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#CritiCinema - All Hail, MacBeth! All Hail, MacBeth!

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Stars, hide your fires,
Let not light see my black and deep desires.
The eye wink at the hand; yet let that be
Wich the eye fears, when it is done, to see.

Hanno osato sfidare la maledizione dell’innominabile “Scottish play” e riportare al cinema uno dei drammi più intensi nati dalla penna di Shakespeare in quello che, probabilmente, è ad oggi il suo migliore adattamento: il regista e sceneggiatore australiano Justin Kurzel (Snowtown, 2011) si avvale di un cast straordinario e interessanti intuizioni per raccontare ancora una volta la tormentata storia dell’ambizioso MacBeth. Da pochi giorni nelle sale italiane, è un capolavoro di immagini e parole che vale però la pena, se possibile, recuperare nell’originale inglese per ritrovare l’immortalità del verso shakespeariano e le intense performance dei protagonisti.
Il play originale, scritto probabilmente nel 1606, trae ispirazione – come buona parte dei drammi storici di Shakespeare – da The Chronicles of England, Scotland and Ireland, che il drammaturgo mette al servizio di un testo piuttosto breve e quasi totalmente in versi, nel quale la rappresentazione storica si intreccia alla tragedia, per raccontare ancora una volta passioni universali. Un testo che, per godere appieno della visione di quest’ultimo adattamento cinematografico, è consigliabile recuperare, così da ritrovare particolari della trama e comprendere meglio il punto di vista scelto dal regista per raccontare la storia.
La trama, appunto: in una Scozia medievale tormentata ed oscura, il valoroso guerriero MacBeth, cugino del re Duncan, fa ritorno vittorioso dall’ultima battaglia insieme al fidato generale Banquo. L’apparizione di tre oscure figure e la profezia di cui si fanno portavoce, turbano però l’animo di MacBeth, mettendo in moto una serie di eventi sanguinosi lungo la strada della conquista del potere. Salutato infatti come il futuro re di Scozia, l’ambizione e la brama di potere corrompono irrimediabilmente il cuore di MacBeth, istigato anche dalla moglie presto messa al corrente della profezia. Uccidere Duncan e diventare re: la mano di MacBeth, guidata dall’ambizione, dai sussurri di Lady MacBeth, dalle lusinghe del potere o dal fantasma di un pugnale che sembra indicargli la strada verso le stanze dove l’ignaro sovrano sta riposando, spingono l’uomo a compiere l’assassinio e a farne ricadere la colpa su altri. Conquistata la corona, il tormento di MacBeth per un destino incerto si fa tuttavia sempre più evidente, insieme alla necessità di eliminare ogni possibile ostacolo che le streghe hanno suggerito nella loro profezia. Le mani del re e della consorte si macchiano quindi di delitti terribili, mentre intorno a loro crescono i nemici pronti a spodestare il nuovo tiranno.
Some say he’s mad. Others, that lesser hate him,
Do call it valiant fury; but for certain
He cannot buckle his distempered cause
Within the belt of rule (parlando di MacBeth)
Un dramma tormentato, oscuro, parabola di un tiranno assetato di potere che si macchia di peccati terribili pur di soddisfare la propria ambizione; ma è anche, come ogni testo shakespeariano, rappresentazione di vizi e contraddizioni dell’uomo, di un’anima oscura schiacciata dal peso della colpa che porta alla follia. Il generale diventato re e al suo fianco uno dei personaggi femminili più tormentati ed oscuri creati dal Bardo, quella Lady MacBeth ambiziosa e crudele che sussurra all’orecchio del marito appoggiandone il piano sanguinoso verso la conquista del potere. Ma il senso di colpa per le atrocità commesse conduce alla pazzia e il sangue non può essere completamente lavato da quelle mani come dalla coscienza.

La familiarità del pubblico con uno dei testi shakespeariani più rappresentati spinge a guardare con curiosità mista ad un certo sospetto nei confronti di ogni sua nuova trasposizione ma, nel caso della versione di Kurzel, è una scommessa vinta. La sceneggiatura riprende fedelmente il dramma originale nella versificazione, modificando in parte l’ordine di alcune scene o inserendo taluni dialoghi entro nuovi interessanti contesti, riuscendo quindi a creare qualcosa di nuovo nel rispetto di una storia immortale. Il personale punto di vista del regista, con alcune intuizioni davvero interessanti, consente di portare sullo schermo una versione maestosa, cupa ed intensa del MacBeth, resa ancor più spettacolare da una fotografia e una colonna sonora davvero notevoli, in cui l’ambientazione ha un ruolo protagonista. Brughiere avvolte dalla nebbia, la luce del mattino che contrasta con l’oscurità e la pietra del castello o il buio spettrale delle tende, cieli in tempesta o striati di un rosso che richiama il colore del sangue versato, spazi infiniti e campi di battaglia in cui è difficile distinguere tra esseri viventi e spettri.

