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"Nella buona e nella cattiva sorte", o forse no? Il nuovo romanzo di Marina Di Guardo scava oltre le apparenze

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Nella buona e nella cattiva sorte

di Marina Di Guardo
Mondadori, 2020

pp. 228
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Audilibro disponibile


Quest'anno, nella settimana in cui si celebra la giornata contro la violenza di genere, in libreria è arrivato il nuovo romanzo di Marina Di Guardo, Nella buona e nella cattiva sorte (Mondadori). Chiamarlo thriller sarebbe riduttivo, perché il libro, pur appartenendo al genere, coglie l'occasione per aprirsi verso tanti altri filoni: dal romanzo psicologico a quello di denuncia sociale, ma senza mai risultare un romanzo a tesi. Nelle prime pagine facciamo la conoscenza di Irene, illustratrice di talento, che ha però rinunciato a gran parte dei suoi sogni: è infatti moglie di un uomo violento, Gianluigi, che ha ridotto la sua libertà e, di pari passo, la sua autostima; ed è madre della novenne Arianna. È proprio questo suo ruolo di madre ad avere la meglio sulla paura e a portare Irene a fuggire insieme alla figlioletta nella casa della sua infanzia, casa di cui - per inciso - Gianluigi conosce l'indirizzo. È un rischio, certo, e Irene sa già dentro di sé che certamente Gianluigi, possessivo e geloso com'è, non accetterà facilmente la sua scelta, ma le violenze fisiche e le minacce sono arrivate a tal punto da togliere l'aria. Rinascere, dunque, e farlo in un ambiente noto, protetto - benché non del tutto felice, come scopriremo durante la lettura - sembra l'unica via d'uscita da una situazione asfittica. 
In paese, Irene trova a sorpresa più aiuti: la sua vicina di casa, Lucia, ex maestra, si avvicina da subito ad Arianna, che invece fatica a integrarsi; il poliziotto Salvatore offre una spalla e lascia il suo numero privato, davanti alla prima manifestazione di violenza di Gianluigi; Piero, che lavora al colorificio e ferramenta, sembra guardare Irene innanzitutto come una donna, dopo tanti anni in cui lei si è vergognata e ha disconosciuto la sua femminilità. È dunque possibile lasciarsi alle spalle il passato? 
Se da un lato l'amica di sempre Alice, pur restando a Londra, regala a Irene confronti (a volte scomodi) e telefonicamente la sprona a non perdersi d'animo, dall'altro il presente di Irene rischia di trasformarsi in un nuovo presente di terrore e di angoscia. 
Singoli episodi concorrono a un'atmosfera di ansia crescente, come se un immenso gorgo minacciasse di avventarsi ancora una volta sull'equilibrio familiare di Irene e di Arianna, equilibrio già messo a dura prova dalle difficoltà della bambina, oggetto di bullismo nella scuola del paese. 
Agli eventi che si verificano - narrati con sobria crudezza, cosa che aggiunge ulteriormente terrore in noi lettori - si aggiunge poi la scelta dell'autrice di indagare a fondo i pensieri della sua protagonista, adottando la focalizzazione interna in molti tratti dell'opera. Ecco che così ascoltiamo le riflessioni tanto quanto le emozioni di Irene e, inutile dirlo, empatizziamo con lei. 
Marina Di Guardo, tuttavia, ha in serbo per noi continui colpi di scena: se a metà del romanzo penserete di avere alcune ipotesi su come finirà il libro, sappiate che invece l'autrice sa benissimo come accrescere la suspense, come spiazzarci e, cosa ancor più interessante (perché non è richiesta necessariamente dal genere), come farci riflettere anche a libro terminato. 


Per l'intensità delle tematiche trattate, abbiamo posto alcune domande a Marina Di Guardo, che ringraziamo per la generosità. E ad altre domande l'autrice risponderà questa sera su Instagram, nella nostra diretta (trovate tutte le informazioni nella locandina qui accanto!). 


Con Nella buona e nella cattiva sorte torni a parlare di violenza di genere e in particolare di violenza domestica, tema che ti sta molto a cuore e che hai già trattato in altri tuoi scritti. Che cosa vuoi suggerire e/o condividere con il pubblico delle tue lettrici? 
Ogni volta che leggo dell’ennesimo femminicidio, di denunce inascoltate e di morti annunciate, nasce in me una rabbia sorda. Un senso diffuso di impotenza, di sgomento mi si arrampica in gola. In quasi tutti i miei libri, in maniera più o meno marcata, ho trattato questo argomento. Credo non si debba mai abbassare la guardia su un’emergenza sempre più allarmante. 

