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Niente di minimo o di minuto: "Il piccolo popolo del giardino" di François Lasserre, grande come il mondo intero

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Il piccolo popolo del giardino
di François Lasserre
illustrazioni di Marion Vandenbroucke
prefazione di Bernard Chevassus-au-Louis
traduzione dal francese di Lucia Corradini
L’ippocampo, 2021


pp. 216
€ 25,00 (cartaceo)

C’è chi li teme e chi li ammira, chi non riesce a sopportarli nemmeno a debita distanza e chi invece se ne ciba con abitudine quotidiana oltre che con gusto e soddisfazione. Alcune loro interpretazioni sono diventate autentici topos artistici e letterari – basti pensare, su tutte, alla metamorfosi di un certo Gregor Samsa –  e ultimamente le loro sagome sono di nuovo tornate a invadere la ribalta della moda e della gioielleria, dove il loro repertorio di forme e colori ha dato vita a stampe e fogge capaci di destare anche il gradito interesse dei soggetti più fobici. Controversie e poteri degli insetti, insomma: creature di proporzioni assai limitate rispetto agli standard umani di misurazione eppure capaci, anche singolarmente prese, non solo di evocare interi mondi immaginifici e psicologici, ma di portare sulla propria minuscola figura quasi tutto il peso di quello in cui attualmente viviamo. Sembrerà forse esagerato, eppure sarebbe sufficiente sfogliare un libro come Il piccolo popolo del giardino di François Lasserre, appena pubblicato nella sua versione italiana da L’ippocampo e dedicato alle cento specie di insetti e aracnidi che vivificano le aree verdi più prossime alle nostre abitazioni, per confermare come la questione non abbia davvero nulla di minimo o di minuto, e soprattutto per renderci conto di come alcune semplici nozioni di entomologia siano in grado di rimettere in discussione il nostro ego antropocentrico, tanto smisurato quanto essenzialmente bipede.

Bastano le parole della Prefazione, a firma di Bernard Chevassus-au-Louis, per guardare alla vicenda attraverso le lenti più giuste e per rendersi conto dell’erroneità di certi criteri di giudizio, non solo nel senso comune ma talvolta anche nelle apposite sedi del dibattito scientifico o, in senso più ampio, culturale:

«c’è chi ama prendersi gioco dei naturalisti con il pretesto che s’interessano di “piantine e bestioline”, due diminutivi sottintendenti cose da poco, quando oggi il mondo è assediato da questioni ben più gravi di cui preoccuparsi. L’associare le dimensioni all’importanza è un errore di valutazione che denuncio in questa sede vigorosamente, soprattutto quando a rischio c’è la biodiversità del nostro pianeta» (p. 5).

E difatti come non dare ragione alle evidenze ricordate dal Presidente dell’associazione Humanité et Biodiversité, quando ci fa notare che «la stragrande maggioranza degli esseri viventi pesa meno di un grammo e vive meno di un anno» e «l’essenziale della diversità è fatto da minuscoli organismi, spesso monocellulari» (p. 5)? Nessun ecosistema sarebbe in grado di funzionare senza il contributo delle creature più piccole:

«i grandi cicli del carbonio, dell’azoto, del fosforo vengono garantiti da queste “manine” che, come le sartine di un tempo, possiedono il savoir-faire necessario, e a noi ancora in parte sconosciuto: impollinatori, riciclatori, predatori, decompositori si affannano senza posa, e a da loro dipendono il nostro benessere e la nostra sopravvivenza» (p. 5).

A sua volta convinto che gli insetti rappresentino unicamente una risorsa, François Lasserre è altresì certo che la tendenza a sottovalutare la categoria sia dovuta principalmente a una generica ignoranza – se non addirittura una mera e irrazionale paura – da parte dei non specialisti. Quando in realtà basterebbe davvero pochissimo per familiarizzare con le specie a noi più prossime e renderci conto di quanto la loro semplice presenza nei paraggi apporti benefici preziosi in quantità e qualità:

«un giardino brulicante d’insetti e di aracnidi è anche l’occasione per tenerceli vicino in qualità di ausiliari: se alcuni impollinano i nostri ortaggi, altri danno la caccia ai loro simili a noi nocivi, oppure ne diventano i parassiti, animando l’ambiente che ci circonda. Quanto benessere e quanta serenità ci offre un giardino vivo!» (p. 7).

Certo, se l’entomologia è una scienza complessa ciò è dovuto in modo non marginale all’enorme quantità di esemplari e alle difficoltà di classificazione, in primis quella onomastica. Ricorda difatti Lasserre:

«gli insetti sono così numerosi e nell’insieme misconosciuti che pochi di loro hanno nomi familiari. Di solito li conoscono solo gli esperti o gli appassionati. La maggior parte degli insetti, tra l’altro, ha soltanto il nome scientifico latino e nessun nome comune» (p. 72).

Nemmeno la nominazione, tra l’altro, è esente da privilegi estetici e gerarchici, come dimostra, per esempio, il caso macroscopico delle farfalle che, a differenza di mosche o cimici, «sono apprezzate fin dall’antichità non solo dagli entomologi ma da tutti, e vantano nomi nobili e maestosi, spesso derivati da figure mitologiche» (p. 165). Tradizioni, abitudini, costrutti narrativi e culturali sono anche alla base della percezione generalmente positiva, quando non addirittura carica di ammirazione e fascino, che accompagna insetti come le coccinelle dai sette punti – «l’archetipo dell’insetto amato da tutti» (p. 84) – le formiche – «né romanzi né saggi riusciranno mai a descrivere la complessa vita delle formiche!» (p. 136) – o i cervi volanti – «se tra i mammiferi i cervi sono i re dei boschi, i cervi volanti sono i re dei boschi… tra gli insetti! Le loro smisurate mandibole, presenti solo nei maschi, ricordano infatti i palchi dei cervi. Impossibile non esserne incuriositi» (p. 91). Lo stesso capita in caso di stravaganze o bizzarrie: dal caso delle vespe dorate, «forse gli insetti più “esotici” tra quelli che ci circondano, sgargianti di colori metallizzati dalla testa ai piedi» (p. 107), a quello delle false lucciole, che si candidano al gradino più alto del podio quanto a esibizionismo romantico: esse «nascono da un amore che è sotto gli occhi di tutti, perché le false lucciole amano accoppiarsi sopra un fiore. I maschi, più sottili, si mettono a cavalcioni delle femmine, e questo minuscolo tandem si trova spesso sulle infiorescenze a ombrella della carota selvatica» (p. 96).

