Abbassate i fucili, imbracciate gli strumenti. Quando la musica insegna la tolleranza

Paralleli e paradossi. Pensieri sulla musica, la politica e la società
di Edward W. Said, Daniel Barenboim
Il Saggiatore, Milano, 22/01/2015

traduzione italiana di Piero Budinich
pp. 160
14 euro

Le elezioni in Israele hanno riportato l’attenzione mondiale sul Medio Oriente. Mi sono accorta di seguirle con una certa stanchezza, un misto tra la rassegnazione e il dispiacere. In quella piccola regione battagliano fazioni cariche di storia, storia che poi ciascuno trascina nell’arena, dinnanzi al nemico, a testimonianza del reato. Sbandierata come prova della liceità dei diritti reclamati, a discolpa dei crimini dei regnanti. Perché in ogni conflitto la storia ha il suo peso. Ma c’è un direttore d’orchestra, ebreo russo, che quel fardello ha scelto di non portarlo più: Daniel Barenboim. E lo stesso ha fatto Edward Said, anglista e professore di origini palestinesi. Seduti l’uno a fianco all’altro parlano di musica, politica e letteratura. E lo fanno senza dimenticare il passato, ma guardando avanti, con la consapevolezza che ciò che è stato non si può – e non si deve – dimenticare, ma avvertendo la necessità di andare oltre.

George Eliot contro le autrici di "romanzi sciocchi"

Romanzi sciocchi di signore romanziere
George Eliot

traduzione di Chiara Moriconi

apice libri, 2014




Questo prezioso libretto - aureo, direbbe qualcuno - ci permette di leggere in una bella traduzione italiana l'ultimo articolo scritto da Mary Anne Evans prima di iniziare la sua carriera di scrittrice di romanzi sotto lo pseudonimo che l'ha resa famosa: George Eliot. Si tratta di un articolo al vetriolo, e il titolo la dice già lunga. Romanzi sciocchi di signore romanziere è, in breve, una vivace invettiva contro una fauna letteraria particolarmente attiva nel mondo edioriale, le autrici di romanzi stupidi. Quest'invettiva, condotta da una donna sotto le mentite spoglie di un uomo, rivendica per la scrittura femminile una dignità diversa: non più romance popolari, ma vera fiction.

«Non sono le notizie che fanno il giornale, ma il giornale che fa le notizie»: Umberto Eco e la satira giornalistica

Numero zero
di Umberto Eco
Bompiani, 2015

pp. 224
€ 17 cartaceo



I perdenti, come gli autodidatti, hanno sempre conoscenze più vaste dei vincenti, se vuoi vincere devi sapere una cosa sola e non perdere tempo a saperle tutte, il piacere dell'erudizione è riservato ai perdenti. Più cose uno sa, più le cose non gli sono andate per il verso giusto.

Numero Zero stupisce già a partire dal potere di dividere i lettori in due partiti estremisti: chi sostiene che il nuovo Eco sia un buco nell'acqua (e, ad argomentazioni talora povere, si accompagnano giudizi particolarmente acidi), e chi invece vede nel romanzo una freschezza e una scorrevolezza piacevoli. Di sicuro, i commenti non restano mai nel tiepido territorio della neutralità o dell'indifferenza. 

I "Consigli a un giovane clown" di David Larible

Consigli a un giovane clown
di David Larible, Massimo Locuratolo, Alessandro Serena
con una nota di Nicola Piovani
Mimesis, 2015

pp. 276
€ 22



Terzo pagliaccio nella storia ad avere vinto il Clown d’oro al Festival di Monte Carlo, l’unico ad averlo fatto in concorso, circense con un repertorio tra i più vasti al mondo, uomo di teatro che da anni fa sbellicare le platee internazionali: David Larible è forse il clown più famoso dei nostri giorni, acclamato dal pubblico e stimato dai colleghi anche non strettamente del settore. Questo libro vuol esser un omaggio all'artista e alle sue doti, ma anche uno strumento di approfondimento della disciplina circense di cui è maestro, trattata con chiarezza dai due coautori Alessandro Serena, professore di Storia dello spettacolo circense e di strada all'Università degli Studi di Milano e Massimo Locuratolo, storico del genere comico. 