E su tutto, sovrasta la straordinaria interpretazione di Michael Fassbender, nel ruolo protagonista: «Fassbender was born for this» ha scritto il «Telegraph» ed è impossibile non essere d’accordo. L’attore irlandese conferma il proprio talento nel portare in scena, ancora una volta, un personaggio tormentato al quale riesce a conferire anche una profonda umanità grazie anche, in questo caso, all’impronta umana scelta dal regista per caratterizzare il suo MacBeth: l’ambizioso generale è infatti, in questa trasposizione, prima di tutto un soldato tormentato dal disturbo da stress post traumatico dopo una vita trascorsa di battaglia in battaglia, sangue su sangue. È un uomo gravato dal peso di una vita passata a combattere e dall’ambizione che spinge a macchiarsi di colpe terribili, mentre realtà e allucinazioni sono sempre più difficili da distinguere. E il potere violentemente conquistato, come predetto dalla profezia delle misteriose figure apparse nella brughiera, è minacciato dall’odio dei traditori che gli si stringono intorno e, soprattutto, da quella parte della profezia che vede in Banquo e non in lui il padre di molti futuri re di Scozia. Un regno sterile, funestato dal fantasma di quell’unico figlio morto che non smette di tormentare Lady MacBeth, mentre attende il ritorno del marito dall’ennesima battaglia e che, nell’interpretazione di Kurzel, è una perdita mai superata che ne acceca la ragione, fino a convincere il marito a mettere in atto il piano per la conquista del trono.
Il soldato oppresso dalle atrocità della guerra è la figura più potente di questa trasposizione, capace, come si diceva, di rendere umano il tormentato MacBeth. Il trauma e il sangue versato si leggono negli occhi di un Fassbender alla sua prova più intensa, perfettamente calato nel personaggio ma mai eccessivo, tormentato dai fantasmi della guerra e del parricidio. Ma è anche un uomo, un padre che ha perso l’unico figlio e un marito innamorato che con la compagna trova ad ogni ritorno momenti di complicità e passione.

Difficile essere all’altezza di un’interpretazione di questo livello ma Marion Cotillard se la cava egregiamente, con momenti di intensa recitazione alternati ad altri meno coinvolgenti. Un ruolo certamente difficile per un’interprete non madrelingua ma che, l’attrice premio Oscar, riesce comunque a reggere donando alla sua tormentata Lady MacBeth interessanti sfumature. Ciò che non convince del tutto è la misurata recitazione che contrasta con alcuni momenti di maggior intensità del dramma shakespeariano e con un’interpretazione invece tanto viscerale quanto quella di Fassbender. Cotillard è tuttavia perfetta nel rendere la sua Lady MacBeth glaciale, altera ed ambiziosa, mentre convince il marito ad assecondare la profezia verso la conquista del potere, anche se questo significa macchiarsi le mani di sangue:
Thou wouldst be great,
Art not without ambition, but without
The illness should attend it. What you wouldst highly
That wouldst thou holily.. (Lady MacBeth)



Se vediamo chiaramente sulla scena il tormento per le atrocità commesse corrompere in maniera sempre più evidente il cuore e la mente del marito, Lady MacBeth raramente cede al rimorso: what’s done is done. È un tormento tutto interiore che, anche in questa trasposizione cinematografica, traspare solo per un attimo, ma carico di intensa drammaticità. Il peso della colpa, il fantasma di quel bambino perduto, sono ormai insostenibili, le mani macchiate in maniera indelebile dal sangue versato.

She should have died hereafter;
There would have been a time for such a word.
To-morrow, and to-morrow, and to-morrow,
Creeps in this petty pace from day to day
To the last syllable of recorded time,
And all our yesterdays have lighted fools
The way to dusty death. Out, out, brief candle!
Life's but a walking shadow, a poor player
That struts and frets his hour upon the stage
And then is heard no more: it is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury,
Signifying nothing. (MacBeth, dopo aver appreso della morte della regina)

L’intensità di questo film e la straordinaria interpretazione dei suoi protagonisti riportano degnamente “in scena” uno dei drammi shakespeariani più intensi e tormentati di cui regia e interpretazioni, nel rispetto dell’originale, regalano nuovi interessanti spunti di riflessione.