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La testa perduta di Luca Bregolisse: nevrosi contemporanee in “Qui dovevo stare” di Giovanni Dozzini

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Qui dovevo stare
di Giovanni Dozzini
Fandango Libri, gennaio 2021

pp. 208
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


La monotona routine di una vita incanalata nei binari del lavoro e del sostentamento economico famigliare; le relazioni turbolente e conflittuali della “classica” famiglia italiana; i morti del passato che non ci lasciano mai, accoccolandosi in qualche parte nel nostro corpo e osservandoci nella nostra quotidianità; i rapporti interpersonali con quello che consideriamo l’”Altro” dei processi migratori che stanno lentamente trasformando la nostra società; la politica che si prende costantemente gioco di noi, come fossimo semplici pedine da muovere sulla scacchiera; la frustrazione, la rabbia, la disillusione per un presente che si ripete sempre uguale e che non lascia intravedere un spiraglio di speranza per il futuro. Queste sono solo alcune delle tematiche che emergono dal nuovo intenso romanzo di Giovanni Dozzini, Qui dovevo stare, edito da Fandango Libri. Dopo titoli quali Il cinese della Piazza del pino (Midgard 2005), L’uomo che manca (Lantana 2011), La scelta (Nutrimenti 2016) e E Baboucar guidava la fila (Minimum Fax 2018) - romanzo che porta l’autore a vincere l'European Union Prize for Literature 2019 -, Dozzini torna in libreria con una nuova storia che parla, senza un filo di retorica e peli sulla lingua, di quello che è, oggi, la provincia italiana e i suoi abitanti.

Potremmo definire Qui dovevo stare come un lungo monologo interiore, un ragionamento lungo sedici giornate che ha luogo nella testa del protagonista, Luca Bregolisse, conosciuto anche come il Brego. Luca Bregolisse è un imbianchino quarantenne intrappolato nelle maglie di una vita che gli sta stretta: se può, lavora in nero per portare a casa più soldi per mantenere la sua famiglia, composta da Pamela, sua moglie, a cui di rado dà retta, sua figlia Caterina di quattro anni e suo padre, vecchio comunista che rivanga il passato italiano del partito. Ad aiutarlo nel suo lavoro c’è Nabil, il dipendente di origine marocchina, il quale ha una famiglia che fa da contraltare sociale a quella del Brego. Con la moglie Fatima - che a stento parla italiano – Nabil ha due figli: la piccola Karima di dieci anni e il problematico Mohamed, ma che tutti chiamano Massimino, che spaccia e spesso scappa di casa. Lo spazio che fa da scenario alla storia è la periferia industriale di Perugia, luogo degradato, subalterno e pericoloso - secondo il Brego - da quando i migranti e la gente dall’Est vi si è trasferita, trasformandola a suo avviso in un ricettacolo di criminalità. È questa la realtà in cui Luca Bregolisse si muove, seguendo meccanicamente sempre lo stesso tragitto casa-lavoro, con l'unica pausa intermedia al bar di Mario, il proprietario cinese, a bersi un caffè corretto con il suo migliore amico Tordo. Tutti i suoi movimenti vengono attentamente osservati e giudicati da sua madre, morta ormai da tempo a causa di un brutto male, e che ora si è fatta piccola piccola appollaiandosi tra il sopracciglio e la tempia destra del figlio, come una sorta di piccolo angelo custode dalle ali tarpate, o un grillo parlante che ha però perso la voce. 

