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Un invito al femminismo come discussione aperta e critica: "Sulle donne" di Susan Sontag

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Sulle donne 
di Susan Sontag
Einaudi, 2024

Traduzione di Paolo Dilonardo

pp. 216
€ 16,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Negli anni fra il 1972 e il 1975, in saggi, interviste, interventi pubblici e risposte a questionari (tra cui quello condiviso con figure come Simone de Beauvoir e Rossana Rossanda dalla rivista parigina Libre), Susan Sontag si misura con i nodi più urgenti e controversi della condizione femminile, della politica culturale, del desiderio e del potere. Questa raccolta, pur non pensata come un volume unitario, rivela oggi affinità interne profonde: un sguardo coerente, fatto di lucidità critica e inquietudine morale. Nelle pagine di Sulle donne — che presentano una varietà di forma ma insieme una costanza intellettuale — Sontag sa essere tagliente e meditativa, politica e personale, senza mai perdere uno sguardo che non rinuncia alla complessità.
I temi appartengono agli anni Settanta ma anche a noi oggi: l’invecchiamento, la bellezza come terreno di doppio standard, il lavoro e la disuguaglianza, la sessualità, il rapporto, teso e a volte inconciliabile, tra femminismi e lotta di classe. Alcune riflessioni hanno la temperatura dell’epoca, altre sembrano invece scritte domani: siamo noi, oggi, a dover decidere da quale distanza ascoltarle.
Susan Sontag era una scrittrice lucida e incisiva ma potrebbe sbagliarsi chi cerca in questi scritti risposte definitive. Quello che l'autrice offre, anche quando appare più assertiva, è piuttosto un laboratorio di domande: possiamo davvero immaginare un femminismo come fronte compatto? È possibile dissentire senza tradire o non aderire ciecamente a una sola linea politica? Esiste davvero una causa comune, o quella comunanza è una costruzione che rischia di appiattire le differenze? Le sue parole non cercano adesione: creano movimento.
“Non mi piacciono le linee di partito”, annota. “Generano monotonia intellettuale e cattiva prosa.” Lo conferma anche Benedetta Tobagi nella prefazione a questa edizione, ripercorrendo alcune dispute intellettuali che hanno vista Sontag coinvolta. 
Leggere oggi gli scritti di Sontag significa interrogarci sulla coscienza femminile, sul desiderio, sulla necessità di trasformazioni economiche, culturali e linguistiche che poi diano poi origine a tante altre trasformazioni, per esempio un’etica sessuale che non si lasci dettare dal binomio dell'eterosessualità. Significa soprattutto godere di una prosa che non si limita a spiegare: accende, scuote, chiede di pensare, una prosa animata che anima anche noi. Sulle donne è un invito al femminismo come discussione aperta e critica

Ma le donne hanno un'altra possibilità. Possono aspirare a essere anche sagge, e non solo gentili; competenti, e non solo servizievoli; forti, e non solo aggraziate; ambiziose per sé stesse, e non solo per quel che concerne il loro rapporto con gli uomini e con i figli. Possono lasciarsi invecchiare in modo naturale e senz'alcun imbarazzo, opponendosi attivamente e disobbedendo alle convenzioni derivanti dai due pesi e dalle due misure che la nostra società applica all'invecchiamento. Anziché cercare di essere ragazze, ragazze finché è possibile, per poi invecchiare trasformandosi in umiliate donne di mezza età e, alla fine, in anziane oscene, possono diventare donne molto prima e restare adulte attive, godendo molto più a lungo della lunga vita erotica di cui sono capaci. Le donne dovrebbero permettere al loro volto di mostrare la vita che hanno vissuto. Le donne dovrebbero dire la verità. (p. 43)

 

L'obiettivo della lotta non dovrebbe essere la salvaguardia delle differenze tra i due sessi, bensì il loro scardinamento. Instaurare un rapporto non repressivo tra donne e uomini vuol dire cancellare quanto più possibile le convenzionali linee di demarcazione tracciate tra i due sessi, e ridurre la tensione tra donne e uomini che deriva dalla loro «alterità». (p. 63)

 

Non mi descriverei mai come una donna liberata. Le cose, ovviamente, non sono mai così semplici. Ma sono sempre stata una femminista. A cinque anni sognavo di diventare biochimica e vincere il premio Nobel. (Avevo appena letto una biografia di Madame Curie). La chimica restò la mia aspirazione fino all'età di dieci anni, quando decisi che sarei diventata medico. A quindici anni sapevo che sarei stata una scrittrice. Vale a dire, fin dall'inizio non mi è mai passato per la testa che, in quanto donna, mi si potesse impedire di fare qualcosa «nel mondo». Forse perché ho trascorso gran parte della mia cagionevole infanzia tra i libri o nel laboratorio di chimica che avevo installato in un garage vuoto, e sono cresciuta in una zona molto provinciale degli Stati Uniti e nell'ambito di una vita familiare così ridotta al minimo da potersi descrivere come subnucleare, ero stranamente inconsapevole dell'esistenza di una barriera. (pp. 94-95)

 

La prima responsabilità di una donna «liberata» è quella di vivere la vita più piena, più libera e più immaginativa possibile. La seconda è la solidarietà nei confronti delle altre donne. Può vivere, lavorare e fare l'amore con gli uomini. Ma non ha alcun diritto di definire la propria condizione più semplice, meno sospetta o meno segnata dai compromessi di quanto in realtà non sia. Il pezzo da pagare per i buoni rapporti che instaura con gli uomini non deve essere il tradimento delle proprie sorelle. (p. 97)

A cura di Claudia Consoli