#CritiCINEMA - Di cosa parliamo quando parliamo di "Birdman o (L'imprevedibile virtù di una vittoria all'Oscar)"

Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza) di Alejandro González Iñárritu, vincitore agli Oscar 2015 di quattro statuette per miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior fotografia, è un film da leggere sotto il segno di Carver.
Di quel Raymond Carver (scrittore statunitense morto nel 1988 a cinquant'anni) costantemente evocato e soprattutto della sua raccolta di racconti Di cosa parliamo quando parliamo d'amore, edita per la prima volta in Italia da Garzanti nel 1987 nella traduzione di Livia Manera e con una postfazione a cura di Fernanda Pivano.

#CriticaLibera - Un pensiero, anzi tre, su Aldo Manuzio

Il 2015, per diverse felici coincidenze, è un anno ricco di notevoli e importanti ricorrenze. Al centenario di commemorazione del divo poeta Alighieri, classe 1265, si associa la commemorazione di Aldo Manuzio, l'arcistampatore attivo a Venezia. Ho scelto di scrivere non da esperto bensì solo da appassionato e per manifestare una certa gratitudine al grande protagonista della cultura umanistica italiana!
    Come molte voci autorevoli della modernità hanno avuto modo di sottolineare, la vera rivoluzione dell'Occidente, dopo l'invenzione della ruota, è avvenuta con l’invenzione del libro e il perfezionamento della stampa. La figura di Aldo Manuzio, stella luminosa nella storia dell’editoria, in questa commemorazione del 1515 è al centro di una serie di iniziative di studio e approfondimento in quello che è stato chiamato l' "Anno Manuziano".
    In queste poche righe vorrei esprimere i motivi personali della gratitudine che mi legano ad Aldo Manuzio, con la convinzione che tanti tra i lettori, non del mio testo, ma lettori per passione, potranno convenire sugli stessi argomenti.

Il vento caldo dell’estate scalda anche i cavalieri oscuri


                                                                                                      Malefica luna d’agosto
di Cristina Guarducci
Fazi Editore, 2015



Pp. 176
Euro 16









Malefica luna d’agosto è un libro, anzi una storia lunga, che si legge tutta d’un fiato, come una granita alla menta in una notte invasa dalle zanzare. Cristina Guarducci, psicanalista di scuola junghiana, costruisce tra le pinete della Maremma un racconto in cui la fantasia, le intermittenze del reale, le paure da bambini e le pulsioni di tutti i giorni trovano una, stralunata ( e non si aveva dubbi in merito all’aggettivo da usare) forma di equilibrio. Il libro è quasi pervaso da uno scirocco che non lascia scampo al lettore, il quale non può fare altro che scorrere, pagina dopo pagina, le pirotecniche vicende, lasciandosi trascinare dal vento caldo dell’estate.

Le avventure di Tim Parks nel regno dei morti viaggianti

Coincidenze
di Tim Parks
Bompiani, 2014

Traduzione di Giovanna Granato

pp. 352
€ 19,00


Forse non sono la persona più adatta per parlarvi di Coincidenze di Tim Parks. Viaggio in treno da più di quindici anni e ormai da parecchi ho smesso di segnare le tacche di paura e disgusto sul fucile della mia quotidianità di pendolare. "Guasti sulla linea", "mancanza del treno corrispondente", "accertamenti dell'autorità giudiziaria", "ritardo nella preparazione del materiale rotabile", "avverse condizioni meteo", "danneggiamento del pantografo": un gergo tecnico stravagante e minaccioso che ben presto è divenuto parte integrante del mio lessico familiare. E sono solo gli accidenti occasionali, quelli che stanno diciamo così "fuori" dal treno. Il paesaggio interno contempla, di norma, sudiciume, sovraffollamento, passeggeri chiassosi e maleducati, controllori prepotenti e incompetenti, informazioni di viaggio imprecise e contraddittorie. Un'offerta di disagi pressoché inesauribile, maldestramente sorretta da una struttura burocratica sovietica, macchinosissima e iper-articolata che, progettata per garantire la perfezione del servizio, ne assicura inevitabilmente il malfunzionamento. In una parola: Trenitalia. Il regno dei morti viaggianti.

