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Nelle viscere dell'Islam sconosciuto: i racconti dall'Indonesia di Feby Indirani

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Non è mica la vergine Maria
di Feby Indirani
traduzione di Antonia Soriente
illustrazioni di Marie Cécile
Add editore, 2019

pp. 192
€ 18 (cartaceo)

Avvio questa recensione con una nota personale.
Alcuni libri arrivano nel momento giusto: ho avuto modo di leggere Non è mica la vergine Maria poco prima di partire per un breve soggiorno in Giordania, nazione che, come l’Indonesia di Indirani, è a maggioranza musulmana. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di poter visitare più di un Paese dell’est asiatico, e di osservare da vicino culture condizionate da religioni imponenti quanto il (o più del) cristianesimo. A Kathmandu, per fare un solo esempio, è impressionante notare come la città possa cambiare nelle vicinanze di un tempio buddista o di uno induista: in termini di colori, odori, comportamenti, vestiario, bastano un paio di giorni per riuscire a riconoscere da lontano le differenze, capire in che modo la spiritualità ha pervaso la quotidianità, letteralmente fin dentro la terra.
Salvo casi eccezionali, dell’Islam e degli arabi in generale sappiamo poco: a volte confondiamo l’etnia con la religione (stupendoci quando poi veniamo a sapere che esistono persino arabi ebrei e arabi cristiani), ne conosciamo a grandi linee la storia e perlopiù ne apprezziamo la cucina (che differenza c'è fra kebab e shawarma?);  dopo l’11 settembre e la vicenda dell’ISIS ancora guardiamo di traverso un uomo dalla pelle un po' scura e la barba prominente che parla aspirando le H, in una forma di leggerissima apartheid che, pensiamo, loro non fanno niente per combattere. È su quel “loro” che non ci fermiamo mai, tuttavia: quel loro essere arabi e musulmani rispetto al nostro essere europei e cristiani – sempre e comunque, anche quando si è ferocemente atei, anzi: soprattutto quando si è ferocemente atei e il cristianesimo lo respiriamo con ancor più enfasi – quella percezione di una cultura che sempre è sempre sarà altra rispetto alla nostra, in quanto fondata su principi radicalmente diversi. Volendo semplificare, potremmo dire che la cultura europea (in senso lato: occidentale), nonostante tutte le imperfezioni di cui pecca, ha al centro i valori della rivoluzione francese, quell’“Liberté, Égalité, Fraternité” che tanto vengono sbandierati ogniqualvolta la nostra identità viene messa in pericolo. Per questo facciamo così tanta fatica ad accettare, con una forte dose di campanilismo, l’uso dell’hijab, l’idea stessa della poligamia, i divieti alimentari e comportamentali che, almeno in teoria, sono tipici anche del cristianesimo.
Ma queste differenze restano teoriche, almeno finché non le si studia con maggior attenzione, o finché non si entra in contatto diretto con “loro”. Solo a quel punto tutto ciò che si crede di sapere sull’Islam assume caratteri un po' più definiti; solo a quel punto tutto le contraddizioni che attraversano uno dei tre monoteismi storici emergono chiaramente, e proprio come descritti da Indirani nel suo libro. Non ci si può non chiedere, infatti, quanto sia interiorizzata la subordinazione della donna rispetto all’uomo, che ruolo giochi la repressione sessuale nella vita di tutti i giorni, quanto approfonditamente i musulmani stessi conoscano – nel senso di: abbiamo esplorato, criticato, compreso – i dogmi della propria religione e quanto invece si limitino, come molti cristiani, a un’accettazione superficiale fatta di vaghe promesse su un aldilà di cui mai si può avere esperienza diretta.
Indirani, da donna, è in grado di percepire ancor di più debolezze e idiosincrasie annidate nei pilastri di un sistema che da religioso si è fatto storico e politico: può farlo perché, esattamente come in occidente, il genio femminile si è imposto solo successivamente nella cultura letteraria e filosofica, e forse solamente negli ultimi decenni ha avuto l’ardore di competere con quello maschile. Il suo è un punto di vista altro, nuovo, libertario e fondato sul nemico principale della religione, ossia l’ironia: laddove la religione trova molto del suo potere nell’austerità – dei costumi, delle leggi, delle parole: lo scherzo e l’ironia sono vietati, perché ciò di cui si può scherzare è vicino e tangibile, mentre la religione e la divinità devono restare inavvicinabili – lei usa proprio il gioco e la comicità, mischiandoli con l’assurdo, per scardinare i principi dell’Islam ed esporne le viscere, mettendo a nudo ciò che a nudo non vuole stare, forse per quella debolezza intrinseca che marchia spesso i grandi sistemi omnicomprensivi e autoreferenziali come le religioni.
Non è mica la vergine Maria è una raccolta che, a mio avviso, va ancorata a un’esperienza diretta con l’Islam, così da poter avere una maggiore comprensione del testo stesso e, si spera, accrescere la curiosità verso una cultura diversa e con cui al momento non sembra esserci possibilità di una soluzione nel senso chimico del termine.
Nota di merito a sé stante per le illustrazioni di Cécile, di cui avrei preferito avere ulteriori esempi nel libro perché in quanto a potenza evocativa sono imbattibili.

David Valentini