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Crescere con parole "libere e folli": l'Ophelia di Charlotte Gingras

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Ophelia
di Charlotte Gingras

Illustrazioni di Daniel Sylvestre

Giralangolo, 2019
pp. 260
€ 15,00

Titolo originale: Ophélie
Traduzione di Camilla Diez


Ophelia non è come i suoi compagni di classe, “trenta alunni di seconda liceo che si trascinavano a testa bassa come un gregge di pecore dirette al mattatoio” (p. 7). Ophelia si nasconde sotto spessi strati di abiti scuri, che le hanno attirato il soprannome di stracciona, e soprattutto dietro a una impenetrabile maschera di arroganza e aggressività. Conduce una vita da “gatto randagio”, sola con una madre fragile e poco presente, e passa le notti a vagabondare per le strade marchiando i muri con il suo simbolo, un piccolo cuore spezzato. Quindici anni, grande sensibilità e spirito pungente, la ragazzina non riesce a dimenticare un’esperienza traumatica del suo passato, che la condanna a un isolamento autoimposto: “la ragazza vestita di strati rimarrà sola per tutta la vita, con la sua paura e il suo disgusto” (p. 165).  Solo l’incontro momentaneo con Jeanne, una scrittrice in visita alla sua scuola, apre una breccia nella sua corazza: nelle parole della donna, la giovane si riconosce e a sua volta si sente compresa. Forse per questa affinità immediata, prima di andarsene, Jeanne le dona un quaderno blu notte, uno spazio bianco da riempire con tutto quello che le si agita dentro. Il romanzo di fatto coincide con il quaderno stesso, costituendo una sorta di opera ibrida, in cui alle parole che la protagonista rivolge alla donna lontana, nella forma di lettere che non intende spedire, si alternano schizzi, disegni, ritagli di giornale raccolti per un compito di scrapbooking, fotografie scattate al mondo circostante.
Se la scrittura rappresenta per la narratrice una prima valvola di sfogo, il vero elemento di svolta è però rappresentato dalla scoperta di un capannone abbandonato, che può diventare rifugio e spazio creativo. Qui la ragazza può costruirsi la propria tana, lasciar spazio alla fantasia, tentare di rappresentare su una parete le figure che le affollano la mente, in particolare quella di una giovane donna nuda, inerme, che fluttua tra le onde – fragile e sognante al tempo stesso – come l’Ophelia di Shakespeare di cui ha voluto – solo in segreto – assumere il nome, per assumere un’identità che la rispecchi maggiormente rispetto a quella segnalata all’anagrafe, esposta al mondo esterno.
Quando arriva al capannone e decide di farne il suo angolo di libertà, Ophelia non è però ancora pronta per ritrarre la “ragazza a testa in giù”. Sono ancora troppi i suoi nodi irrisolti, troppe le angosce che non ha il coraggio di affrontare. Ancora non è pronta ad ammettere la sua totale identificazione con questo personaggio fragile, incarnazione della sua ingenuità perduta (“fluttua e non ha alcun guscio. Se qualcuno si avvicina per attaccarla, non può difendersi”, p. 204). Ancora prevale il suo desiderio di proteggerla, come lei stessa non è stata protetta:
Ho guardato a lungo la mia ragazza a testa in giù, la sua faccia spaventata, la bocca aperta, le dita divaricate come artigli che cercano di aggrapparsi a qualcosa. Sembrava sola e prigioniera del muro, e ho sentito quanto soffriva. Ho capito che voleva risprofondare nel mare, là dove non c’è più luce […]. Ho comunque cercato di trattenerla. L’ho toccata con la punta delle dita, le ho sussurrato parole di incoraggiamento, ma vedevo bene che non ero in grado di farla vivere, né di prendermi cura di lei. (p. 54)
Per potersi riconciliare con questa parte di lei, quella che si nasconde sotto gli strati di stracci, è necessario un lungo percorso di accettazione, che la successione delle lettere descrive nel suo progredire. È necessario scoprirsi combattente, sostituire la ragazza fluttuante con un totem più forte, la “ragazza al diritto”, che cammina contro il mondo armata, fiammeggiante. La liberazione assume la forma di una danza selvaggia, emblema del processo della creazione:
Sul muro in fondo, di fronte alla porta a battenti, traccio rapidamente con il gesso la sagoma di una ragazza scarmigliata, la disegno più grande delle dimensioni naturali. Gli occhi sono immensi, la bocca un po’ crudele, le spalle larghe come quelle di un uomo. Con il pennello più grosso applico il rosso e il nero, la pittura densa schizza per terra come sangue, come carbone liquido. E io ballo dipingendo. Ballo una danza selvaggia e febbrile, e lancio urla feroci. (p. 71)
Serve poi confrontarsi con l’alterità, in questo caso rappresentata da Ulysse, un diverso come lei, che invade il suo spazio e poco alla volta riesce a farsi accettare, a instaurare con la ragazza prima un dialogo, poi un’amicizia delicata. Ulysse condivide con lei il capannone, la voglia di reinventarsi, di trovare un nuovo ruolo che lo rappresenti – scegliendo quello di un eroe viaggiatore, per poter meglio sognare un futuro lontano da una realtà che calza troppo stretta.
Per guarire, Ophelia deve soprattutto scoprire la cura, attraverso l’adozione del cane Tripode, e la riconciliazione, attraverso un’apertura nei confronti della madre. Deve fare i conti col dolore, il lutto, la rabbia. Deve anche togliere i vestiti, strato dopo strato, per affrontare la paura. Riscoprire un corpo troppo a lungo negato. Capire che non si può continuare a vivere nascosti, che si deve trovare un modo per fuoriuscire al mondo.
Charlotte Gingras traccia con delicatezza, supportata dalle immagini evocative di Daniel Sylvestre, una storia di accettazione – di se stessi e degli altri. Nel farlo, celebra il potere salvifico dell’arte, della scrittura, e affronta temi delicati – la diversità, il bullismo, la sessualità – senza volerli edulcorare a tutti i costi. Il volume, adatto a un pubblico giovane, a cui parla a un tempo con la semplicità delle parole e la forza comunicativa delle immagini, conferma tra l’altro il coraggio della casa editrice, Giralangolo, che (come aveva già fatto anche con Ferma così e Alex & Alex) porta all’attenzione del suo pubblico testi forti e mai banali, che associano alla qualità letteraria un approccio intelligente a questioni che non possono e non devono essere ignorate.     