"La sposa giovane" alla Scuola Holden: un pomeriggio con Alessandro Baricco



Un pomeriggio con Baricco: gli onori di casa alla Holden. Fuori piove. È un pomeriggio buio a Torino, nonostante sia marzo, nonostante il sole abbia già illuso molti sull’imminente arrivo della primavera. La Scuola Holden da un paio di anni è a Piazza Borgo Dora, nell’ex Caserma Cavalli. Dentro la luce è calda, le pareti gridano ai colori, è un tripudio di rosso, arancio e giallo, che dal cortile cupo brillano dietro ogni finestra. Quattromila metri quadrati dedicati non solo alla scrittura, ma all’arte in ogni sua forma, dal teatro al cinema, da Game of Thrones a Tolstoj. Il preside è Alessandro Baricco, ed è proprio lui che ci ha invitati per una presentazione non-presentazione del suo ultimo romanzo, La Sposa Giovane. Da bravo padrone di casa, ci accoglie con un sorriso e una proposta: visitare la scuola insieme, cercando di spiegarci un’idea e una filosofia: dalle luci regolabili in base alle esigenze di scrittura o di meditazione, ai colori forti e decisi sulle pareti, passando da una mappa concettuale, che possa dare l’idea di cosa è per lui questa scuola, questo “percorso” attraverso le contaminazioni che l’arte permette. Si divide in sei college, ovvero sei indirizzi di studio tra cui scegliere: Acting, Crossmedia, Filmmaking, Real World, Scrivere e Series. Metà del tempo gli studenti lo trascorrono a frequentare, il resto ad approfondire percorsi. “L’idea di base - spiega Baricco - è che se alla fine del tuo percorso hai seguito solo un colore di studi, una strada, hai fatto male la Holden, se ti sei fermato a cimentarti con tanti altri colori hai fatto bene”. Certo, fa un po’ impressione vedere sulla stessa direzione-linea Limonov, Il trono di spade, Harry Potter e Cuore di tenebra. “Sono solo esempi”, precisa il preside di fronte al nostro stupore. Anche le aule sono strutturate in maniera da contaminarsi: uffici, sale mense ed aule si alternano nell’edificio, in maniera da risultare, e far risaltare, spazi sempre vissuti e vivibili: “Così da chi sta andando a farsi un caffè è costretto a passare davanti a chi studia, rinnovando l’ispirazione”.

Un approccio “estetico” al romanzo, circumnavigando l’argomento. Dopo la visita guidata, si torna in una sala della scuola, dove ci ritroviamo a girare attorno al vero motivo dell’intervista, la pubblicazione del nuovo libro con Feltrinelli, La Sposa Giovane, ma con la sorpresa di non poter in realtà chiedere nulla del libro. Lo stesso Baricco scherza su questo approccio, voluto dall’editore, e così il pomeriggio diventa un surreale “chiedo-non-chiedo” che ci permette di conoscere meglio lo scrittore, di fugare alcuni pregiudizi (molti sostengono che non sia simpatico e disponibile, a noi è sembrato il contrario), di capire cosa spinge uno scrittore a cimentarsi in un nuovo lavoro e qual è il rapporto coi lettori. Si rompe il ghiaccio con una domanda sul versante “estetico” del libro, ovvero sulla scelta di una doppia copertina, una in cartoncino più classico e una in cartoncino traslucido, e Baricco confessa: 
Sono diverse perché mi era già successo in passato, alla fine bisogna scegliere la copertina, non si capisce perché, poi tecnicamente parlando ne potresti scegliere anche quattro; vorresti poter scegliere una o più varianti e in questo libro abbiamo proprio fatto così; l’idea era quella di dare un alone più classico ad una, in pratica potremmo dire che c’è quella più tradizionale, versione “Mi nonna”, e quella versione “Mi figlio”, ho provato a capire se il gusto della prima era più vicina ai giovani, ma mio figlio ha sedici anni e ha scelto quella “tradizionale”, per cui...

#PagineCritiche - Tre per Toti: Eloisa, gli Altri, l'arte

Un allegro fischiettare nelle tenebre. Ritratto di Toti Scialoja
di Eloisa Morra
Quodlibet, Macerata 2014

