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Abbassate i fucili, imbracciate gli strumenti. Quando la musica insegna la tolleranza

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Paralleli e paradossi. Pensieri sulla musica, la politica e la società
di Edward W. Said, Daniel Barenboim
Il Saggiatore, Milano, 22/01/2015

traduzione italiana di Piero Budinich
pp. 160
14 euro

Le elezioni in Israele hanno riportato l’attenzione mondiale sul Medio Oriente. Mi sono accorta di seguirle con una certa stanchezza, un misto tra la rassegnazione e il dispiacere. In quella piccola regione battagliano fazioni cariche di storia, storia che poi ciascuno trascina nell’arena, dinnanzi al nemico, a testimonianza del reato. Sbandierata come prova della liceità dei diritti reclamati, a discolpa dei crimini dei regnanti. Perché in ogni conflitto la storia ha il suo peso. Ma c’è un direttore d’orchestra, ebreo russo, che quel fardello ha scelto di non portarlo più: Daniel Barenboim. E lo stesso ha fatto Edward Said, anglista e professore di origini palestinesi. Seduti l’uno a fianco all’altro parlano di musica, politica e letteratura. E lo fanno senza dimenticare il passato, ma guardando avanti, con la consapevolezza che ciò che è stato non si può – e non si deve – dimenticare, ma avvertendo la necessità di andare oltre.

Il libro Paralleli e paradossi raccoglie (con uno scritto di Claudio Abbado, ora in una nuova edizione) il frutto di una serie di conversazioni avvenute tra i due. Said e Barenboim sono infatti amici di lunga data. L’uno ammira l’altro per diverse ragioni. Per esempio, Said a fine libro ricorda come Barenboim abbia fatto scandalo eseguendo un estratto dal Tristano e Isotta di Wagner in Israele (sono note le sue idee antisemite) durante un bis, nel 2001. 
Barenboim disse che avrebbe eseguito il brano, ma propose a coloro che si sentivano a disagio di lasciare la sala, cosa che in effetti alcuni fecero. Ciò nonostante, il brano di Wagner fu favorevolmente accolto da un pubblico entusiasta di circa duemilaottocento israeliani e, ne sono sicuro, fu eseguito straordinariamente bene. (p. 151)
Ma Barenboim non è offeso dagli scritti politici antisemiti di Wagner? Certamente. E ci tiene a sottolineare che nessuno deve sentirsi costretto ad ascoltare le sue opere musicali, che pure non contengono (a differenza dei testi politici) riferimenti antisemiti. Però spiega che Wagner ha condizionato
il modo in cui tutto il mondo, senza eccezione, considerava la musica che lo aveva preceduto. (p. 82)
Barenboim non vorrebbe farci un’uscita tra amici, questo no, ma Wagner era e resta un genio. Sono pochi i compositori che come lui hanno influenzato il panorama musicale. Dopo il suo ascolto, il direttore racconta di avere affrontato elementi di Debussy in un’altra ottica. Perché dunque non proporlo?
Barenboim rompe d’abitudine tabù come questi, come accade ai grandi ingegni. Assieme a Said, correva l’anno 1999, ha fondato la West Eastern Divan Orchestra. Si tratta di un’orchestra sinfonica composta giovani provenienti da aeree tra loro ostili, come Israele, Egitto, Giordania, Palestina. La sede è a Weimar, in omaggio a Goethe e al suo Divano occidentale-orientale, città per certi versi simbolo delle vette raggiunte dalla cultura tedesca, eppure distante appena una manciata di minuti dal campo sterminio di Buchenwald, dunque dalla più bieca brutalità. Cittadini di paesi tra loro in conflitto riuniti per suonare la Settima sinfonia di Beethoven.
[...] all’inizio c’era un’atmosfera molto incerta. Comunque, dieci giorni dopo, lo stesso ragazzo che aveva dichiarato che solo gli arabi possono suonare musica araba stava insegnando a Yo-Yo Ma ad accordare il suo violoncello sulla scala araba. Evidentemente si era convinto che i cinesi potevano suonare la musica araba. (p. 26)
La musica non risolverà il conflitto israelo-palestinese. Ma il conflitto avviene dove c’è contatto. E l’idea di Barenboim e Said è che la qualità di questo contatto possa essere migliorata giorno per giorno.
Credo che quando parliamo di cultura, di letteratura e, meglio ancora, di musica, che non deve necessariamente avere a che fare con idee esplicite, l’idea di favorire questo tipo di contatto non può che aiutare le persone a sentirsi vicine le une alle altre, e questo è tutto. (p. 27)
La musica come trait d'union tra mondi e persone storicamente inconciliabili. Per Barenboim e Said ha funzionato, eccome. Mi stupiscono gli effetti concreti che ottiene la più intangibile delle arti, l’apoteosi dell’effimero. Perché in effetti la musica, intesa come esecuzione sonora, non la si può fotografare, o immortalare per davvero. Non puoi fermarti ad ammirarla come in un museo. Silenzio, suono, silenzio: non è forse allora la musica una sfida all’assenza di suoni? E di suoni in mutamento, l’andare da un qua a un
Non raccolgo cimeli, perciò la mia sensazione di trovarmi a casa in qualche luogo è veramente un senso di transizione, così come lo è tutto nella vita. Anche la musica è transizione. Sono più felice che mai quando riesco a conciliarmi con l’idea della fluidità. Sono infelice, invece, quando non posso lasciarmi veramente andare e arrendermi completamente all’idea che le cose cambino, evolvono, anche se non necessariamente per il meglio. (p. 22).
Perché su un cosa non si può che essere d’accordo: la musica ha una direzione, procede sempre avanti. La musica è una resa, meravigliosa seppur fugace, all’oltre. Ed è lì che Barenboim e Said si sono incontrati. Nella musica: oltre il passato, oltre i trascorsi, oltre la politica. 

Manuela Cortesi