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Atlante delle sirene: tra arte, cinema, letteratura e folclore, Agnese Grieco ci fa da guida nel mondo delle creature che ci incantano da millenni

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Atlante delle sirene. Viaggio sentimentale tra le creature che ci incantano da millenni
di Agnese Grieco
Il Saggiatore, 2017

pp. 343
€ 28


Sirene: creature ibride per antonomasia, sospese tra due mondi, quello aereo e quello terrestre. Oppure tra l'universo acquatico, misterioso, abissale, e quello piano, consequenziale, terreno, umano. A metà tra istintualità e razionalità, animalità e deità. In grado di uccidere o custodi di un misterioso sapere. In grado di uccidere in quanto custodi di un misterioso sapere. Cantanti, seduttrici, ondine, muse e ninfe, mostri, malefiche rusalki, bariste che si sporgono – querule e accattivanti – oltre il bancone-scogliera dell'Ormond Bar joyciano, sirens o mermaids, bionde hollywoodiane dall'azzurra coda di pesce o spaventose nure-onna giapponesi. Nel suo continuare a ripresentarsi in una quantità di forme, culture, epoche, letterature, nell'assidua conservazione dei tratti tipici e nella stratificazione simbolica assunta col mutare del tempo, dello spazio e della sensibilità, questa archetipica creatura ci incanta ormai da millenni, incarnando, di volta in volta,  paure, desideri, amore per il sapere o per l'arte, irrazionalità, ispirazione, ribellione sociale.

L'ambizioso progetto di Agnese Grieco, nel suo Atlante delle sirene, è quello di costruire per il lettore un singolare percorso alla scoperta "delle creature che ci incantano da millenni": un percorso "sirenico", appunto. Non una rassicurante indagine diacronica di tipo storico-antropologico e nemmeno uno studio di natura estetico-folclorica cronologicamente ordinato che analizzi le tracce che le sirene hanno lasciato nell'arte e tra le pagine tanto delle grandi opere quanto della cultura popolare di ogni tempo.
Certo, c'è anche questo.
Ma, soprattutto, il lettore viene accompagnato lungo un sentiero costellato di testi e immagini, tra le pagine di monumentali creazioni letterarie e di ingialliti fogli di giornali d'epoca, dietro le quinte di maestosi palcoscenici o all'interno di bizzarri musei ottocenteschi. A chi legge non resta che abbandonarsi alla corrente di questo oceano di materiali  e suggestioni: non a caso la Grieco parla di "viaggio sentimentale" e con una trattazione "liquida" – o, se si preferisce, “aerea” – l'autrice si muove agilmente tra nuclei tematici; con un colpo di coda spiazza il lettore con argute intuizioni comparatistiche in grado di mettere in dialogo fra loro letterature o forme d'arte apparentemente distanti, argomentando e focalizzando l'attenzione sulle molteplici percezioni e interpretazioni a cui la leggendaria creatura – il suo canto, il suo corpo, il suo potere salvifico, fondante o fatale – ha dato adito. Nel volume inoltre trova posto non solo l'infinita schiera delle sirene di ieri e di oggi ma ci vengono raccontate le storie di quelle figure, reali o letterarie, che della sirena propriamente detta condividono i tratti e la natura. 

È in tale ottica che questo appassionante saggio divulgativo, corredato da un sontuoso apparato iconografico, si apre con – a mo' di bizzarra introduzione – uno scritto su L'iguana di Anna Maria Ortese: ci aspettiamo sirene dalle lucide code di pesce o dalle ali di uccello e invece ci troviamo di fronte a questa strana, minuta, donna-rettile che, a metà degli anni sessanta, risiede sulla "cornuta" Isola di Ocaña. Quale sia il fil rouge che collega il personaggio e il racconto ortesiani alla trattazione della Grieco, lasciamo al lettore il piacere di scoprirlo.

«Quid sirenae cantare sint solitae?»: cosa sono solite cantare le sirene?
Questa la domanda con cui l'imperatore Tiberio amava spiazzare i grammatici della sua epoca.
Perché il canto e il messaggio a esso affidato, nel caso delle sirene, sono e restano un vero e proprio mistero: per questa ragione, nel volume edito da Il Saggiatore, l'autrice riunisce i primi capitoli del proprio studio sotto la dizione Voce. E il viaggio, com'è naturale, parte proprio da quelle sirene immortalate per sempre dal poema omerico e da ciò su cui da sempre ci si interroga: cosa udì Ulisse, legato all'albero maestro della propria nave? L'Odissea ci narra solo ciò che le creature promisero di narrargli: la guerra tra Argivi e Troiani, “quello che accade sulla terra ferace”.
Ovvero, secondo l'ipotesi di Calvino riportata dalla Grieco, la stessa Odissea poiché :
"la tentazione del canto di inglobare se stesso, di riflettersi come in uno specchio si presenta varie volte nell'Odissea, specialmente nei banchetti dove cantano gli aedi; e chi meglio delle Sirene potrebbe dare al proprio canto questa funzione di specchio magico?".
Per Cicerone, del resto, secondo quanto espresso nel suo De finibus bonorum et malorum, i naviganti non venivano sedotti  dalla dolcezza del canto o da storie guerresche ma, coerentemente alla lettura filosofico-antropologica che all'episodio attribuisce il grande oratore, dalla chimera di ricevere in dono una  maggiore sapienza: le sirene sono qui esseri semi-divini che divengono, colti nel pieno del loro potere ammaliante, simbolo e allegoria di innatus cognitionis amor et scientiae. In quest'ottica, Odisseo sarebbe il campione di quella curiosità, propria dell'umana natura, che lo spinge a cercare gioia e realizzazione nello studio e nella ricerca.
Kakfa invece, ci racconta ancora la Grieco, aveva tutta un'altra idea dell'eroe greco e dell'episodio omerico: ne Il silenzio delle sirene, esso assume i tratti della narrazione di un equivoco. Le sirene sono creature magiche in confronto alle quali Ulisse appare come piccolo e stolto uomo, rappresentazione diametralmente opposta alla consueta icona dell'astuto guerriero, legato alla concretezza dei propri mezzucci (cera per turare le orecchie, corde e catene) che contrappone a un mondo arcano e sovrannaturale. Di fronte a lui, le sirene non cantano. La nave sfila circondata da un ostinato silenzio che l'eroe interpreta, equivoca, come canto.
Per Brecht, le sirene gonfieranno sì le gole, ma per inveire contro quel pubblico incompetente e superficiale rappresentato dall'equipaggio acheo e l'episodio, nell'interpretazione del drammaturgo tedesco, si volge in acuta riflessione sul rapporto che intercorre tra performer e pubblico.

