situazioni, ci profondiamo in dettagli al punto da condurre i fatti al limite del vero, in quel luogo ambiguo fra reale e fittizio dal quale poi è difficile uscire.

Poniamoci ora dall’altro lato, dal punto di vista dell’ascoltatore. Quante volte ci è capitato di sentire la storia di qualcuno che, abile nella narrazione e nell’arte della seduzione, ci ha irretiti con le parole, affascinandoci al punto da annullare totalmente i nostri sistemi di sicurezza che tanto spesso sono stati la nostra salvezza? Le caratteristiche tipiche di queste persone, a ben vedere, sono quasi sempre le stesse: al di là dell’eloquio, a renderle seducenti è la lo ineffabilità, la loro capacità di sfuggire a una comprensione piena. Sono l’esatto opposto del famoso libro aperto: sono quella stanza al terzo piano in cui sta accadendo qualcosa i cui dettagli riusciamo a intravedere – noi, che stiamo in strada – soltanto attraverso la finestra lasciata aperta che ci consente di osservare le ombre riflettersi sui muri. Restiamo lì, in basso, a domandarci quali misteri si stiano svolgendo in quella stanza. Ma la visione ci è preclusa, infine, dall’inquilino che arriva a chiudere la finestra, escludendoci completamente da qualsiasi altra speculazione.

Allo stesso modo la protagonista del Confine si lascia irretire dal suo cliente, lo psichiatra Mosco, che, nel dipanare i misteri della propria vita, omette dettagli, si insinua per sentieri non tracciati sulle mappe, affronta strade non illuminate dai lampioni, per poi sparire nel nulla proprio nel momento in cui la sua trappola è scattata. Come accade con un fuoco spento da poco, nella stanza aleggia l’odore del legno bruciato e volteggiano frammenti di cenere grigiastra senza che però il calore sia più presente. Il suo ricordo, col passare del tempo, si fa desiderio, infine ossessione, al punto che quando poi il fuoco viene riacceso ci fiondiamo ad accostarci rischiando di bruciarci le dita.

Il confine è una storia di manipolazione, di controllo e di perversione. La sua lettura è un buco nero che ci disorienta perché manca una bussola morale in grado di guidarci nell’oscurità. Da lettori partecipiamo ai dubbi e alle sofferenze della protagonista, con lei viviamo la tortura di non sapere e di non capire che direzione prendere. Silvia Cossu ha costruito una narrazione labirintica nella quale noi stessi desideriamo perderci perché, in fondo, ogni lettore è masochista a modo suo e, quindi, incontrare un testo del genere è confrontarci col dolore che andava desiderando.

David Valentini