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#PagineCritiche - A tavola con Massimo Montanari

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I racconti della tavola
di Massimo Montanari
Laterza, 2016

1^ edizione: 2014
pp. 218
€ 11 (cartaceo)


La cucina stessa, come ogni arte performativa, è fuggevole e transitoria: il suo specifico consiste nel consumo di cibo, gesto che non può riprodursi perché il suo oggetto scompare nell'atto. Forse per questo la cucina ha sviluppato una particolare vocazione a unirsi con espressioni artistiche quali la musica e il teatro, come lei destinate a svanire col gesto che le fa vivere. Arti effimere, happenings imprevedibili. (p. 147)
Ci sono infiniti modi per attraversare il Medioevo e lasciarsi affascinare da quello che molti ritengono i "secoli bui". In realtà, c'è molto di illuminato, anche grazie a storici come Massimo Montanari che hanno fatto della loro specializzazione una chiave di lettura preziosa. Così, attraverso l'alimentazione, scopriamo il fascino e l'importanza estrema del sedersi a tavola insieme, gesto pluriconnotato da sempre, con profondi risvolti antropologici e folclorici.  
Montanari - come sempre, del resto - stimola la curiosità del lettore attraverso uno stile davvero accattivante, qualche volta ammiccante, e riprende casi singolari di pranzi e cene, ora dalle cronache ora da racconti popolari che si fanno leggenda. Dal Medioevo alla fine del '600, passando attraverso i fasti del Rinascimeneto e la presunta continenza della Controriforma, le storie passano davanti ai nostri occhi, mostrandoci come il cibo diventi ora simbolo di potere, ora gioco, ora condivisione, ora esibizione di ricchezza:
Il cibo del signore non è fatto solo per essere mangiato, ma anche (forse soprattutto) per essere mostrato. La sua magnificenza è lo spettacolo del potere e della ricchezza, che si mostrano ai nobili invitati alla festa, ma ugualmente al popolo, che si limita a guardare. (p. 125)
Una cosa è certa: il nostro stomaco non potrebbe mai sopportare il numero sorprendente di portate, né la mescolanza di dolce e salato, spesso spinta, che andava di moda nell'antichità. Confetti e confetture non fanno che chiudere pranzi da anche 150 vivande, come è accaduto quando Carlo V era a Roma! Eppure non si pensi che questa abbondanza fosse preambolo a un numero esorbitante di scarti; in tutto questo periodo, infatti, c'è una vera e propria "economia degli avanzi", per cui niente va buttato. Semplicemente, gli avanzi diventeranno il pranzo delle classi sociali inferiori, fino ai servi e ai poveri. 
Interessantissima, comunque, la dicotomia sempre rilevata tra fame e abbondanza (per omaggiare il saggio La fame e l'abbondanza, sempre di Montanari): si passa dalla creazione di opere d'arte con il cibo, che diventa così una sorta di messa in scena o di performance, alla "cucina della fame", ovvero l'arte di arrangiarsi mistificando i sapori con le spezie e impastando polpettine di terra e radici, se necessario.
Inoltre, il significato altamente simbolico del cibo è rivelato in tutta la sua incredibile poliedricità: ed è forse questo che avvince i lettori del Duemila, l'estrema varietà d'interpretazione che può avere una tavola bene imbandita o l'atto semplice di spezzare il pane. 

GMGhioni