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Perdere la madre, riscrivere la madre: "Una donna", il commovente libro di Annie Ernaux

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Una donna 
di Annie Ernaux
L'Orma Editore, 2018

Traduzione di Lorenzo Flabbi

pp. 112
€ 13 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


 

È un'impresa difficile. Per me mia madre è priva di storia. C'è sempre stata. Il primo impulso, parlando di lei, è quello di fissarla in immagini senza alcuna connotazione temporale [...] Così facendo ritrovo soltanto la donna del mio immaginario, la stessa che, da qualche giorno, nei miei sogni torna a essere viva, senza un'età precisa, in un'atmosfera di tensione simile a quella dei film dell'orrore. (p. 21)
La commozione che certi passi di Una donna di Annie Ernaux generano è davvero cosa rara, come raro è il talento dell'autrice nel fare delle proprie vicende biografiche materia letteraria universale. 
L'acclamata scrittrice francese ha scritto questo libro per raccontare la storia della propria madre, subito dopo la sua scomparsa.
Nel donarlo al lettore fa ricorso a una definizione in negativo: questa "non è una biografia, né un romanzo [...] forse qualcosa tra la letteratura, la sociologia e la storia". Tutte queste dimensioni si intrecciano concretamente in 112 pagine di rievocazione, riflessione e indagine. La perdita della madre, lutto che per sua natura fa perdere i figli tra le coordinate sparse del mondo, diventa l'occasione per riscrivere la sua figura riappropriandosene. 
Profondissima e vera la sensazione da cui il testo prende le mosse, cioè che le madri siano prive di storia, quasi non esista in loro un prima rispetto al nostro venire al mondo, o quasi il prima sia di cartapesta e a una sola dimensione.
Una donna percorre dolorosamente l'acquisizione di una tridimensionalità della figura materna che si sprigiona proprio dalla consapevolezza dell'avvenuta morte, e poi dalle varie forme del ricordo.
"Mia madre è morta lunedì 7 aprile nella casa di riposo dell'ospedale di Pontoise, dove l'avevo portata due anni fa": questo il momento in cui la fine ha inizio.
Scrivere di lei e scrivere della perdita sono bisogni viscerali. "In questo momento non sono capace di fare altro", scrive l'autrice imbarcandosi in un'impresa difficile: quella di cercare una verità sulla madre raggiungibile solo attraverso le parole
Prima bambina sempre affamata, poi adolescente dagli occhi "arditi" e i capelli alla maschietta, poi novella sposa dall'aria inquieta e ancora "madre commerciante" che vive per soddisfare i clienti del proprio negozio. Ernaux porta il lettore tra le pieghe più nascoste della vita di una donna come tante e così facendo ci offre brandelli importanti di storia collettiva francese (gli anni bui della crisi, Blum, "l'uomo che finalmente stava dalla parte degli operai", le leggi sociali, l'Occupazione e la ricostruzione quando "il peggio è passato"):
Questa maniera di scrivere, che mi pare andare nella direzione della verità, mi aiuta a uscire dalla solitudine e dall'oscurità del ricordo individuale tramite la scoperta di un significato più generale. Ma sento che qualcosa in me oppone resistenza, vorrei conservare di mia madre delle immagini puramente affettive, il calore o le lacrime, senza dar loro un senso. (p. 49)
Della madre la scrittrice racconta la forza, la tenacia, la violenza che aveva nell'ira come nell'espressione della tenerezza. In lei va a cercare una verità più grande sul senso della genitorialità, su se stessa e sul proprio Paese.
Racconta i piccoli gesti che le hanno unite come madre e figlia e poi la demenza senile che le ha allontanate, relegando la madre in spazi isolati e percezioni irreali. Eccola lì, mentre si perde e le sfugge via, essere aereo portato chissà dove da un male ingrato. 
Come nei passi incerti di un sogno, Annie Ernaux trova una sua via per incontrare nuovamente chi ha vissuto e poi perduto, nel tentativo di unire la donna adulta alla bambina che è stata lungo un'unica importante linea che ha un suo punto focale nella madre ("Credevo che crescendo sarei diventata lei").
Preparatevi a ultime pagine piene di dolente intensità; chiunque abbia perso qualcuno non potrà che sentire una fitta interiore da qualche parte, la memoria corporea di un sentimento archetipico e totale. 
Esserci e poi non esserci più. 


Claudia Consoli