pp. 240
€ 20


Eloisa Morra apre la sua monografia con una domanda di Anna Banti (a proposito di Fenoglio): «Chi ha scritto le pagine che andiamo leggendo?» (p. 7). La stessa domanda si potrebbe porre il lettore del libro della studiosa, Un allegro fischiettare nelle tenebre. Ritratto di Toti Scialoja. Un volume considerabile una conditio sine qua non per tutti i futuri studi scialojani, non solo per la mole straordinaria di testi (inediti, sfuggiti alla critica, trascurati), ma soprattutto per il metodo di lettura (e non di analisi) utilizzato nel trattare i materiali.
Il sottotitolo “ritratto” è la vera chiave di volta per entrare nei meandri dell’operazione compiuta da Eloisa Morra: un ritratto cristallizza nel tempo e nello spazio, fissando qualcosa che resta immutabile e come lo si è colto in un determinato cronotopo.
Creare un ritratto dinamico è (quasi) impossibile: Eloisa Morra è riuscita in questo.
Ha scommesso su qualcosa che, in apparenza, potrebbe essere considerato fuori moda: il legame tra biografia e creatività artistica. Ripercorrendo le tappe della vita di Toti Scialoja, la studiosa costruisce un percorso biografico legato a doppio filo con un’artisticità a trecentosessanta gradi. Ma ogni fase della vita non è una mera manciata di anni, consumati tra le proprie carte, nella propria fucina di Efeso: è una fitta rete di incontri e di letture, di recensioni, di “sentito dire”, di viaggi, di scoperte.
Eloisa Morra riesce a ricostruire questo puzzle, mettendo al centro l’artista romano, senza togliere nulla a chi e a cosa ha interagito con lui: l’humus diventa, nelle mani della giovanissima studiosa, uno strumento per dipingere il ritratto di Scialoja, senza pretese di essere arrivata da qualche parte, ma quasi con la consapevolezza di aprire tante porte, di spalancare tanti mondi, vergini e inediti, ancora da studiare, ancora da approfondire.

Matrimonio perfetto, se non fosse per la... suocera!

Ho sposato mia suocera. Memorie di un genero esaurito
di Stefano Grimaldi
"I Jolly", Las Vegas Edizioni, 2015

pp.  118
€ 10


Ci sono romanzi che ti conquistano perché arrivano esattamente nel momento giusto. Ho sposato mia suocera, godibilissima raccolta di memorie di un giovane genero che non può più sopportare l'onnipresente suocera, è stato anche in grado di alleviare i sintomi e il malumore da influenza. 
Poco più di cento pagine che si leggono davvero rapidamente e di gusto, perché anche noi lettori vogliamo sapere se Stefano ce la farà o meno a liberarsi dal peso ingombrantissimo della suocera, che letteralmente «si spiaggia» in casa. La sua presenza è volutamente imposta: porta con sé borse ingombranti, consigli non richiesti, commenti acidi che svalutano sempre il pazientissimo Stefano, provocazioni sullo status sociale ed economico della coppia. Sì, perché la suocera confronta tutto  con la sua vita in Azienda (non meglio precisata) e con il conto in banca del suo ex-compagno particolarmente munifico. E poi, da suocera che si rispetti, ha proprio un parere su tutto, anche se deve mortificare la figlia Clara, o criticare le scelte della coppia.

Il Grande Romanzo Umano: "Ruggine americana" di Philipp Meyer

Ruggine americana
di Philipp Meyer
Einaudi, 2014



Traduzione italiana di Cristiana Mennella


pp. 395
€ 13,50


Pennsylvania, Mon Valley: un tempo il principale centro siderurgico mondiale, ora ambiente urbano desolato, sofferente a causa di una crisi iniziata tempo fa e che sembra non avere fine. La gente è stata licenziata, le fabbriche hanno chiuso ed è rimasta solo la ruggine a coprire i vecchi muri. Case, negozi e industrie lasciate andare, povertà strisciante e una sensazione funerea che non se ne và. Ovvio che anche chi vive in quelle zone risenta di queste condizioni: è un’umanità lacerata, quella che ci racconta Meyer nel suo romanzo d’esordio.
Non fa eccezione Isaac, ventenne mingherlino, molto intelligente ma insicuro, che nella più classica delle tradizioni americane ed echeggiando numerosi precedenti da romanzo di formazione, parte per un viaggio, o meglio scappa. Destinazione California, dove il college gli darà l’opportunità di realizzarsi sottraendosi ad un destino angusto e soffocante. Già nel primo capitolo, però, arriva un imprevisto: il ragazzo si ritrova ad uccidere un barbone che stava per violentare il suo amico Poe. Non si può decidere quale sarà il proprio percorso formativo, è la vita a stabilire come forgiarti e quali esperienze si radicheranno in te.