Fin qui, solo degli assaggi. La trattazione di Agnese Grieco si muove in molteplici direzioni e, se nella macrosezione Voce confluiscono l'Ulysses di Joyce, le sirene wagneriane del Tanhäuser, le Argonautiche orfiche, Partenope come mitica fondatrice di Napoli e Adriana Basile, cantante e polistrumentista di epoca rinascimentale, oltre a moltissimi altri spunti e testimonianze, nelle successive sezioni Corpo e Incontri, siamo invitati a esplorare i recessi dell'immaginario umano inerenti alla percezione della singolare fisionomia dello straordinario e ibrido essere. Non più creatura alata e imponente come accadeva nell'iconografia antica, quella esposta al Barnum's American Museum di New York nel 1842  è una sirena, o meglio un corpo di sirena, ridotta al rango di curiosità naturalistica. Sirena come freak, come oggetto di morboso interesse per le anomalie della natura. Un altrettanto sfortunato destino, quello di divenire oggetto di studio o, al più, attrazione pubblica, potrebbe verificarsi anche per la biondissima e flessuosa sirena del film Splash. Una sirena a Manhattan di Ron Howard (1984) se il lieto fine non intervenisse a sbrogliare la faccenda. Ma la Grieco ci offre altre e ben più succulente sirene cinematografiche: dal brillante Miranda di Noël Coward (1948) alla fascinosa e travagliata protagonista de La Sirène du Mississipi di François Truffaut (1969) sino alle sirene di quella bizzarra rivisitazione dell'Odissea messa in scena dai Coen in O Brother, Where Art Thou? (2000).

Di particolare interesse – oltre che in grado di offrire ottimi spunti di lettura – è il capitolo Divorare o essere divorati: si apre infatti con la citazione dell'apocalittica e surreale visione, ordita da Curzio Malaparte ne La pelle, di una bambina-sirena presentata a tavola come portata principale: una "sirena alla maionese con contorno di coralli". Atrocità e contraddizioni durante l'occupazione del territorio da parte dell'esercito alleato che si spingono fino all'infanticidio e al cannibalismo e contemporaneamente naufragio di qualsiasi speranza in una Napoli defraudata anche del proprio immaginario: una possibile discendente di Partenope giace morta su un vassoio d'argento al centro della tavola, nella casa di un generale americano. Da divorate a divoratrici: la situazione – e la simbologia – si inverte, si risemantizza, quando è la sirena a divorare, metaforicamente e fisicamente, l'uomo che ha la sfortuna di innamorarsene e che, pur senza comprenderla, la vuole a ogni costo possedere: è il caso  del protagonista del racconto fantastico Biografia di una ninfa dello scrittore giapponese Kōbō Abe. Di nuovo, nel corso della trattazione, l'accento torna a porsi su cosa definisca ciò che è umano e ciò che non lo è e come ci si debba comportare nel muoversi verso una definitiva, e forse non soddisfacente, soluzione del quesito. O ancora: qual è l'intimo messaggio di cui questa creatura antica – ponte fra due mondi,  in grado di connettere il divino con l'animale saltando l'umano – si fa latrice? Un'immagine che sfugge, che è sempre altra, capace di suscitare l'eterno desiderio dell'uomo, forse personificazione della perdizione e dell'incompletezza di cui ogni desiderio è veicolo ed effetto.

Oppure ribellione, ostentazione della propria differenza e del doloroso destino che spesso ne consegue, essere che grida il proprio diritto a non ottenere stabile e duratura cittadinanza in un solo mondo, simbolo del carattere eversivo dell'arte. In ques'ultimo senso, felice parentesi del saggio è senza dubbio il capitolo Ondina se ne va, il cui titolo rimanda all'omonima opera di Ingeborg Bachmann di cui Grieco propone un' emozionante lettura.
Sta al lettore immergersi nel mare delle rappresentazioni e decidere in cosa consista il senso dell'ineffabile messaggio che sin da tempi antichissimi, queste abitatrici di abissi e arenili, di scogli e corsi d'acqua, cercano di comunicarci. Di certo, durante questo avvincente percorso, pagina dopo pagina, a tirarci prepotentemente per la manica, a strattonarci, a supplicarci di seguirla sin nei più remoti recessi oceanici, a mostrarci il suo volto celestiale o spaventoso, è una sirena che da sempre e incessantemente, nonostante si trovi a solcare gli inquinati flutti della civiltà postmoderna e industriale, continua a porci importanti quesiti e a incantarci: l'Arte.

Nike Gagliardi