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“Il maiale e lo sciamano” di Roberto Barbolini, una ballata carnevalesca e tragicomica della nostra umanità

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Il maiale e lo sciamano
di Roberto Barbolini
La Nave di Teseo, dicembre 2020

pp. 384
€ 15 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)


Quando ho concluso la nuova raccolta di racconti Il maiale e lo sciamano di Roberto Barbolini, l’ho istintivamente collegata all’ultimo verso di una bellissima poesia di Emilio Isgrò: «Di me non si discute. Per me / non si domanda e non si chiede ascolto. / Si discute di te, che sei sepolto.» Esatto, questo testo mette in discussione la morte, e di conseguenza anche la vita. La sensazione che si ha leggendo Barbolini è quella di assistere a una ballata, a un valzer lento in cui i vivi afferrano le mani dei morti che ritornano in vita invocati dalla narrazione e assieme iniziano a piroettare attorno al lettore che, con la sua voce, dà il ritmo alla danza. E allora danziamo insieme ai personaggi dei trentadue racconti che compongono il volume e che si dividono in cinque grandi sezioni (o tempi, volendo continuare la metafora del ballo) dalla macrotematica comune. A fare da filo conduttore vi è la magia onirica unita al surrealismo carnevalesco, barocco e decadente della prosa dell’autore, inframmezzata dai richiami della tradizione popolare e dalle memorie antiche del nostro paese, da riferimenti mera-letterari che sconfinano nella cultura, nella musica, nel fumetto e nel cinema, e, soprattutto, dalle rivisitazioni di tabù antropologici e paure ancestrali che compaiono frequentemente nei vari racconti.

In Il maiale e lo sciamano, Barbolini distrugge la barriera dello spazio-tempo, unendo assieme luoghi geograficamente impossibili da collegare (l’Appennino emiliano al Far West, il Po all’Australia) e creando una nuova temporalità in cui la labile distinzione tra passato e presente sconfina in quello che sarà il prossimo futuro della nostra umanità. E nel frattempo, Barbolini si dimostra essere un vero mago che continua ad estrarre dal suo cappello magico miriadi di personaggi tutti diversi tra di loro, eppure con storie che spesso ritornano e con personaggi che alle volte (in vita o nell’oltretomba) si rincontrano o si reincarnano in qualcosa che mai avrebbero immaginato.
 
E così, nella prima parte “Pastorale in Appennino” Jim Morrison trascorre i suoi giorni in un borgo dimenticato nel cuore dell'Emilia e Gengis Khan attacca il castello del conte Raimondo Montecuccoli, mentre in una cittadina italiana piovono chiodi, Buddha vola via in cielo durante un raduno nazionale di meditazione e Gesù Cristo si reca in Australia per partecipare a una via crucis di paese. Le “Vanvere di pianura” intrecciano invece il mito di Fellini alle vicende pseudo-autobiografiche in cui i protagonisti vogliono fermare il passato per rivivere oggi quelle stesse folli passioni giovanili. In “Indiani e cowboy”, Barbolini mostra tutta la sua passione per il western e per i fumetti, facendo combattere i coloni contro gli indiani dai cappelli piumati e ripercorrendo nel bellissimo racconto “La ballata di Felix Pedro” l’epoca della caccia all’oro nelle vallate del Nord America. “A volte ritornano” è invece la sezione dedicata ai fantasmi del nostro passato fascista e antisemita, ai rimpianti per i nostri sogni frustrati e all’arcana magia nera delle tradizioni popolari che, sotto sotto, regolano le leggi invisibili dei nostri destini. Per concludere, nei racconti finali (riuniti sotto il titolo “Più morti che vivi”) Lazaro resuscita nel corpo di un vagabondo che vive nella stazione di Lambrate, i santi vanno a ballare nel salotto di tre sorelle moribonde, una vecchia decide di smettere di lavarsi per proteggere il proprio sistema immunitario e, per concludere, l’attualissimo racconto “Andrà tutto bene” è dedicato a una misteriosa pandemia il cui virus ha la forma di una stella marina. 

Nell’affrontare questa esplosione di vita e di morte, di magia e di sogni, di violenza e di sangue, di corpi sporchi e putridi, di santi puliti e ballerini, il lettore deve però accettare una condizione necessaria per poter proseguire la lettura: quella di prendere i miracoli, le magie e le stranezze che si susseguono nei racconti così come vengono presentati, senza porsi ulteriori domande esplicative sul se, sul perché e sul ma. Il rischio nell’infrangere questa regola? Distruggere un sogno ad occhi aperti lungo trecentottantaquattro pagine. 

Nicola Biasio