Un vago senso di "Annientamento": incontro con Jeff Vandermeer nell'AreaX




Jeff Vandermeer, ovvero il mio primo fantasy verde fosforescente e tutto ciò che ho perso se il fantasy è così: poi però ho letto da qualche parte che quello di Jeff si chiama New Weird e che i primi esempi si ritrovano in Carroll e Lovecraft, per arrivare a Stephen King, e ho capito perché adoro questo romanzo. La presentazione in Casa Einaudi e il collegamento via Skype con la Florida hanno reso, per un pomeriggio, vagamente localizzabile l’AreaX, in cui si muovono i personaggi di questo romanzo. In Annientamento, primo volume della trilogia già pubblicata negli States da Farrar, Strauss & Giroux, il tutto ruota attorno ad una spedizione al femminile (per favore, non chiedetevi anche voi perché un uomo scelga di immedesimarsi in una donna o sarete giustamente bacchettati dai tweet di Michela Murgia sulle divagazioni sessiste) formata da una biologa, una psicologa, un’antropologa, una topografa, alle prese con una zona, denominata AreaX, da perlustrare in cerca di risposte. In mezzo, un faro e un tunnel, come punti di riferimento. Per cui adesso ho l’arduo compito di raccontarvi cosa ho visto nel mio personale tunnel, facendovi sopravvivere al groviglio vegetale e discorsivo di noi giornalisti, che quando si tratta di Annientamento ne sappiamo davvero parecchio.


In principio fu il colore - e quello che la trilogia ci regalerà in tema di illustrazione. La prima cosa che colpisce è la scelta di abbandonare le fotografie in bianco e nero - per carità bellissime ed eleganti, ma anche basta - delle copertine Einaudi per dedicarsi ad un irresistibile tocco illustrativo, che è già uno spettacolo per gli occhi, nel primo volume di questa trilogia, che trova collocazione, con la sapiente traduzione di Cristiana Mennella, nei Supercoralli (in attesa degli altri due volumi, tra maggio e settembre, Autorità Accettazione). Insomma verde acido, blu ciano e rosso magenta, con il sapiente tocco di Lorenzo Ceccotti, meritano già il posto d’onore sugli scaffali di qualsiasi lettore, in barba all’eleganza insipida dell’edizione inglese, a quella psichedelic-ciclopica dell’edizione polacca e a quella da bestiario entomologico dell’edizione tedesca. Se poi qualche libraio fantasioso decide di spostarli dall’area fantasy a quella per la letteratura d’infanzia - episodio realmente accaduto in terra lombarda e narratoci da una collega all’incontro - non credo sia affar nostro. In ogni caso, se io dovessi partire domani per l’AreaX chiederei la foto tessera a Ceccotti. 

#PagineCritiche - Richard Millet, "L'inferno del romanzo"

"L'inferno del romanzo. Riflessioni sulla postletteratura"
di Richard Millet
Massa, Transeuropa, 2010

Traduzione di Stefania Ricciardi
Introduzione di Carlo Carabba

Pp. 220
€ 18,90



Il problema del romanzo oggi non è uno dei problemi della condizione dell’arte, e della letteratura soltanto, bensì è – non solo rappresenta – tale problema nella sua declinazione essenziale, nella sua forma più alta e perciò più discussa – in discussione – e problematica possibile. Questo a dispetto di ciò che si può credere, o del tentativo di credere diversamente – che non è altro che il tentativo di fingere che ciò non sia così, che i termini del discorso non siano questi, così assoluti, perentori, e perciò il tentativo di fare come se nulla fosse, come se nulla fosse accaduto, dalla fine degli anni Settanta ad oggi, in termini di sconfitta del giudizio critico su quello emotivo, della perdita di centralità della critica sull’opinione, della testa sulla pancia.

Le possibilità narrative della fiction: 'Pornokiller' di Marco Cubeddu


Pornokiller
di Marco Cubeddu
Mondadori, 2015

pp. 196

€ 17,00
eBook € 7,99




C'è un passaggio di questo Pornokiller, opera seconda del genovese Marco Cubeddu dopo l'esordio di Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013), che centra e sintetizza meglio di qualsiasi discorso l'anima del romanzo. Siamo proprio all'inizio: 

Carlo è in uno dei camerini al primo piano della Hardcorps, si fissa nello specchio fumando un'altra sigaretta. "Ma io non ci sto più. E i pazzi siete voi." Possibile che un omone del suo genere, imbottito di cultura a stelle e strisce fino al midollo, dovesse, invecchiando, risolversi a essere così nazionalpopolare da agghindare i suoi pensieri modellandoli attraverso le rassicuranti nenie cantautoriali della sua infanzia? "Che diavolo di mattinata infernale. Non ne posso più di questa merda". (p. 43)

