in

Vivere per trascrivere nel mai detto prima: «La femmina nuda» di Elena Stancanelli

- -
La femmina nuda
di Elena Stancanelli
La nave di Teseo, 2016

pp. 156
euro 17.00 (cartaceo)
euro 9.99 (ebook)


Con i chilogrammi il corpo perde anche la dignità. È come se, spogliandosi della verità, raccontandola in forma di lettera a un tu che ha visto la maschera e le sue crepe, ci si potesse portare al di là dell’accaduto.
Si legge un qualcosa che è successo, in cui l’esperienza, pur consumandosi, è risolta. Eppure, attraverso la confessione e la reductio ad unum (la verità), quasi in un palinsesto, il già vissuto si trascrive nel mai detto prima.
Una lunga confessione, ma anche un monologo che ripercorre, allo specchio, le tappe di una consapevole spirale verso gli abissi. Un viaggio negli inferni del sé, dell’umiliazione, ma anche una riflessione sul concetto di “fine”. Nessuna storia si chiude davvero, in un dato momento, per un dato avvenimento: gli strascichi, i lungi ripensamenti carichi di odio, ma anche di instancabile e crudele dolcezza, costituiscono l’inizio (e non la fine).

L’umiliazione e la perdita della dignità costringono una donna ad abbassare lo sguardo verso un mondo torbido che è sempre il lato oscuro, che è sempre presente in ciascuno, ma che ha la possibilità di esplodere di fronte al proprio fallimento, o presunto tale.
La tecnologia diventa il cavallo di Troia sia per il fedifrago, sia per la tradita; ma assume un ruolo ulteriore: è lo zampino del diavolo e la crepa da cui si intravede la follia.
Ci si spoglia di ogni certezza, di ogni chilogrammo, di ogni abitudine in nome di una ricerca votata al fallimento, perché creata dalle ceneri della paranoia e della non accettazione delle circostanze.
Anna non trattiene durante i mesi raccontati all’amica: è incontinente persino alla vita, la sfugge, nascondendosi in quello che soprattutto nella sua mente accade.
Come il Dorigo di Un amore di Dino Buzzati, Anna crea e guarda dalla sua prospettiva, senza permettere deroghe alla verità, ma vivendo nel parallelo del subdolo.
Come la Laide del sopra citato romanzo buzzatiano, Davide vive le proprie avventure, la propria quotidianità, sapendo di essere il fulcro nevralgico e pulsante di un’ossessione, ma continuando ad alimentarla in un gioco sempre in bilico tra il sadismo, la crudeltà e l’apparenza di un filo che non può essere reciso.
Fa quasi pena questo uomo marionetta di un eros smisurato ed egocentrico: ma al contento il suo personaggio è destinato all’oblio, perché non sfaccettato, ma monolitico nella propria ordinarietà malata.
Davide cade dietro le quinte di fronte alla presa di coscienza, lucida e folle, sincera e falsa, di Anna, colei che adesso sa «che niente ti tiene davvero al riparo dall’idiozia, tantomeno quello che credi di essere, l’armamentario che hai messo insieme. L’intelligenza, l’esperienza, i libri. Niente».
La femmina nuda: Elena Stancanelli ha dosato persino le parole del titolo.
Femmina durante la storia con Davide, durante la discesa nell’abisso, ma alla fine donna. Un percorso di formazione tutto moderno, tra droghe, social network, iPhone… eppure un tema antico come l’alba dei tempi. Quello dell’autocoscienza, delle discese e delle risalite. Un percorso che non esclude nessuno: sebbene la prospettiva sia femminile, La femmina nuda non è un libro per sole donne. È un libro necessario (perché profondamente necessitato) e universale.
Elena Stancanelli non restituisce, alla fine, una donna integerrima, bensì una donna con le ossa ancora sbriciolate, ma consapevole, perché la mise en abyme ha funzionato.
Il tu è, infine, l’io.
La femmina è colei che si accontentava delle apparenze, a cui bastava il visto e il sentito, che non andava oltre. La donna è colei, invero, che può dire che «l’essere umano è miserabile, è anche miserabile. Stupido, vile, ignobile. Preda di una sofferenza demente di cui è l’unico responsabile. Questa sofferenza esiste. Anzi, è la più diffusa e la più difficile con cui avere a che fare perché ti lascia addosso solo sporcizia». È lo sporco a essere raccontato da Elena Stancanelli, con una prosa pulita, ma altrettanto potente. Spogliando la lingua da ogni manierismo e virtuosismo, l’autrice restituisce un romanzo che è un pugno nello stomaco, ma anche una riflessione su cosa si nasconde dietro le quinte prima dello spettacolo che tutti possono vedere.
Chiunque si sente lontano da Anna, eppure in potenza è così vicino.
«Mi chiedo se sia nella nostra natura cercare di forzare l’intimità delle persone. Provare a entrare nei pensieri, nel corpo di qualcun altro, per scoprire se è diverso da noi. Se questa smania di frugare fa parte del nostro fardello di cretineria, quello che dovremmo alleggerire incarnazione dopo incarnazione, o se invece il mezzo ci ha reso più idioti che mai».
Chi non userebbe il pallino blu o chi non forzerebbe le password per scoprire di più dell’altro (non solo fidanzato…)? Chiunque, probabilmente…
La Stancanelli usa le esche che chiunque ha a portata di mano, esasperandole in una situazione paradossale, eppure potentemente reale.
Mette a nudo una donna, privandola non solo della dignità, ma soprattutto del contatto con la realtà, del corpo.
«Senza il corpo, cioè nude anime o nudi niente, contro cosa dovremmo sbattere per fermarci?».
E ancora: «Il corpo scarta. Si ammala, ti molla in mezzo alla strada, ti stordisce. Ma a volte, senza che tu te be accorga, ti porta in salvo, lontanissimo».
La femmina nuda è la storia di una donna che da bozzolo diventa una farfalla imperfetta, figlia degli errori e del degrado, della malattia e della paranoia. È la storia di una femmina che è diventata donna, appropriandosi dei contorni delle cose, che ha nullificato l’apparenza per concentrarsi sulla tangibilità.
«Qualcuno si salva pregando, altri prendendo medicine o facendo analisi. Ognuno è devoto al proprio santo. Io sono devota al mio corpo, che mi ha salvato. E a quelli degli altri».

La femmina nuda, nella lingua e nella struttura, è una sorta di preghiera: quella di prendere consapevolezza che il tutto o il nulla sono la stessa cosa.

Ilaria Batassa