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La zona d'ombra della tradizione fiabesca: "The Hazel Wood" di Melissa Albert

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The Hazel Wood
di Melissa Albert
Flatiron Books, 2018

pp. 355
$16.99


Alice e sua madre Ella hanno trascorso la loro vita in fuga, inseguite da un’inspiegabile malasorte che le costringe a spostarsi da una città all’altra. Alla morte della misteriosa nonna di Alice, che all’inizio degli anni Settanta ha pubblicato un’introvabile collezione di fiabe intitolata Tales from the Hinterland sotto il nom de plume Althea Proserpine, pare che per le due sia giunto finalmente il momento di stabilirsi e vivere una vita normale. L’improvvisa scomparsa di Ella, però, costringe Alice a intraprendere un viaggio che la porterà al centro del mondo fiabesco di sua nonna e a convincersi che, forse, le fiabe del suo libro non sono soltanto storie.

In The Hazel Wood, Melissa Albert, fondatrice del Barnes & Nobles Teen Blog, fonde elementi del genere fiabesco e della narrativa young adult. Le premesse sono affascinanti. Il nome di Alice evoca naturalmente il capolavoro di Lewis Carroll, e in effetti la struttura del libro è una vera e propria discesa “nella tana del coniglio”, ma il debito più esplicito è sicuramente quello alla Camera di sangue di Angela Carter (1979), la più nota collezione di riscritture fiabesche in chiave femminista. Le protagoniste delle storie dell’Hinterland sono tutte fanciulle la cui mostruosità scaturisce da un abuso (o più spesso, sottilmente, dalla mera possibilità di un abuso). La stessa Alice, specie nella prima parte del romanzo, soffre di attacchi di aggressività che riesce a controllare a malapena; Albert non dà un nome clinico al suo disturbo comportamentale, ma questa scelta di rappresentazione è un piccolo colpo di genio alla luce degli eventi della seconda metà del libro. 

A monte di questa operazione non vi è però alcuna sovrastruttura moralistica o un grande messaggio finale. La chiave per rappresentare la natura anti-ideologica della riscrittura fiabesca in The Hazel Wood è offerta dalla stessa Albert: quando Ellery Finch, compagno di classe e spalla di Alice, cerca di descrivere il misterioso libro di Althea Proserpine, Tales from the Hinterland, nota che
[i]n quel libro non ci sono lezioni da imparare. C’è soltanto questo mondo crudo e orribile, toccato da un’incantevole magia, in cui succedono cose schifose. E non succedono per una ragione precisa, in gruppi di tre o in modo da dare un senso di giustizia. Sono ambientate in un posto che non ha regole e non ne vuole. E la voce dell’autore [...] è perfettamente impietosa. Lei è come una reporter di guerra a cui non frega assolutamente niente. (traduzione mia)
[There are no lessons in it. There’s just this harsh, horrible world touched with beautiful magic, where shitty things happen. And they don’t happen for a reason, or in threes, or in a way that looks like justice. They’re set in a place that has no rules and doesn’t want any. And the author’s voice – your grandmother’s voice – is perfectly pitiless. She’s like a war reporter who doesn’t give a fuck.]
Il risultato di queste premesse, però, non è del tutto soddisfacente. Beninteso, The Hazel Wood è una lettura coinvolgente: ho divorato il libro in meno di ventiquattr’ore, rimandando altri impegni dietro suppliche del tipo “un attimo, devo finire il capitolo”. Detto questo, ci sono alcuni aspetti difficili da digerire. Per prima cosa, The Hazel Wood sembra spaccato a metà: il romanzo è nettamente diviso in due parti – per usare un paragone à la Carroll, si distingue chiaramente un prima e un dopo l’ingresso nella “tana del coniglio” – ma la transizione dall’una all’altra, qui più propriamente una sutura, non è stata pensata per introdurre gradualmente il lettore in un mondo che funziona secondo leggi nettamente diverse dal primo. Ne consegue che le due parti di The Hazel Wood attirano l’interesse per ragioni diverse. La prima parte intriga per l’andamento simile al calviniano Se una notte d’inverno un viaggiatore e a tutti i testi narrativi che ruotano intorno alla ricerca di un “libro perduto”: Alice non ha mai conosciuto la nonna Althea né letto la sua collezione di fiabe, ma la scomparsa di sua madre è legata a proprio a queste radici recise. La seconda parte, invece, affonda a piene mani nella zona d’ombra della tradizione fiabesca, fatta di atmosfere oniriche e orrorifiche, di stralci di storie di cui è possibile percepire soltanto il fotogramma necessario al proseguimento della trama del libro. Chi è interessato maggiormente agli elementi fantastici proverà un certo fastidio dinanzi alla frettolosità, a volte davvero ellittica, con cui si svolgono elementi determinanti per l’intreccio; arrivare a questa sezione preparati a un’esperienza caleidoscopica e frammentaria potrebbe risparmiare queste delusioni. Senza anticipare troppo, infine, noto che la risoluzione finale arriva (letteralmente) dall’esterno senza troppe spiegazioni, che si spera siano chiarite dall’autrice nel sequel annunciato per la pubblicazione nel 2019.


Affidato al regista e allo sceneggiatore giusti, sfrondato quanto basta e rimpolpato di alcuni necessari passaggi logici, da The Hazel Wood potrebbe uscir fuori un immaginifico adattamento cinematografico. I diritti per l’adattamento del libro, in effetti, sono già stati venduti e la sceneggiatura è stata affidata ad Ashleigh Powell, che ha appena firmato Lo schiaccianoci e i quattro regni (2018), tratto da Čajkovskij. In attesa dell'uscita del film, consiglio la lettura di questo libro agli appassionati di “fairy tales with a twist” penso per esempio ai fan della prima stagione di Once Upon a Time, la serie tv creata da Adam Horowitz and Edward Kitsis nel 2011 che ha dato nuova linfa a noti personaggi della tradizione fiabesca, come la Regina Cattiva di Biancaneve o Tremotino/Rumpelstilzchen – e per chi, in generale, ha sempre prerito la versione originale di una fiaba dei fratelli Grimm alle revisioni edulcorate proposte dalla Disney. Con il caveat che, se le riscritture di Once Upon a Time tendono a sempre a giustificare il male e a ristrutturare le storie secondo un arco redentivo, di redenzione e giustificazione morale qui non c’è neanche l’ombra. The Hazel Wood, ricorda Albert, è un mondo che non ha regole e non ne vuole.

Laura Ingallinella
@lauraingalli