di Annie Ernaux
BUR, aprile 2025
Mia madre è la forza e la tempesta, ma anche la bellezza, la curiosità per il mondo, l'apripista sulla strada verso il futuro, che mi dice di non aver mai paura di niente e di nessuno. (p. 26)
Ernaux tratteggia la figura dei genitori con grazia e ammirazione. Un padre che non ha problemi nel lavare i piatti e sbucciare le verdure, coccolare la figlia:
I miei genitori condividono le competenze, le preoccupazioni, il registratore di cassa che lui svuota ogni sera, mentre lei lo osserva contare. Dicono, lui o lei, «giornata magra», altre volte, «oggi bene, dai». L'indomani uno dei due andrà a depositare il denaro sul conto in posta. Non svolgeranno esattamente le stesse mansioni, esisteva pur sempre una divisione di ruoli, ma non aveva nulla di tradizionale, eccezion fatta per i panni, da lavare e da stirare, di cui si incaricava mia madre, e la manutenzione dell'orto, compito di mio padre. Tutto il resto sembrava essere dettato dai gusti e dalle inclinazioni di ciascuno. (p. 27)
Tutte le donne dell'infanzia della protagonista erano tutt'altro che defilate e remissive: parlavano sempre a voce alta, vestivano in maniera dozzinale e trasandata, erano tutt'altra cosa rispetto alle donne che apparivano sulle riviste. La "svolta" tra infanzia ed età adulta, quindi ha radici non solo psicologiche ma soprattutto sociologiche. Dopo il trasferimento a Rouen per studiare e il suo ingresso all'Università, Annie Ernaux, vede accrescere le tensioni verso l'omologazione già affiorate in pubertà, nel momento in cui si inizia ad interessare ai ragazzi e ai mezzi per risultare interessante. Dimentica pian piano, cioè, la lezione più vivida imparata dalla madre, «che la vita è fatta per tuffarcisi dentro, per godersela, e che nulla avrebbe potuto impedircelo» (p. 47).
La differenza di genere e la differenza di classe sono i due binari attraverso i quali la protagonista diviene la donna gelata, «un puledrino domato» (p. 40). Paradossalmente la classe borghese a cui approda Ernaux con la vita cittadina e universitaria, pur emancipandola socialmente, la inchioda come donna agli stereotipi di genere. Uno dei conflitti vissuti dalla protagonista del romanzo è che il modello femminile imparato a casa non si adatta a ciò che la società richiede. Quindi abbiamo una donna scissa tra la vita vissuta tra le mura domestiche e i dettati o i compiti dati dalle maestre a scuola, nei quali la mamma prepara le torte, cuce i vestiti e si esprime a bassa voce. Questa "educazione" in realtà infiacchisce la forza della protagonista e la spinge inconsciamente a rinnegare la libertà, che era una cifra della vita della madre. Ciò che non poteva immaginare la protagonista è che nell'amore, nella vicinanza di cultura e formazione, nel matrimonio si potessero celare come fantasmi gli archetipi sociali che apparentemente lei rinnegava.
Papà va al lavoro, mamma sbriga le faccende domestiche, culla il bebè e prepara una bella cenetta. E dire che ero certa che non mi avrebbe mai riguardata, quel ritornello della prima elementare. Fino ad allora avevamo trascorso buona parte della giornata insieme, non pelava le patate ma era lì, le patate sembravano più allegre. Guardo le tazze, il posacenere pieno, tutti gli avanzi del mattino di cui sbarazzarsi. Che silenzio qui dentro, quando il Picio smette di gorgheggiare. Vedo il mio riflesso nello specchio sopra il lavandino ancora sporco. Venticinque anni. Come ho potuto pensare che fosse questa, la pienezza? (p. 217)
Come dicevo, Ernaux non fa sconti a nessuno, soprattutto a se stessa. Come una lama tagliente, la sua scrittura dice le cose scomode, "immorali", "sbagliate" che infrangono i miti della gravidanza, della maternità, rivelando quanto sia difficile diventare madre, vedere sparire il proprio tempo, sentirsi abbandonata ad un destino meramente materiale e di assistenza continua. Così, l'io narrante non è solo un io-Ernaux, ma si profila una voce indomita – proprio l'aggettivo che lei usa per il suo ritorno sui libri – che accomuna le donne in cerca di una identità più complessa e libera.
In questo senso, ha perfettamente ragione Chiara Tagliaferri, che cura la prefazione, quando scrive nella quarta di copertina che la scrittura di Annie Ernaux è una scrittura politica, perché la sua storia «è la storia di tutte».
Deborah Donato
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