Come si evince dai brevi stralci citati, nel descrivere caratteristiche e abitudini di insetti e aracnidi François Lasserre riscalda la freddezza della prosa scientifica optando per uno stile informale e colloquiale che fa convivere evidenze e consigli pratici con curiosità e riflessioni, cogliendo l’occasione in più di un caso per sfatare miti, abbattere pregiudizi e indicare luoghi comuni; vale a dire per dimostrare volta per volta quanta ingiusta negatività perseguiti la fama di questi esseri viventi. Si è portati a credere, per esempio, che a un insetto basti avere strisce gialle e nere per essere pericoloso come una vespa. Eppure, nonostante questo binomio cromatico si verifichi spesso in natura – capita a farfalle, mosche e coleotteri – questi colori non hanno nessuna incidenza sulla pericolosità! Ancora: delle sessanta specie di zanzare riscontrate in Italia, solo tre (tre!) hanno la detestabile vocazione a tormentarci durante l’estate per succhiare il nostro sangue, mentre le altre cinquantasette ci ignorano beatamente; non siamo, insomma, né il loro principale pensiero né il loro cibo preferito. Ai calabroni europei e alle vespe sociali che tanto temiamo, invece, dobbiamo persino riconoscere un primato artigianale per quanto riguarda la fabbricazione delle carta, dal momento che da sempre hanno l’abitudine di costruire il proprio nido riciclando il legno morto, che triturano con le mandibole prima di impastarlo con la loro stessa bava. Per non parlare, poi, dei falangi o ragni della campagna, da cui potremmo addirittura prendere lezioni di vita (o meglio di sopravvivenza) sebbene in un senso preferibilmente solo simbolico: «se cadono preda di un uccello, una lucertola, un insetto o un ragno, praticano l’autotomia, cioè si privano di una zampa per poter fuggire» (p. 200). E che dire delle dorifere della patata, che, commestibili come sono, potrebbero addirittura candidarsi a fonte del nostro stesso sostentamento in caso di necessità? «Pare ancora una stramberia», ammette Lasserre, «ma l’idea di nutrirsi di insetti fastidiosi comincia a farsi strada, avviandoci verso un mondo meno dipendente dai prodotti fitosanitari e verso un’alimentazione più etica» (p. 60). I nostri maggiori sensi di colpa, ad ogni modo, riguarderebbero più di tutte le sfortunate mosche verdi, purtroppo associate come per maledizione alla scienza forense e dunque a un vago senso di schifezza e sfortuna:

«perché non considerarle tra gli insetti più belli che ci circondano? Il loro verde metallizzato e lucido ci ricorda i manufatti artistici e decorativi, ma la loro forma di mosche, la peluria rada e la propensione a visitare carogne ed escrementi ci impediscono di apprezzarle. A meno, forse, di apprezzarle quando sono intente a bottinare i fiori, che mettono in risalto la loro singolare bellezza. Allora riusciamo finalmente a vederle per quello che sono: insetti bottinatori e impollinatori tra i tanti presenti in giardino» (p. 140).

Ricchissimo di informazioni pur nel dichiarato intento divulgativo – se cento tra insetti e aracnidi sembrano pochi basta pensare che riconoscerli e distinguerli tutti l’uno dall’altro sarebbe un ottimo risultato per il pubblico non specialistico –, il lavoro di François Lasserre non avrebbe avuto la stessa gradevolezza e transitività se non fosse stato così ben corredato dalle tavole di Marion Vandenbroucke. Con i suoi ingrandimenti ad hoc dei vari “biografati”, l’illustratrice naturalistica è riuscita a restituirne una carrellata di ritratti fedeli e didattici che tuttavia, proprio in virtù del medium artistico, attutiscono l’eventuale shock da parte dei lettori più fobici (quelli, per intenderci, che non sosterrebbero la vista di pur bellissime fotografie). A loro volta supportati dalle grafiche sintetiche messe a punto dall’agenzia Shutterstock per descrivere le varie catene alimentari (vale a dire: chi/che cosa mangia ogni insetto/aracnide e da chi è a propria volta mangiato), questi disegni a tutta pagina si fanno studiare a lungo per la precisione dei dettagli e anche per il senso di simpatia che suscita l’andirivieni dinamico delle figure intente a entrare e uscire dai margini. Le indicazioni aggiuntive poste in coda al volume, relative a sitografia, musei, bibliografia e ulteriori testi divulgativi di riferimento, completano l’opera nel migliore dei modi e con il più roseo degli auspici, ovvero con la speranza che ogni lettore possa avere curiosità di approfondire le proprie conoscenze entomologiche e sviluppare una sempre maggiore consapevolezza della centralità di queste creature. Al mondo, dopotutto, ne esistono almeno 40.000 esemplari, e Il piccolo popolo del giardino si candida a essere solo il primo passo – quello verso il luogo a noi più prossimo – di un lungo cammino di esplorazione.

Cecilia Mariani