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#PagineCritiche - Uno splendido e variopinto affresco giapponese: Iro Iro, di Giorgio Amitrano

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Iro Iro. Il Giappone tra pop e sublime.
di Giorgio Amitrano
Milano, DeA planeta libri, 2018

pp. 256
€ 16,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)


«Da qualche tempo avvertivo una certa insoddisfazione che il mio lavoro di docente universitario e la mia attività di traduttore non riuscivano a colmare. Continuavo ad amare l'insegnamento e la ricerca ma cominciavo a sentire il bisogno di scrivere qualcosa di diverso e più personale.» (p. 9)
È questa la premessa che accompagna l'esordio di Iro Iro, un libro appassionante che fa del Giappone il punto d'arrivo e di partenza. La narrazione è divisa in capitoli tematici, e in essi l'esposizione teorica riguardo agli aspetti più importanti della cultura giapponese si fonde con i ricordi e le esperienze biografiche dell'autore, uno dei massimi esperti di cultura nipponica. Giorgio Amitrano, infatti, traduttore di chiara fama, è conosciuto presso il grande pubblico come traduttore di diversi scrittori nati nel paese del Sol Levante, tra cui il celeberrimo Murakami Harumi.
Eppure, l'attività di traduzione e quella di insegnante universitario non metteva a tacere quella voce che gli suggeriva fosse venuto il momento di un salto in avanti, un balzo inaspettato, un cambiamento in grado di provocare una variazione di rotta. Quella voce verrà impersonata da Cesare Garboli, uno dei più importanti scrittori e critici italiani del Novecento, il quale, sfoderando una stupefacente capacità analitica, indirizzerà Amitrano in direzione di un libro che potesse unire il suo talento comunicativo e la sua immensa e profonda conoscenza del Giappone.

«Devi amarlo, questo libro, e scriverlo in piena libertà. E amare te stesso mentre lo scrivi. Dev'essere un libro che nessun altro potrebbe scrivere. Un libro che puoi scrivere solo tu.» (p. 11)
Garboli, quindi, fa affiorare in Amitrano la consapevolezza che scrivere un libro sul Giappone fosse ciò di cui egli aveva davvero bisogno. Nell'opera, come già detto, confluiscono teoria ed esperienza biografica, dando origine ad un connubio in cui elementi diversi si fondono per creare un risultato nuovo e originale. Come l'autore scrive nella Premessa, durante la stesura del libro un genere letterario nipponico ha esercitato una forte influenza: lo zuihitsu,
«che significa “seguire il pennello”, ed è un genere che ha origini molto nobili. […] la definizione che ne dà un dizionario giapponese, il Daijisen, tradotta in italiano suona più o meno così: “testo in cui l'autore, affidandosi al pennello, scrive in forma libera le proprie conoscenze, esperienze, riflessioni”.» (p. 13)
Ad una breve prima parte in cui l'autore, sfruttando tutta la propria cultura, compie una felice digressione riguardo la fortuna del Giappone all'estero e la percezione della cultura nipponica, interrogandosi anche sulle ragioni della relativamente recente fortuna dell'Oriente nel mondo occidentale, segue il primo dei capitoli che costituiscono il libro, la scrittura. Seguono, nell'ordine: la cerimonia, la felicità, la realtà (e l'irrealtà), le stagioni, il karaoke, la bellezza. Varietà e molteplicità di argomenti, situazioni e luoghi, quindi, come, d'altronde, intuibile già dal titolo:
«Iroiro è un termine che si usa per indicare una varietà eterogenea di cose: questo e quello, un po' di tutto, molto, tanto, abbastanza… Il carattere con cui si scrive è quello di iro, “colore”: raddoppiato indica varietà, assortimento, molteplicità (parola cara a Calvino) ma con in più un elemento policromo. Non indica soltanto qualcosa di vario, ma anche di variopinto.» (p. 15)
Un'esplosione di sentimenti, ricordi, flashes, situazioni, improvvise coincidenze: tutto concorre a definire un libro variegato ma non per questo chiassoso. La varietà che lo caratterizza, infatti, risentendo forse della cultura di cui si sta facendo portavoce, è organizzata metodicamente in capitoli a loro volta organizzati in brevi paragrafi e nell'evolversi del discorso gli apporti personali cedono armoniosamente il passo alle spiegazioni più teoriche. Quello che ne risulta è un affresco multicolore di situazioni e luoghi, con decise virate verso esposizioni precise e puntuali riguardo aspetti caratterizzanti la cultura giapponese. Un esempio riguarda il karaoke: quest'attività è talmente popolare in Giappone, che i ragazzi, già dalla tenera età, ricevono un'ottima educazione musicale ed è quindi piuttosto normale che un nipponico sia intonato. Quando ciò non accade, e la formazione ricevuta non può nulla contro una naturale inclinazione alla stonatura, la mancanza di talento musicale viene vissuta con un enorme disagio:
«Ma per gli stonati vivere in Giappone al tempo del karaoke può essere duro. Questo l'ho scoperto da un programma televisivo dedicato al tema delle persone stonate. Alcuni degli intervistati, afflitti da questo grave handicap, provavano una tale vergogna che lo loro tesimonianze venivano trasmesse col viso oscurato e la voce deformata in modo da renderla irriconoscibile, come si fa in Italia per i collaboratori di giustizia». (p. 184)
A racconti di questo genere, calati nella realtà nipponica quotidiana, si alternano pagine di deciso spirito lirico, in cui il lettore viene catapultato nel Giappone vissuto da Amitrano. L'autore, infatti, possiede una scrittura fortemente evocativa, e attraverso la precisione e la perizia di particolari, il lettore può immaginarsi con estrema nitidezza le scene e le situazioni descritte. Poche righe, e ci sembra di essere lì con lui: una stanza dalle pareti scorrevoli, pochi arredi essenziali, solo il fruscio delle piante a fare da sottofondo e tra le mani una piccola e preziosa tazza di the, da sorseggiare lentamente.
Valentina Zinnà

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