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Donne al potere nel Rinascimento

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L'amante alchimista
di Isabella Della Spina
Edizioni Piemme, 2017

400 pp.
€ 18,50 (cartaceo)




Una cavalcata lungo il Rinascimento, il periodo più splendente della storia italiana, il momento storico in cui il nostro Paese seppe dare a se stesso e all'Europa le più alte conquiste in tutti i campi. L'amante alchimista, il romanzo di Isabella Della Spina (pseudonimo letterario di due autrici, Sonia Raule e Daniela Ceselli, entrambe esperte di cinema e linguaggi contemporanei) è l’esempio tangibile di come una cortina storica possa dare vita a una vicenda che è sì di fantasia, ma che diventa del tutto plausibile e ben orchestrata.
Il romanzo prende avvio tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500, il periodo magico delle corti, quello in cui gli Sforza a Milano, i Gonzaga a Mantova, gli Estensi a Ferrara, i Medici a Firenze, i Montefeltro a Urbino e i papi a Roma fanno a gara per ospitare artisti, architetti, letterati, musici e studiosi di ogni genere per abbellire e rendere grandi le proprie corti. E’ il periodo in cui le città si spogliano del proprio abito medievale e si arricchiscono di quegli elementi architettonici che le renderanno moderne, luminose e razionali, secondo i dettami dell’urbanistica rinascimentale, teorizzati a partire da Leon Battista Alberti. Ecco che a Firenze sorgeranno la cattedrale di Santa Maria del Fiore e il campanile giottesco, nonché gli splendidi palazzi medicei, a Urbino prenderà forma il sontuoso Palazzo Ducale, Roma si abbellirà delle opere pittoriche di Michelangelo e Raffaello, Ferrara avrà il suo Palazzo dei Diamanti e Mantova il Castello di San Giorgio.