La realtà meccanica che il Brego contemporaneamente accetta e disprezza, verrà drasticamente interrotta da un piccolo segno, che si trasformerà poi in un triste presagio nel precipitare degli eventi. Il Tordo investe con la macchia un tasso, la quale carcassa viene abbandonata sul ciglio della strada. Poco dopo, Massimino sparisce di nuovo, questa volta senza fare più ritorno, e Nabil smette di presentarsi a lavoro. Piano piano, s’innesca un effetto domino a sorpresa che travolge tanto il lettore quanto Luca Bregolisse stesso, il quale verrà deragliato dai binari della quotidianità che lo condurrà ad un bivio esistenziale: prendersi cura degli altri e delle difficoltà che accomunano tutti i protagonisti nella loro vita, oppure pensare egoisticamente a se stesso per costruirsi un futuro diverso da quello che il destino politico e sociale di questo paese sembra avergli riservato. 

Qui dovevo stare è un romanzo di grandissima intensità psicologica proprio perché il lettore segue, raziocinio dopo raziocinio, gesto dopo gesto, giudizio dopo giudizio, la mente affollata e in subbuglio di Luca Bregolisse che non si astiene dal mostrare il suo razzismo, la sua xenofobia, il suo odio, i suoi stereotipi, i suoi luoghi comuni, i suoi pensieri peggiori, ma anche le sue paure, le sue speranze e, in fondo a tutto, un suo piccolo sogno di riscatto sociale rappresentato dall’ultimo capitolo del libro, il tanto agognato Mercoledì che dovrà cambiare la sua mediocre esistenza. Come anche nei precedenti romanzi, la letteratura di Dozzini racconta la vita a partire dai margini della società, offrendo una visione completamente diversa della concezione che solitamente abbiamo del centro. Lo sguardo di Dozzini indaga nel profondo le sfaccettature della condizione umana che non lasciano fuori nessuno, né le vittime né i carnefici di un ormai violento sistema sociale. Il centro diventa allora la periferia, teatro in cui viene rappresentata un’umanità ferita, bisognosa di riscatto, provata dalla vita e schiacciata da una società troppo ingiusta. Per questo motivo l’immagine del tasso con il cranio spaccato e abbandonato per strada ritorna costantemente nel romanzo, come a ricordare che i personaggi, tutto sommato, sono parte di questa tragedia simbolica di violenza e di abbandono: 
Quando il Tordo ha sentito il rumore delle ossa del cranio del tasso e le ha sentite disintegrarsi sotto la ruota e quando il Tordo è sceso dalla macchina per controllare e ha visto quanto era facile morire, in quel momento è successo qualcosa che c’entra con quello che è successo una settimana dopo, e io mi chiedo come ha fatto la carcassa del tasso a finire sul marciapiede e mi chiedo perché al Tordo non ho chiesto se ce l’ha portata lui e mi chiedo se invece non è stata qualche altra anima impietosita e mi chiedo se invece il tasso col suo cranio disintegrato non si sia trascinato la sua carcassa dietro fino agli aghi di pino per concedersi di morire in un modo un po’ più decente. (pp. 116-117)
Morire in un modo un po’ più decente. Ecco forse cosa accomuna tutti i protagonisti: cercare un briciolo di dignità e decenza in questo mondo sempre più storto, scorretto e che trasforma gli uomini in bestie. Luca Bregolisse tenterà questa svolta nella sua vita, ma con dei risultati che lasciamo giudicare ai lettori, una volta conclusa la storia. Qui dovevo stare è un romanzo che ha un fortissimo senso politico perché spiega come la provincia italiana è diventata leghista e come il pensiero di sinistra si è violentemente radicalizzato. Denunciando le assurdità del nostro paese, il romanzo, in alcuni passaggi, è scomodo quanto i sassolini nelle scarpe; il libro ci dimostra anche che la letteratura, come la vita, non è quasi mai giusta e che non scappa dalle ingiustizie del nostro tempo. Quello che Dozzini ci consegna tra le mani è una storia dura, ma al tempo stesso estremamente necessaria per capire le nevrosi sociali della nostra contemporaneità attraverso uno sguardo non centrale, ma periferico. Al pubblico non resta altro che leggere i pensieri di Luca Bregolisse con responsabilità, facendosi una profonda analisi di coscienza. 

Nicola Biasio