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A farsi scartavetrare le emozioni con David Leavitt

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Ballo di famiglia
di David Leavitt
Mondadori, 2011

1^ ed originale: 1983 [Family Dancing]
Traduzione di Delfina Vezzoli

pp. 193
€ 9,00



E se il destino delle madri era quello di non aspettarsi niente in cambio, il destino dei figli era dunque quello di non restituire niente? (da "Territorio", p. 10)

Si inizia Ballo di famiglia con grandi aspettative: è la raccolta di racconti che ha reso famoso David Leavitt, tra i più grandi autori che negli anni '80 hanno saputo confrontarsi con grandi temi come la famiglia, l'amore, l'omosessualità e le relazioni sociali. Quel che non ci si aspetta è che i nove racconti scavino un solco nella nostra memoria e si instaurino tra i nostri nervi scoperti. In che senso? Leavitt parte da uno spaccato di vita comune - una malattia, un tradimento, il disagio in famiglia, l'inadeguatezza nelle relazioni,... - e ci butta in medias res a scoprire il punto di vista di un personaggio particolare, senza spiegarci nulla. Viaggiamo nelle sue emozioni, nelle reazioni apparentemente inspiegabili, e solo dopo qualche pagina capiamo cosa sta avvenendo. A quel punto, siamo già totalmente immersi e ci pare di partecipare alla storia fino all'ultima pagina. 

Può essere la malattia a colpirci, ovvero la gestione di una quotidianità nuova, passata a dissumulare e a negare quanto sta avvenendo (come in "Radiazioni") o a contare il tempo che resta, stupendosi ogni volta per quel calcolo dei dadi che più non torna (in "Contando i mesi"):
Bisogna mentire per vivere attraverso la morte, altrimenti si muore attraverso ciò che è rimasto della propria vita. (da "Contando i mesi", p. 32)
Quando parla di famiglia, Leavitt esamina la fortissima discrasia tra ciò che sembra e ciò che è. La famiglia non è una culla o un nido dove tornare, ma è il luogo del disagio e del non detto, in cui domina il fraintendimento, talvolta a fin di bene. 
La parola d'ordine per i diversi personaggi è non smentire il proprio ruolo, lasciare che i parenti ci diano per scontati mentre il mondo attorno non cambia. Così, ad esempio, in "Il cottage perduto", una famiglia ormai distrutta e dispersa, si riunisce ogni anno con ostinazione, anche quando i genitori sono ormai separati. O in "Da queste parti", tre sorelle si riavvicinano in occasione della morte di un genitore e riconfermano inizialmente le proprie caratteristiche che le rendono tanto diverse, per quanto affezionate. 
Chi prova ad affermare la propria autonomia o a smarcarsi dalle dinamiche familiari, sarà inevitabilmente emarginato. La piccola protagonista di "Alieni" si inventa origini extraterrestri pur di spiegarsi un presente inaccettabile. E il piccolo protagonista di "Danny in transito" dimostra la propria sofferenza per la morte dei genitori rendendosi antipatico e inavvicinabile; la triste verità è che chi rompe gli schemi familiari, subisce poi l'esproprio dalla famiglia, più o meno coatto:
«Non fidarti mai della pulizia. Le cose peggiori, quelle veramente brutte - succedono nelle case pulite, dove tutto è in ordine e nessuno dice niente di più che un buon giorno.»
(da "Danny in transito", p. 104)
L'unica via allora è adattarsi, rinunciando a parte del proprio carattere e limitare l'espressione del proprio punto di vista per quieto vivere:
«Sì, sì, sono pronta» dice Suzanne. «Sono pronta a tutto.»
Infatti si stupisce appena trova il suo nome su un segnaposto al tavolo dei cugini di Queens. Ricorda di aver organizzato le cose in modo diverso. Pazienza. I cugini di Queens possono essere divertenti. Chiunque può essere divertente fintantoché lei lo guarda e lo ascolta nel modo giusto. (da "Ballo di famiglia", p. 130)
Proprio in "Ballo di famiglia" si esplicita al meglio questa dura legge: la figlia, sovrappeso e poco propensa a partecipare a un patetico ballo che riunisce tutta la famiglia, compresi i genitori divorziati, viene costretta a entrare nel cerchio. Il tracollo emotivo, poi, trasuda tutta l'inadeguatezza di lei e l'incapacità empatica e simpatetica dei suoi parenti. Troppo concentrati su di sé e sul bisogno di mantenere una facciata rassicurante, i personaggi di Leavitt non comunicano mai davvero. In "Territorio", il racconto che apre la raccolta, un figlio deve presentare alla madre il proprio compagno; per quanto la madre sappia da sempre della sua omosessualità, il confine tra accettazione razionale e reale è molto diverso. 

Anche l'amore non paga: nel racconto di chiusura, "Devota", un improbabile triangolo inespresso fa sì che la giovane protagonista assista impotente e anzi complice all'amore omosessuale dei due amici. A lei non resta che essere, appunto, devota e l'unica ricompensa che ha è questa sorta di affetto voyeuristico, mai pago né soddisfatto. O, tuttalpiù, qualche confidenza da parte dell'amico di cui è segretamente innamorata:
«Crescere da froci è una cosa strana. Non impari mai niente dei corpi dei ragazzi perché hai paura di quello che puoi provare e non impari niente dei corpi delle ragazze perché hai paura di quello che non proverai. E così, la prima volta che va a letto con qualcuno, è come se ti accorgessi per la prima volta di un corpo. Io osservai ogni cosa. Ricordo che rimasi sconcertato nel vedere come si alzava e si abbassava il suo diaframma mentre dormiva perché non avevo mai guardato nessuno dormire prima. E per avermi fatto vedere questo, a causa di questo, lo amerò sempre, anche se si comporta come fa. Non dimenticherò mai com'era, mentre dormiva.» (da "Devota", p. 186)
Che sia un aspetto o l'altro, Ballo di famiglia colpisce come nessuna raccolta di racconti. Stile scabro ed estremamente incisivo, con la capacità di descrivere non solo gli sguardi, ma il battito di ciglia al momento giusto. Quando la realtà fa troppo male per essere guardata a occhi spalancati. 


GMGhioni