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Dove c'è censura, la disfonia della storia: "Il rumore del tempo"

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Il rumore del tempo
di Julian Barnes
Einaudi, 2016

pp. 194
€ 18.50 (cartaceo)



Il metronomo della storia tiene un ritmo distorto, incontrollabile: a tratti porta grandi accelerati per la paura della morte e il pericolo; talvolta rallenta a dismisura, in un lentissimo che accompagna i personaggi nella routine. Poi, la bacchetta del grande direttore dell'orchestra politica russa ha un guizzo, e tutta la musica torna a pulsare: ma non è una sinfonia, e l'accozzaglia disarmonica della censura e della storia che non risparmia nessuna genialità. 
Ecco cosa accade al grande Dmitrij Šostakovič, che ha avuto la sfortuna di vivere all'epoca della grande censura stalinista. Protagonista indiscusso di Il rumore del tempo, filtra quanto gli avviene in riflessioni impietose sulla storia, sul potere, sull'arte, ma soprattutto sul ticchettio imperioso del tempo. E a noi non resta che seguire Dmitrij Šostakovič nel corso della sua vita, sconvolto dalla paura e dalla minaccia di morte, per opere musicali considerate riprovevoli. Poi, certo, sembra arrivare il perdono, ma ogni volta il Potere risponde a regole che non è dato comprendere, ed è proprio questa incertezza costante a minare la vita del compositore. Ogni riconoscimento pubblico e privato è appestato da supposizioni e timori: le ansie e le manie di persecuzione sono a un passo.
Eppure anche al lettore non è comprensibile il vero interesse del Potere, nell'altalena inquietante di disapprovazione e riconoscimento dell'opera di Dmitrij Šostakovič; d'altra parte, non è questo l'aspetto rilevante: noi seguiamo la parabola esistenziale ed emotiva del protagonista, che non fa che confermare il suo sospetto:
Era come se vivesse sempre seguendo un metronomo predisposto su un tempo sbagliato. (p. 14)
Anche gli amori, d'altro lato, confermano la continua ricerca di qualcosa che non arriva mai o che, quando arriva, stanca. Poi il terrore della Storia impone di porre fine, o perlomeno una pausa, alle avventure del cuore, per concentrarsi su se stesso, raccogliere ogni giorno le forze per sfuggire a una minaccia velata ma costante. E mentre l'arte continua a chiamare Dmitrij Šostakovič e a suggerirgli nuove opere, di pari passo cresce l'ansia per la sua ricezione e la sua interpretazione da parte dei sovietici, sempre pronti a strumentalizzare le opere più utili al potere. Al contrario,
L'arte appartiene a tutti e a nessuno. L'arte appartiene a tutti i tempi e a nessun tempo in particolare. L'arte appartiene a chi la produce e a chi l'assapora. L'arte non appartiene più al Popolo e al Partito di quanto una volta appartenesse all'aristocrazia e ai mecenati. L'arte è il mormorio della storia, udibile al di là del rumore del tempo. L'arte non esiste per sé: esiste per il pubblico. Ma quel pubblico, chi lo stabilisce? (pp. 96-97)
L'unica salvezza, per resistere mentre il resto del mondo e molti colleghi artisti stanno subendo la spietata mano della censura, è «aggrapparsi» alla «musica che viene da dentro - la musica del nostro essere - che alcuni sanno trasformare in musica reale» (p.131).
Quest'ultimo romanzo di Barnes potrebbe essere interpretato come una biografia romanzata, che si affida all'ambientazione storica, ma è molto di più: è un grande romanzo sulla disperazione e, tutto sommato, sulla speranza di ritrovare serenità dopo il terrore. Perché dove c'è paura oggi, c'è la speranza di non averne più domani, ma anche la consapevolezza che «ci aspettiamo troppo dal domani, sperando che sappia contrastare l'oggi» (p. 51).
Per quanto la scrittura di Barnes sia sempre splendida, non è semplicissimo immedesimarsi nell'opera. Non è detto che questa sia una tappa fondamentale per godersi appieno una lettura, che ha ancora molto di postmoderno, nonostante fuori tempo massimo: molto meglio lasciarsi trasportare dal rumore del tempo e imparare, da quello stridore tra desideri e possibilità di realizzarli, a coltivare la libertà. 

GMGhioni