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#IlSalotto - Con Marco Caneschi

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Lo avevamo recensito due anni fa: "La Juventus spiegata a mia figlia" ci aveva colpito per la capacità di fondere una passione forte come quella calcistica alla dolcezza e all'amore per la propria figlia. C'è qualcosa di più bello che donare a chi amiamo una parte importante della nostra vita? Ecco perché, dopo due anni di presentazioni in giro per l'Italia a condividere la propria esperienza con tanti lettori e tifosi, abbiamo pensato di intervistare Marco Caneschi. Complici due occasioni: la riedizione del suo libro (un bel traguardo!) e... l'attesissimo scontro in Champions tra Juve e Barcellona questa sera!

La nuova edizione aggiornata di La Juventus spiegata a mia figlia esce a distanza di due anni: cosa troverà in più il lettore?
Troverà un approfondimento della riflessione sulla tragedia di Bruxelles e 30 pagine ulteriori che testimoniano l'orgoglio e la passione di altri anni vissuti juventinamente, per parafrasare il film di Peter Weir, con in panchina un mio corregionale: il livornese Massimiliano Allegri. Tu saprai, avendo frequentato Pisa, che Livorno, alla quale ci stringiamo dopo i fatti di questo fine settimana, è una città toscana particolare, figlia di pirati, levantini ed ebrei, quindi il carattere di Allegri è un po' da... Ovosodo. Ma a me piace. Tenace e donnaiolo. Per cui quando con l'editore si è parlato di una seconda edizione del libro mi è parso bello ampliare il discorso a questo condottiero, agli anni che lo hanno contraddistinto e che ci hanno portato a due finali di Champions. Purtroppo perse.

Due anni non sono pochi, soprattutto se viaggi intensamente e ti confronti con i lettori in incontri con l’autore e presentazioni. Cosa significa parlare in pubblico della propria grande passione?
Significa incontrare persone diverse, seppur nella comune juventinità. Sono stato a festival letterari, in scuole, in club bianconeri doc sparsi nella penisola. Solo da questo sommario elenco, ti farai l'idea di come il pubblico possa essere diverso. Incontri soggetti variegati, dall'ultras all'intellettuale, se vogliamo. Ciascuno ha il suo linguaggio, ha il suo vocabolario e soprattutto si aspetta di ascoltare certe cose: l'ultras vorrà una discussione con toni perfino accesi, un posato frequentatore di festival vorrà capire, faccio un esempio, come il calcio possa essere usato anche come “autobiografia” di una nazione. Allora devi dare una botta di qua e una di là. Tra tutte le persone incontrate, te ne cito una che ricordo con grande piacere: un tizio in Salento. Mi avvicina e mi fa: sono un ex carcerato, un ex tossicodipendente ma non sarò mai un ex juventino. Ha ragione. Fra tantissimi anni, da vecchi, penseremo anche noi alle cose di cui potremo dirci ex. Studenti, fidanzati di quella o quell’altra tipa, impiegati, militanti, giornalisti... ma la Juve resterà l’unica incrollabile fedeltà. Ovviamente #finoallafine».