Nelle prime pagine, la protagonista, Irene, vuole ripartire da zero, o meglio da casa sua: un ritorno alla sua infanzia, alla casa che è rimasta nido e luogo pieno di ricordi. Ripartire è possibile per una donna così violata? 
Certo, è possibile. Anzi, è necessario. C’è sempre una via d’uscita, a volte la salita è faticosa, ardua, ma quando si arriva alla meta, a un’esistenza libera dalla violenza e dalla sopraffazione, ogni sacrificio, ogni rinuncia non sono stati vani. 

Ho apprezzato molto che nel paese sono molte le persone che aiutano Irene, senza però chiudere gli occhi: sia la vicina Lucia, sia il poliziotto Salvatore e Piero del colorificio rappresentano un microcosmo positivo. Dunque, ci si può ancora fidare degli altri? 
Bisogna fidarsi di chi ci tende la mano, ci vuole essere d’aiuto. In questi tempi di isolamento forzato, è sempre più facile ripiegarsi su se stessi e pensare di doversela cavare da soli. Niente di più sbagliato: parafrasando Aristotele, l’essere umano è un animale sociale. Abbiamo bisogno degli altri, come l’acqua, come il cibo, come l’aria. 

La violenza verbale, oltre a quella fisica, è molto presente nel romanzo. A tuo parere, anche il silenzio è violenza? 
L’indifferenza, la disistima, la noncuranza sono violenza. E non esiste solo la violenza fisica, a volte quella psicologica può essere ancora più dilaniante. 

Nel romanzo hai trattato anche un altro tema forte, ovvero il bullismo. Arianna, di nove anni, subisce pressioni da parte dei suoi nuovi compagni di classe, perché è la ragazzina arrivata dalla città e dunque attira l’attenzione negativa dei bulli. Perché hai fatto questa scelta narrativa? 
Anche il bullismo è un’altra emergenza sociale. Può ferire profondamente le persone più vulnerabili, insicure, pregiudicare il loro futuro. A volte può essere molto marcato, altre volte più insinuante. Io stessa, l’ho sperimentato. Ero una bambina goffa, leggermente in sovrappeso, timida. Sono stata presa di mira da un gruppo di compagne di scuola che mi prendevano in giro e mi facevano sentire terribilmente inadeguata. È stata un’esperienza molto dolorosa. 

«A lei piaceva giocare con le bambole e fantasticare da sola, libera di essere se stessa senza intromissioni esterne». Mi è piaciuto molto questo pensiero che leggiamo a p. 21 e che è legato alla piccola Irene. Venendo a te, che cosa significa per te sentirti libera di essere te stessa, senza intromissioni esterne? 
Sono felice che tu lo abbia apprezzato, è un passaggio che mi è molto caro. Mi ci rispecchio, spesso anch’io da piccola mi rifugiavo nella mia cameretta, sentendomi protetta e al sicuro. Nel più profondo, quella bambina del passato abita ancora dentro me. Accade quando scrivo, quando prendo una decisione controcorrente, istintiva ma prepotente. Nel tempo, ho imparato che è importante credere alle intuizioni che si percepiscono con insistenza e che a volte vorremmo ignorare. 

Venendo alla struttura del romanzo, in esergo troviamo una bella citazione da “William Wilson” di Poe: perché questa scelta? 
Adoro Poe, i suoi racconti sono esemplari per genialità e modernità, dei veri trattati di psicanalisi. William Wilson non è stata una scelta casuale, il suo significato ha molto a che fare con la storia che racconto. Ma non posso dire di più perché rischierei di spoilerare un finale davvero spiazzante. 

I colpi di scena nel romanzo non mancano e spesso questi si reggono su menzogne che si raccontano e ci si racconta. Avevi già pensato fin dall’inizio di costruire così il romanzo o la trama si è dipanata via via? 
Ho l’abitudine di pensare molto all’intera trama da raccontare, prima di iniziare la vera e propria scrittura. Poi, redigo una traccia dettagliata, e subito dopo comincio a dedicarmi alla stesura del romanzo. Rifletto lungamente sul finale. In un thriller è importantissimo. Deve spiazzare e dare tutto il senso alla storia.


a cura di Gloria M. Ghioni