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Il crinale tra bene e male sempre più sfumato per tre “sbirre”

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Sbirre
di Massimo Carlotto, Giancarlo De Cataldo, Maurizio De Giovanni
Nero Rizzoli, 2018

pp. 221
€ 18,50 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


Ci sono delle ombre, in queste donne, come c'è del nero nel nostro presente, che seppellisce segreti nel deep web o in una sim del cellulare. Lo stesso crinale tra bene e male è sempre più sfumato, e lo sanno bene le protagoniste di Sbirre, opera che raccoglie tre racconti lunghi firmati da altrettanti maestri del noir italiano. Un'operazione del tutto commerciale in vista delle letture da ombrellone? Non è dato saperlo, né è rilevante: conta quanto ci si immerga subito nelle tre storie, cascando nella trappola degli scrittori, ovvero cercando di arrivare prima possibile alla soluzione del crimine. E, a quanto pare, imbattersi nel crimine richiede alle sbirre di farne parte almeno temporaneamente, di sporcasi le mani e di rischiare di entrarvi anche troppo. 
Nel primo racconto, Senza sapere quando, firmato da Massimo Carlotto, la sua protagonista Anna Santarossa entra in scena in una camera d'albergo, dove è solita darsi appuntamento con l'amante Zeno Degrassi: una storia di sesso, poco più, però duratura e soprattutto una via d'uscita dalla loro quotidianità. A unirli, anche un altro segreto: una tangente che entrambi intascano per passare informazioni utili alla mafia bulgara che così può oltrepassare confine indisturbata per loschi traffici. Poi, tutto precipita: con la morte di Zeno nelle prime pagine, l'incubo di Anna ha inizio e il castello di carte che aveva ben costruito sembra sfaldarsi proprio sotto ai suoi piedi. Anche la verità non è quel che sembra e in queste poche pagine per lei e per noi lettori si presenteranno molteplici colpi di scena.

Ambientato in un inquietante gioco di omicidio-suicidio, indotto attraverso il web, è La triade oscura di Giancarlo De Cataldo. Il suo commissario, Alba Doria, entra in una stanza e trova a terra il vicequestore Paolo Petti (vivo o morto?, difficile a dirsi) e il fantomatico Maestro, a cui indirizza una scarica di pallottole. Ma cosa era successo prima? Tutto basato sul flashback, il racconto di De Cataldo ci fa tornare a due mesi prima, quando Alba Doria si era imbattuta per la prima volta in un caso di omicidio-suicidio: il giovanissimo Sergio aveva prima ucciso in modo macabro il padre e poi si era tolto la vita gettandosi nel vuoto e portando con sé il pc. A chi si rivolgeva il giovane omicida, guardando il monitor e registrando il video? Per Alba Doria si è aperta così un'indagine decisamente particolare, che la porta a scavare a fondo nei meandri del web ma anche in sé stessa, pur correndo il rischio peggiore, che scoprirete leggendo il racconto.

Un'indagine più intima è quella che sceglie Maurizio De Giovanni in Sara che aspetta: nel suo bestseller recente Sara al tramonto avevamo trovato la sua protagonista, ex intercettatrice (o meglio in pensione, dal momento che non si smette mai di essere poliziotti), alle prese con i fantasmi del passato, il suo amante defunto e il figlio Giorgio Alberti, prematuramente scomparso in un incidente. In Sara che aspetta De Giovanni ci porta proprio là, a poche ore e sul luogo dell'incidente, quando Sara è anzitutto una madre che vuole fare luce sul “caso” per eccellenza: la morte del figlio. Come reazione al dolore, la ricerca della verità è un'esigenza fortissima per lei, nonché un modo per conoscere un po' di più quel figlio prematuramente abbandonato, stringere la mano della sua compagna incinta, Viola, e provare a darsi una spiegazione di quanto accaduto. 

Tre donne diversissime, dunque, ugualmente unite dal coraggio e sprezzanti del pericolo, mosse dal bisogno di fare chiarezza ad ogni costo, anche se questo richiede di mettere in bilico il proprio presente, rimestare nel passato e lasciare il futuro sospeso nell'ignoto, senza appigli rassicuranti. Sono tutte donne che devono ribadire la propria forza di fronte ai colleghi uomini, che, specialmente nel caso di Anna e di Alba, si sentono autorizzati a commenti maschilisti e misogini. Liberarsi dai luoghi comuni non è semplice, ma tutte e tre le protagoniste fanno il possibile per nascondere le proprie fragilità dietro atteggiamenti decisi, la pistola carica, un lessico determinato e pronto al turpiloquio, se necessario. 
Dunque, sarebbe sbagliato pensare: sono donne, ma sono sbirre; molto meglio: sono donne, e sono sbirre. Due caratteristiche che non sono affatto antitetiche, anzi si influenzano inevitabilmente, costringendo le tre a un accurato lavoro sulla propria immagine, sul carattere, per difendersi in un mondo che è certamente perlopiù maschile. E maschilista. 
Siamo ancora lontani dal liberarci da certi pregiudizi e da ancora peggiori luoghi comuni; certamente, una raccolta come Sbirre ci aiuta a scoprire il mondo del crimine osservato da occhi diversi dal solito. 

GMGhioni


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