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#ScrittoriInAscolto - "Inviata speciale", incontro con Jean Echenoz

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Inviata speciale
di Jean Echenoz
Adelphi, 2018


Traduzione di Federica e Lorenza Di Lella


pp. 248
€ 18 (cartaceo)
€ 1,99 (ebook)


A Constance era già capitato di essere scrutata in quel modo ma stavolta le è parso che l’esame non avesse intenti medici o libidici. Poi, voltandosi verso Objat: «Ha ragione, ha detto Bourgeaud, credo proprio che possa fare al caso nostro».
«Mi scusi, si è spazientita Constance, ma di quale caso sta parlando? È semplice, ha risposto il generale, la manderemo a destabilizzare la Corea del Nord». 
Qualcuno ha rimproverato Echenoz di misoginia. Lo ha raccontato di fronte a una piccola platea di blogger qualche settimana fa, a Milano. A fare da mediatore per noi c’era Giorgio Pinotti, che dell’autore ha tradotto Il mio editore, Ravel e Correre, tra gli altri.

Stavolta, ha detto, la protagonista del romanzo è una donna; e mi dispiace di non aver avuto la prontezza di spirito per controbattere che i miei personaggi maschili sono trattati molto peggio delle donne. Inviata speciale, l’ultimo romanzo uscito per i tipi di Adelphi (recensito qui), non fa eccezione a mio parere: i personaggi maschili fanno male i conti, sono spesso spietati, e anche quando sono di buoni sentimenti risultano impacciati. La protagonista, Constance, ha suscitato molte curiosità che Echenoz ha soddisfatto con la sua ironia. «Per scrivere di lei ho lavorato da scrittore, osservando: Constance è la somma di molte delle donne che ho incontrato, tutte hanno contribuito». Il risultato è una donna molto attraente dal carattere mite; si è ritrovata per caso a cantare una canzone pop che nel tempo è diventata un tormentone internazionale, persino nella Corea del Nord. Ed è proprio per la sua inconsapevolezza che viene scelta per la delicata missione di portare un po’ di scompiglio in quel paese atroce. 

Per ricostruire un’immagine realistica della Corea, Echenoz racconta di aver letto molti libri, racconti, di aver assistito a delle conferenze; quando ha cominciato a scrivere Inviata speciale, la Corea del Nord «era un paese chiuso, isolato, un oggetto irreale eppure presente, una specie di orrore sul posto: era proprio questa combinazione tra realtà e la sua assoluta irrealtà che mi interessava indagare», confessa. 

La storia comincia con un rapimento, ma non c’è troppa tensione, come se l’autore volesse oliare bene i meccanismi della trama prima di entrare nel vivo, quando il libro diventa avvincente; e tra i vari espedienti che contribuiscono a tenere il lettore sulle spine quello più efficace è lo spostamento del deus ex machina degli eventi da un personaggio all’altro: quando penseremo di sapere chi c’è dietro a queste sordide storie ci ricrederemo puntualmente; un altro espediente riuscito è quello del narratore al plurale: le vicende sono raccontate da un misterioso noi, pronto a risolvere tutti i piccoli problemi della trama in modo indolore e testimoniando quanto l’autore si sia divertito a scrivere: 
Benché ci siamo un giorno vantati di essere i più informati di tutti, dobbiamo ammettere che al momento non sappiamo che ne sia stato di lui. Ma contiamo sui nostri informatori che dovrebbero tenerci al corrente, li abbiamo allertati, si vedrà. 
Ogni pagina è percorsa da questa piacevolissima vena ironica, anche nei suoi momenti più truci, questo fa di Inviata speciale un romanzo divertente, che impegna il lettore con personaggi strampalati. La curiosità su uno scrittore comincia dalle sue pagine per poi gironzolare intorno alle abitudini di scrittura ed Echenoz ha raccontato di non avere particolari rituali, ma un flusso, un movimento che fa sì che si lavori, la mattina, soprattutto, perché richiede molte energie; richiede inoltre un tavolo e un dizionario, aggiunge, descrivendo una particolare «ansia di verifica delle parole». Avevo letto in un’intervista di una sua tale ossessione per le parole e per la lingua francese che gli faceva prediligere solo autori francesi, con una rinuncia alle traduzioni; così gli ho chiesto come mai. Echenoz ha smentito con gentilezza, rivelando invece come molti autori tradotti siano stati decisivi per la sua formazione: Dickens, Faulkner, Nabokov e Puškin soprattutto. 

Dopo le domande e le risposte abbiamo tutti sorseggiato un po’ di vino bianco, rompendo le righe. Mi sono accorta così che nessuno ha approfittato della presenza di entrambi gli ospiti per domandare qualcosa sulla traduzione, così mi sono avvicinata a Giorgio Pinotti per chiedere com’è stato tradurre Echenoz e se si è rivelato disponibile. Ebbene sì, Echenoz non è un pignolo, persino da traduttore non coinvolge gli autori nei problemi che affronta. Poi Pinotti lo ha avvicinato e gli ha riferito ciò che ci eravamo detti. 

«Non sono un Nabokov», è stato il suo commento.


@Lorraine_books


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