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Il Salotto - Mirko Zilahy: Dal dolore più grande è nato il mio libro

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Dopo aver recensito il suo primo romanzo, È così che si uccide (qui la recensione), uscito a gennaio per Longanesi, abbiamo intervistato Mirko Zilahy, scoprendo come è nata la voglia di dedicarsi alla scrittura, cosa ha ispirato il personaggio del commissario Enrico Mancini, e di come, dal dolore, possano nascere anche cose belle, come un libro.

Caro Mirko, innanzitutto la più classica delle domande: come è nata l’idea di scrivere È così che si uccide?

M - Avevo voglia di mettermi alla prova. Dopo aver tradotto, scritto recensioni, saggi di critica accademica (soprattutto su Giorgio Manganelli) e fatto l’editor, mi restava la scrittura cosiddetta creativa. Un romanzo. La voglia di un gioco e la necessità di usare in maniera costruttiva un dolore che non riuscivo a dominare hanno fatto il resto.


Quanto tempo hai impiegato per dare forma alla narrazione, dal momento in cui hai avuto la prima idea fino al testo completo?

M - In realtà è stato un lavoro a tappe. Diciamo che tutto insieme credo di aver impiegato nove mesi circa per la stesura del romanzo. Ma parecchio di più per la progettazione, la raccolta delle idee e dei materiali!

Hai lavorato come editor per grandi case editrici come minimum fax e Fazi. Come hai iniziato questo percorso professionale? E quali consigli daresti, in termini di formazione e di scelte lavorative, a tutti coloro che vorrebbero intraprendere la tua stessa carriera?

M - Tornato dall’Irlanda e constatato lo stato in cui versava l’università ho deciso di fare un master in editoria alla fine del quale ho fatto uno stage presso Fazi editore. Lì ho avuto la fortuna di incontrare dei professionisti che mi hanno apprezzato e sono rimasto a lavorare per cinque anni. Poi sono stato quasi un anno da minimum fax per cui ho curato la narrativa straniera. I consigli sono gli stessi di sempre: fare un buon corso editoriale per capire davvero quali sono i mestieri dell’editoria e testare i propri talenti con uno stage presso un editore.

Una vita, la tua, immersa nei libri, se così si può dire. Qual è, secondo te, il valore intrinseco di un libro, in un’epoca come quella attuale in cui le informazioni e le nostre esistenze sono spesso caratterizzate dalla rapidità, dall’effimera dimensione dei social media, e dove dunque la lentezza e la riflessione che leggere un libro richiede sembrano sempre più distanti?

M - La forza del libro, da sempre, è nell’altrove. La letteratura, qualunque cosa si intenda con questo nome, ci sposta, ci distrae dalla vita, ci porta da un’altra parte. Ci salva.
Poi possiamo lasciare da parte la componente affettiva, romantica della questione: il libro è il più moderno dei prodotti di intrattenimento che abbiamo a disposizione, e uno dei più economici. È il top dei prodotti on demand, se ci pensiamo bene, costa mediamente tra i 10 e i 20 euro e ci dà la possibilità di aprirlo, leggere e smettere quando vogliamo, possiamo fare maratone di ore o leggere cinque minuti prima di dormire.

Al centro di È così che si uccide c’è la figura di Enrico Mancini, commissario della Polizia di Roma, criminal profiler con esperienze formative e successi professionali oltreoceano, piegato dal dolore per la perdita della propria donna, a seguito di un cancro. Come è nato il personaggio? Cosa ti ha ispirato?

M - Sono partito da un paio di guanti e dal mio dolore. Li ho messi insieme ed è nato Enrico Mancini. Dentro di lui e dentro al suo antagonista, il serial killer che si fa chiamare l’Ombra, ho riversato molti dei fantasmi che mi abitavano. Li sento come uno, che ho scisso per poterli mettere l’uno di fronte all’altro e vedere cosa succedeva. È così che, in maniera quasi autonoma, entrambi si sono costruiti due storie che si sono incontrate nel mio libro.

A proposito di ispirazione, quali sono gli autori e/o i romanzi che consideri i tuoi Maestri letterari?

M - Edgar Allan Poe, Robert Louis Stevenson, Charles Dickens, Bram Stoker e Shane Stevens, Dylan Thomas, William Blake, Stephen King, Shane Stevens. In Italia, Gadda, Sciascia, Landolfi, Eco. 

La lettura di È così che si uccide mi ha condotto a una riflessione: tutti i personaggi del romanzo hanno una propria debolezza manifesta, una sorta di tallone d’Achille che nel corso della narrazione si rivela essere il loro punto di forza, la chiave di volta per raggiungere la verità. È così, ad esempio, per Enrico Mancini e la sua sofferenza intima dopo la morte della moglie: è attraverso quel dolore che arriva all’assassino. In un certo qual modo, quindi, è come se questo libro ci stesse dicendo: le tue debolezze non sono un ostacolo, ma possono diventare indizi preziosi della strada da percorrere. Sei d’accordo? Qual è il messaggio profondo del tuo romanzo?

M - In effetti se penso anche alla mia vicenda personale legata a È così che si uccide dovrei darti ragione. Perché dal mio dolore più grande, da un lutto inestinguibile, dai fantasmi che ha generato, è nata una cosa bella come questo libro. Le mie debolezze non si sono estinte, però, dopo la stesura e la pubblicazione del romanzo. I miei personaggi hanno lati oscuri, grigi, zone d’ombra che dominano e tengono a bada, ciascuno a modo suo. Il senso della loro esistenza è difendersi o scappare dalle proprie paure e trovare un’isola di serenità, ognuno mettendo in pratica strategie differenti.
E le debolezze sono proprio ostacoli, da saltare, aggirare, buttar giù. L’ostacolo, come l’errore, è l’occasione per conoscere il fondo di sé, per capire cosa significa la paura, il dolore, l’angoscia.
In generale non esiste un messaggio volontario nel mio libro. La letteratura non dovrebbe averne. C’è un’impressione di segni sulla pagina che il lettore decodifica come preferisce.

Quali sono i progetti futuri? Ti stai dedicando alla scrittura di un altro romanzo?

M - Sto scrivendo il secondo episodio della trilogia di Enrico Mancini e della mia Roma. Sarà una Roma diversa da quella rugginosa e postindustriale di È così che si uccide, stavolta terrorizzata da un assassino che viene dal “passato”. Con il commissario ci sarà la sua squadra di sempre, più qualche nuovo innesto, ovviamente.


Grazie a Mirko per la sua disponibilità.


Barbara Merendoni

Immagine riprodotta per autorizzazione della casa editrice