Da ogni pagina del libro, si comprende che Juve per te è ben più di una squadra di calcio. Cosa rappresenta?
Un motivo di felicità nella vita. Sembra incredibile, no? Ma dobbiamo domandarci proprio questo: com'è che la felicità dipende da cose che nulla hanno a che vedere con noi stessi. Per me la felicità viene da fuori, non essendo un monaco tibetano che se ne sta a meditare e trova il nirvana dentro di sé o un religioso che fa della intima fede la ragione dell'esistenza. E lo sai cos'è la felicità da quel 24 aprile 1977 quando, allora bambino, vidi per la prima volta la Juventus dal vivo in uno stadio? È la sensazione di stomaco libero che permette di gettare alle spalle ogni timore o preoccupazione quotidiana per un tempo che dura all’incirca due ore: dal fischio d’inizio al fischio finale di una partita in cui i colori bianconeri regalano una gioia. Poi però quel bambino è diventato a sua volta padre. E cosa c’è di meglio, per un padre, che consegnare alla figlia un motivo di felicità nella vita? Magari scrivendole una lettera? D’altronde quando si tratta di parlare ai figli, un adulto non ha che da sfruttare un vocabolario per loro comprensibile: il vocabolario del gioco. Nello specifico il gioco del calcio. E qual è del calcio l’espressione più gloriosa? La Juventus. L’unica squadra nata in un liceo classico, tanto per sottolineare subito una questione di lignaggio, capace dal 1897 di forgiare miti che ancora contraddistinguono il linguaggio giornalistico, sportivo e il costume nazionali. È una cosa che la rende davvero unica. Perché se ancor oggi uno dice Combi-Rosetta-Caligaris dà immediatamente avvio a un processo evocativo che porta a Zoff-Gentile-Cabrini? Perché per dare il senso di difese imperforabili, e per estensione di squadre imbattibili, si citano i primi tre giocatori di due Juventus lontane nel tempo ma indissolubilmente unite? Perché si usa ancora la metafora della “zona Cesarini” per indicare un gol segnato mentre la partita sta per concludersi? Chi era Renato Cesarini se non uno dei fuoriclasse della Juve del quinquennio d’oro degli anni Trenta? Perché, nelle bustine e negli album delle figurine Panini, che dopo Pinocchio, Gian Burrasca e la Domenica del Corriere sono state il trait d’union degli scaffali di tutte le case d’Italia, ha campeggiato il gesto atletico di Carlo Parola, una rovesciata compiuta il 15 gennaio 1950 all’ottantesimo minuto di un Fiorentina-Juventus? Quel «volo in cielo, una respinta in uno stile unico» che un fotografo ebbe la fortuna di immortalare ha portato la Juventus in oltre 200 milioni di copie, ma fermarci al dato numerico sarebbe riduttivo: ha portato l’Italia e il suo gioco più bello in ogni angolo del pianeta, visto che quel volo in cielo è stato accompagnato da didascalie in greco, cirillico, arabo e giapponese.

Negli anni, è cambiato anche il modo di comunicare il calcio. Tu che hai a che fare per lavoro con la comunicazione, come vedi l’esposizione mediatica così forte dei calciatori sui social network, oltre che in tv?
Una cosa inevitabile. Ci sono i social, non vedo perché non debbano starci delle star strapagate che hanno molto tempo per curare corpo e immagine. A me personalmente la cosa interessa poco da un punto di vista estetico, tanto che non ho tra i following su twitter o instagram alcun giocatore o sportivo. Non me ne frega sapere cosa accade dentro uno spogliatoio dopo la doccia, se si ascolta la musica con le cuffie o si accende una sigaretta o uno spinello. Sono della scuola, non a caso bonipertiana, che gli spogliatoi di una squadra di calcio dovrebbero essere un regno off limits per giornalisti e curiosi. Mentre oggi sono diventati le stanze del Grande Fratello di Canale 5. Tieni presente che l'esposizione forte è sempre deleteria, perché le danze dentro lo spogliatoio dei giocatori della Juve o dell'Inter o della Roma finiranno per non differire tra loro di molto e allora, così come Nanni Moretti aveva proposto al pubblico 20 anni fa la scena di un unico grande giornalone cartaceo, in “Aprile”, attualizzando il tutto avremo presto un unico grande account. Peraltro, proprio come accadeva per i giornalisti morettiani, anche i calciatori sono oggetto di scambi continui fra società. Il libro comincia da twitter e finisce con un hashtag, quindi come vedi anch'io mi sono adeguato, ma attraverso le varie epoche, grazie anche ai campioni del passato descritti magari con una canzone di Paolo Conte o un fumetto di Hugo Pratt, ricordo le nostre umili origini: noi siamo figli delle sintesi di “Novantesimo minuto” e delle partite alle 3 del pomeriggio della domenica. Questo padre, insomma, mentre scrive alla figlia, parla anche alla sua generazione senza cellulare e Sky fino ai 25-30 anni, un fatto adesso inconcepibile, e ricorda che il pallone, vissuto, magari, tramite le voci delle radioline, ci ha insegnato il gusto dell'attesa. Il senso di bellezza che c'era quando finalmente scoccava l'ora attesa un'intera settimana.