Carolina Pernigo







Ombre lunghe e linee spezzate nella colazione di @quinquilia, che legge di Ophelia, protagonista di questo particolare volume edito da @giralangolo. Soprannominata "la stracciona" per la sua abitudine a nascondersi sotto spesso strati di vestiti scuri, la quindicenne conduce una vita di rabbia e solitudine, trascurata da una madre ignorata e incapace di esprimere tutto ciò che ha dentro. Forse anche per questo si identifica con la giovane donna annegata di Shakespeare, che trova nel suo fluttuare nell'acqua una serenità che a lei pare negata. Almeno finché non trova un rifugio in cui, insieme a un amico inaspettato, poter essere veramente se stessa. Il romanzo alterna la voce della narratrice alle immagini - frammentarie, tormentate - con cui lei riempie le pareti e il suo prezioso quadernone blu, creando un volume ibrido che affascina e restituisce appieno la complessità del mondo interiore della protagonista. Anche voi siete appassionati di narrativa ya? Qual è il vostro volume preferito? #charlottegingras #danielsylvestre #giralangoloedizioni #instabook #instalibro #bookstagram #bookoftheday #bookish #igreads #igbooks #readingnow #newbook #bookaddict #booklover #cover #bookcover #inlettura #cosebelle #ya #yanovels
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