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"Un posto tranquillo" di Matsumoto Seichō: un noir dalle molteplici sfumature

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Un posto tranquillo
di Matsumoto Seichō
Adelphi, 2020

Traduzione di Gala Maria Follaco

pp. 195
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Confesso di non essere una grande divoratrice di gialli o noir. È un genere che non mi ha mai intrigato e convinta fino in fondo, soprattutto nelle sue derive più stereotipate. Ma amo quando la parola sa farsi letteratura, questo sì, in qualsiasi forma o genere di partenza. Per questa ragione ho accolto con interesse la pubblicazione di un nuovo romanzo di Matsumoto Seichō, considerato il Simenon giapponese, autore già presente nel catalogo Adelphi con Tokyo Express e La ragazza del Kyūshū.
Un posto tranquillo in realtà è un romanzo uscito per la prima volta in Giappone nel 1972, dettaglio che ho scoperto solo alla fine della lettura – nonostante la storia sia ambientata negli anni Settanta, ma su questo torneremo – e che ha contribuito a consolidare alcune delle buone opinioni che mi sono costruita su questo testo e sull’autore in generale. Ecco, pur non potendomi considerare un’esperta né tantomeno un’appassionata del noir, mi ritrovo ad apprezzare questo romanzo e la scrittura di Matsumotō, per il quale i confini del genere sono assolutamente labili, al punto che gli elementi caratterizzanti a tratti cadono in secondo piano durante la lettura, che si fa godibile proprio per la sua apertura a spunti e riflessioni molto più ampie. È una scrittura letteraria cui da voce la traduzione di Gala Maria Follaco, dal ritmo ora incalzante ora piano, la cura del dettaglio, le descrizioni funzionali. Un romanzo che si rivela pagina dopo pagina sempre più stratificato, tanto dal punto di vista del mistero da svelare quanto e soprattutto per il sostrato di riflessioni, tematiche e spunti a cui si apre la narrazione, con rimandi frequenti nella produzione letteraria dell’autore.
Più che di mistero è più opportuno parlare di ossessione: è quanto diventa per Tsuneo Asai, protagonista della vicenda, la ricerca della verità dietro la prematura scomparsa della moglie Eiko. Morta per cause naturali, ciò che appare inconsueto ad Asai è il luogo in cui il decesso è avvenuto, un quartiere così lontano da casa e dai posti abitualmente frequentati da Eiko. Da un contesto inspiegabile nasce quindi l’ossessione di Asai, il sospetto che la donna celasse una vita molto diversa da quella a lui conosciuta e che potrebbe spiegare le ragioni per cui si trovava in quel quartiere, a pochi passi da un albergo a ore. È su queste premesse che prende avvio la narrazione, in una trama che si sviluppa fra sospetti, intrighi, indagini e congetture, la verità sempre a un passo dall’essere compresa per poi sorprendersi a una svolta imprevista della trama. Fino alle battute finali, in un crescendo di tensione, colpi di scena e inattesa brutalità.

Ai lettori ovviamente il piacere di scoprire il mistero e gli sviluppi della storia, che sono solo una parte di un romanzo come si diceva stratificato: i contorni e il ritmo sono quelli del noir, la storia è intrigante e il finale riesce a spiazzare il lettore, ma intorno a questo nucleo narrativo si sviluppa una rete di tematiche e spunti a rivelare la profondità delle storie di Matsumoto, che non si esauriscono nel semplice intrattenimento di genere. Chiave di lettura e riflessione costante nella produzione letteraria dell’autore è la rappresentazione delle complessità e delle contraddizioni del Giappone a lui contemporaneo, le rigide gerarchie, l’etica del lavoro e il rispetto delle apparenze: critica sociale che si incastra alla perfezione nel narrato e che spinge il lettore a confrontarsi, anche nel caso di Un posto tranquillo, con un sistema molto spesso ipocrita, rivelandone i meccanismi intrinsechi e le conseguenze molto spesso devastanti sull’individuo.
Si era guadagnato quel posto dopo aver superato un difficile esame. Aveva fatto la gavetta, costruendo la sua gavetta passo dopo passo. E quando si era reso conto che contestare l’assurdità e l’ingiustizia del sistema non serviva a niente, aveva deciso di competere con i raccomandati lavorando meglio di chiunque altro. (p. 140)
Nella sua ossessiva ricerca, Asai non perde mai di vista il proprio ruolo – marginale – di funzionario, il timore di perdere tutto quanto faticosamente costruito in tanti anni di lavoro anche a discapito della vita privata. Una vita privata anch’essa poggiata su apparenze, ruoli da interpretare, forma. Si intravedono pagina dopo pagina le crepe sulla facciata: un matrimonio – il secondo per Asai – tra estranei, che condividono poco o nulla della propria interiorità, dei propri interessi, al punto che Eiko prende forma e identità solo quando ormai è troppo tardi, quando di lei è restato solo il mistero e l’assenza. Un’assenza che, in verità, era già presente fra loro, una distanza che nessuno dei due era interessato a colmare.
Eiko era molto socievole e amava stare in compagnia. A casa invece non apriva quasi bocca. Era come se avesse due personalità diverse. Asai aveva percepito questa differenza e più volte aveva pensato che si annoiasse quando erano soltanto loro due. Certo è che fuori di casa Eiko sembrava rinascere. (p. 22)
Ciò che contava e ancora importa è mantenere le apparenze. È forse il timore di uno scandalo e di ciò che potrebbe scoprire sulla moglie defunta a spingere Asai in un vortice di ossessione, desiderio di vendetta, colpa e rabbia. Mi sorprendo per la seconda volta nel giro di poco tempo a restare invischiata in una storia in cui i personaggi principali sono tanto antipatici, respingenti: seppur per ragioni e con risultati differenti, lo straniamento provato nei confronti di Asai mi ha richiamato alla mente l’insofferenza provata a tratti per i ragazzi Starling de La casa sul lago, Michael e Thad. L’opinione su Asai cambia inevitabilmente pagina dopo pagina, eppure fin dalle prime battute è apparsa evidente un’incolmabile distanza tra noi e lui. Non è per forza un male, non penso sia sempre necessario empatizzare con i personaggi di una storia, ma credo sia bene esserne consapevoli.

In questa distanza, nel desiderio di vendetta, nelle colpe – o nell’assenza stessa di senso di colpa – e nelle giustificazioni di Asai, Matsumoto costruisce la sua storia, che prende forma anche attraverso l’uso sapiente delle atmosfere, del ritmo. Un noir, quindi, ma dalle molteplici sfumature.
Di fronte a sé vedeva una montagna alta, di cui non conosceva il nome, dietro la quale il sole cominciava a tramontare colorandone la cima di rosso. Era fine ottobre e da quelle parti già iniziava a fare freddo. La sua ombra che si allungava solitaria sul marciapiede dell’anonima piccola stazione, nella luce del sole al tramonto, aveva un che di melanconico, ma lui sul momento non ci fece caso. (p. 126)

Di Debora Lambruschini