Il campionato è iniziato: come ti sembra quest’anno? Vuoi azzardare un pronostico o è il caso di evitare per superstizione sportiva?
Quest'anno voliamo bassi, anno scorso avevo la certezza che ci saremmo finalmente imposti nella finale di Champions. E invece è andata male. O meglio: voliamo bassi in Europa e se proprio devo sbilanciarmi in un pronostico italiano dico che la ragione mi suggerisce questo: lo scudetto se lo contenderanno Juve e Napoli. Ma il calcio, spesso, è più Dioniso che Apollo.

Se avessi poche parole per spiegare la bellezza del calcio a chi, come tua figlia, è “novellino”, cosa diresti?

Potrei dire ai non appassionati che si perdono, ad esempio, uno strumento di lettura della società. Non è che voglio trasformarti in un'accanita tifosa, se comunque devi farlo dovrai immolarti alla Juve sennò non ti parlo più, però è indubbio che il calcio sia una cartina di tornasole di fenomeni che riverberano i loro effetti in altri ambiti sociali. Senza stare a ricordare che la guerra di Jugoslavia è cominciata nelle curve di Belgrado e Zagabria, pensa soltanto alla politica italiana e da chi è stata dominata da oltre 20 anni. Da un presidente di calcio, candidatosi poi per salvarci tutti. Io che lo conoscevo come presidente del Milan non mi sono sorpreso di nulla di lui dopo il 1994, mentre te sì perché del Milan manco avevi sentito parlare. La bellezza del calcio, più in generale, è il suo potenziale messaggio di abbraccio universale. Vuoi una parola passepartout in tutto mondo? Questa è: goal. La conoscono gli inuit del polo nord giù giù fino a... forse pure i pinguini ne sanno riprodurre il suono. Il bambino ferito a Torino a seguito dei fatti di piazza San Carlo del 3 giugno ha detto che di tutta la vicenda ricorderà la maglia che Dybala indossa nella Juve e che gli è stata portata come regalo in ospedale. Il calcio riesce a esorcizzare ogni trauma, pensa che strumento bellissimo. Conosci Murtaza Ahmadi? È un bambino afgano che per dimenticare per un giorno gli incubi ha preso una busta di plastica, l’ha dipinta a strisce bianche e azzurre a mo’ di maglia dell’Argentina e ci ha scritto Messi con sotto il numero 10. A Natale 2016, il fuoriclasse del Barcellona l’ha incontrato e gli ha donato una sua maglietta vera. Vuoi scommettere che sarà il più bel Natale della vita di Murtaza? Cos’è questa se non una fiaba, ma proprio una di quelle di Andersen? Vogliamo parlare della Siria? Tipo tregua Olimpica dell’antica Grecia, la scorsa settimana per la partita decisiva contro l’Iran le bombe si sono fermate. La Siria è costretta a giocare a 7.000 chilometri da casa le partite in… casa! A Malacca in Malesia, perché nessuno Stato la voleva ospitare. La stella è il ribelle Firas Al-Khatib, aveva chiuso con la nazionale per protesta contro Al-Assad poi a 34 anni ha anteposto il calcio all’odiato regime ed è tornato a giocare per il suo paese. Per 200 dollari l’anno. L’anno! A Neymar bastano quei pochi istanti in cui fa la pipì appena alzato per superarlo. La Siria ha pareggiato all’ultimo secondo a Teheran e così è potuta accedere agli spareggi per qualificarsi al mondiale del prossimo anno. Ora serve un altro miracolo per poter aprire le porte a un romanzo. Ma un romanzo - romanzo, non uso parole a caso. Se al primo spareggio la Siria, inserita in uno dei due gironi asiatici di qualificazione, batterà l’Australia, l’altra terza classificata del secondo girone asiatico, giocherà la partita decisiva contro la quarta del girone Centro-Nord America. E sai chi è? Gli Stati Uniti. Siria-Usa, chi vince va a Russia 2018. Ce n’è o no di materiale da prestare a un Nick Hornby o, se vogliamo un tocco di realismo magico, a un Osvaldo Soriano?

intervista a cura di GMGhioni