All’interno di queste corti signorili si muove con agilità la protagonista del romanzo, una donna eccezionale (e sull’eccezionalità femminile del periodo tornerò più avanti), Margherida, figlia di un grande studioso, Cornelio de’ Tolomei, astrologo e alchimista, massimo esperto nell’interpretazione degli astri e nella conoscenza degli elementi. Margherida, fin da bambina, mostra predilezione per gli studi paterni e abilità nella pratica delle erbe da cui ricava farmaci e medicamenti, una sapienza che la porterà a diventare una famosa magista, richiesta da tutti i nobili del tempo. Margherida però, all’inizio del romanzo, è in carcere, nelle segrete di Castel Sant’Angelo, in compagnia di altre due donne, sospettate di stregoneria. Siamo nel 1527, durante il famigerato sacco di Roma, quando i lanzichenecchi, al soldo dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, mettono Roma a ferro e fuoco.
È stato il papa in persona, Callisto VII, al secolo Giulio de’Medici, a chiedere di portare in ceppi la magista. In questo momento, per garantirsi una via di fuga, il papa dovrà consegnare molto oro nelle mani degli imperiali e chi meglio di un’esperta alchimista potrebbe fare al caso suo? Callisto è convinto infatti che la donna conosca il segreto della Pietra filosofale, la sostanza catalizzatrice che si credeva in grado di trasformare in oro i metalli vili. Margherida è stata consegnata al papa da Isabella d’Este, in cambio della berretta cardinalizia per suo figlio. Ma Isabella è sempre stata grande amica di Margherida… un tradimento? E mentre Margherida è in attesa di conoscere il suo destino e si chiede il perché del comportamento di Isabella, con la memoria torna a ripercorrere gli eventi della sua vita, impetuosa e passionale.
Le due autrici mescolano con sapienza i piani temporali anche dal punto di vista linguistico: mentre il tempo presente serve a raccontare i momenti in cui Margherida è in cella, i passati e i trapassati sono usati per ricordare gli avvenimenti della sua esistenza. Un gioco alternato di flashback, un continuo avanti e indietro temporale che, se in un primo momento sembra spiazzare il lettore, si rivela poi ben presto come utile strumento di ricostruzione scenica. E qui entrano chiaramente in gioco le capacità di sceneggiatura cinematografica delle due autrici. Così il lettore viene subito trasportato, anche visivamente, all’interno della corte ferrarese, teatro dell’infanzia di Margherida, che vede anche la nascita del vincolo di amicizia fortissimo, quasi sororale tra Caterina Sforza e Margherida stessa. Un vincolo suggellato dall’uccisione dei padri di entrambe avvenuta nello stesso giorno a Milano e dal patto: «Ricordatevi: nessun uomo sarà mai superiore a noi». Tutto il romanzo è fondato sull’importanza delle figure femminili: da Caterina Sforza a Bona di Savoia, da Eleonora d’Aragona a Isabella d’Este:
Ha cinquantatré anni (…). E anche se nei suoi occhi la luce dei giorni più lieti si è affievolita, nelle corti che si contendono il primato dei fasti e delle arti tutti parlano ancora di lei come di una delle donne più affascinanti e influenti del suo tempo. Certo, non è stata la sola, in quegli anni il firmamento femminile è punteggiato di stelle, ma l’intelligenza raffinata e la straordinaria cultura (…) hanno fatto crescere la sua fama in tutta Europa, ben oltre le terre del Mincio.
Le donne del Rinascimento hanno piena consapevolezza del proprio ruolo, sono mogli, madri, reggenti. Sanno che il matrimonio, più che un vincolo d’amore, è un modo per stringere alleanze, sono perfettamente in grado di condurre uno Stato, magari per conto di un figlio ancora troppo piccolo. Sanno districarsi tra le arti della diplomazia e gli intrighi del tempo. Entrano nelle decisioni politiche. Sono istruite, colte e appassionate di arti e scienze.
Tenere saldo il potere senza scontentare o affamare il popolo, guardarsi intorno per individuare i nemici che tramano alle spalle della corona, tessere la rete della diplomazia con gli altri Stati e rendere la propria corte tanto splendida da suscitare l’ammirazione di tutti.
Le due autrici sanno restituirci il ritratto a tutto tondo di queste donne grandiose, tanto affascinanti e potenti da influire direttamente sulle vite dei mariti e sugli avvenimenti storici. Un ruolo che, purtroppo, con l’avvento della Controriforma la Chiesa contribuirà ad affossare, facendo, di donne coltissime e fascinose, streghe tentatrici e amanti del demonio. Da bruciare sul rogo.
Ma torniamo al romanzo. La vita di Margherida si svolge al fianco di queste figure femminili e anzi, spesso, è proprio lei a consigliarle e a guidarle, grazie al proprio sapere, nella comprensione degli avvenimenti. Finché un giorno la magista, la donna innamorata dei libri e della sapienza, conoscerà l’Amore, nella persona del conte Giovanni Pico della Mirandola. Anche in questo caso le due autrici fanno di Margherida una donna eccezionale, controcorrente. La storia d’amore tra i due si sviluppa, infatti, libera, senza vincoli di matrimonio, unita soltanto dalle cosiddette affinità elettive, una consonanza di anime e di intelletti pura e votata alla libertà. Come quella stessa libertà che Pico persegue in tutti i suoi studi. Libertà della ragione umana, aldilà dei dogmi della Chiesa cattolica, nel puro spirito dell’Umanesimo, che voleva l’uomo al centro dell’universo, posto in quella posizione per innalzarsi libero verso le sfere spirituali.
Voglio seguire il mio istinto, indagare i miti conosciuti e quelli ancora oscuri, voglio dimostrare che fin dall’inizio tutto era legato a un unico principio.
“Più studio i grandi filosofi”, continuò, “Aristotele, Platone, Pitagora, gli oracoli, Zoroastro, così come i misteri greci, egizi, la Kabbalah, più mi rendo conto che tutto tende a un unico scopo, la conoscenza di Dio..
Il pensiero di Giovanni si era compiuto: era riuscito a rendere reale ciò che aveva in animo da tempo, mettere in discussione il cuore stesso della dottrina della Chiesa.
E a questo contribuirà Margherida ritrovando tra le carte del padre l’originale del De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio, l’opera di Lorenzo Valla che, dimostrando la falsità della donazione di Costantino dalla quale era nato e si era legittimato il potere temporale della Chiesa, contribuì a dare uno scossone allora inimmaginabile alla credibilità papale. Margherida passerà poi attraverso la scoperta di un segreto della propria vita al finale del libro. Che non svelerò.
Un romanzo possente, ricco di spunti e tematiche che le due autrici hanno saputo giostrare con competenza. Un unico appunto: a volte il linguaggio si fa ridondante, eccessivamente aggettivato («sala gremita, fitta di panneggi dalle tinte accese e di velluti impreziositi da gemme». O ancora: «abito di broccato d’oro con copricapo alla francese da cui scendeva un lungo velo intarsiato di pietre preziose»…) oppure troppo incline al linguaggio tipico della letteratura rosa («Un uomo dal volto meraviglioso.. lo sguardo agitato come un mare d’inverno»; «La fiamma che ardeva nei suoi occhi penetrava nei miei portandovi turbamento e gioia. Ogni volta che raggiungevamo l’apice del piacere le nostre anime si incontravano moltiplicandosi (…) Era come se, con lui, entrasse in me uno spirito divino, un soffio… come se fossi un fiore che sboccia continuamente. Scoprii orizzonti che non immaginavo, cieli attraversati da stelle fiammeggianti da cui si sprigionavano scintille di zaffiro, smeraldo e lapislazzuli»…). Un effetto forse un po’ chick lit che a volte stona con la profondità del testo. Che però rimane, aldilà di qualche ampollosità di troppo, un romanzo intenso e di piacevole lettura.

Sabrina Miglio