Proprio in questo scarto, nella frattura insanabile tra i modelli culturali d'oltreoceano del protagonista, Carlo Ballauri, ex rampollo di una famiglia torinese in auge nell'Italia craxiana, ora regista fallito e fallimentare nell'industria del porno, e il forte retroterra "nazionalpopolare" delle origini, si dispiega la trama del romanzo cinematografico di Cubeddu, che da parte sua fa di tutto per ostentare e, se possibile, portare al parossismo questo conflitto. Il risultato, scientemente perseguito (c'è da credere) stando alla verve postmoderna della scrittura dell'autore, è "un irresistibile frullato pop" (aletta di copertina dixit). Gustoso o indigesto, a seconda delle inclinazioni più o meno pop e pulp del lettore. Ma da questo punto di vista Cubeddu, imbastitore di lazzi e di situazioni borderline, è molto onesto; la sua prosa in ogni singola pagina non fa concessioni, non scende a compromessi con l'ipotetico 'gusto' di una certa tipologia di lettore: 'questo è il campo di gioco, queste sono le carte e le regole, se permettete, le faccio io', sembra voler dire l'autore di Pornokiller a ogni sequenza del romanzo.

Michail Bulgakov, "Era maggio"





Era maggio
Michail Bulgakov
Traduzione di Chiara Munerato

Damocle edizioni
pp 19
5,00



La Damocle edizioni continua sorprenderci con i suoi librettini esili come foglie cadute, cuciti a mano e con testo a fronte. Contengono - per la gioia di coloro che non stanno per forza dietro all’ultimo romanzo premiato, ma amano il buon odore d’una biblioteca polverosa - minuscole chicche della letteratura mondiale, tradotte e pubblicate in Italia per la prima volta. Dopo la collana lettone, è la volta dei classici russi.
Era maggio” è un testo breve di Michail Bulgakov, (1891 – 1940) l’autore de “Il maestro e Margherita”,  “Cuore di Cane” e “Le uova fatali”. Medico, lasciò la professione, troppo soggetta a pressioni governative, per dedicarsi alla scrittura, finendo, però, triturato nell’ingranaggio sovietico. Vivo forse solo grazie alla simpatia personale di Stalin, fu sempre inviso al regime, tutte le sue opere osteggiate e molte costrette a uscire postume. Dalla sua morte fino al 1961 nessun suo lavoro fu pubblicato in Russia, poi, per cinque o sei anni, scoppiò il fenomeno Bulgakov, rinnovatosi in seguito negli anni 80. “Il Maestro e Margherita”, il famoso romanzo del Diavolo e di Ponzio Pilato, ispirato al “Faust” di Goethe, fu la fantasmagorica opera di tutta la vita, con numerose stesure basate anche sulla memoria, dopo averne personalmente bruciato il manoscritto.
Era maggio” è stato composto nel 1934. Tradotto per noi da Chiara Munerato, pensato come primo capitolo di un diario di viaggio, non fu mai proseguito perché le autorità negarono a Bulgakov il visto di espatrio.
È primavera, l’ io narrante, un drammaturgo facilmente identificabile con l’autore, attraversa una Mosca in bilico fra progresso e conservatorismo rivoluzionario.

Era maggio, il bellissimo mese di maggio. Percorrevo il vicolo, proprio quello in cui si trova il Teatro. Era un bel vicolo liscio, adorabile, su cui passavano incessanti le macchine.” (pag 9)

Poesie dalla redazione

Buon sabato a tutti! 
Per festeggiare la Giornata Mondiale della Poesia, quest'oggi abbiamo pensato a un #CriticaLibera un po' diverso, con le poesie preferite dei nostri redattori. Buona lettura e mandateci le vostre tra i commenti! 


Adriano Morea sceglie... Catullo

Vivamus, me aLesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt;
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
Dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.

Trad.:

Dobbiamo Lesbia mia vivere, amare,
le proteste dei vecchi tanto austeri
tutte, dobbiamo valutarle nulla.
Il sole può calare e ritornare,
per noi quando la breve luce cade
resta una eterna notte da dormire.
Baciami mille volte e ancora cento
poi nuovamente mille e ancora cento
e dopo ancora mille e dopo cento,
e poi confonderemo le migliaia
tutte insieme per non saperle mai,
perché nessun maligno porti male
sapendo quanti sono i nostri baci.


(Carmina, 5, trad. it. di Enzo Mandruzzato, ed. BUR  Milano 1982)

"Era sbagliato sperare di essere felici?": L'ambasciata di Cambogia, un racconto di Zadie Smith

L’ambasciata di Cambogia
Zadie Smith
"Libellule" Mondadori, marzo 2015

Traduzione italiana di Silvia Pareschi

pp. 72
€ 10,00



Ognuno di noi ha i suoi autori feticcio. Non intendo necessariamente gli autori preferiti, di cui ogni pagina letta e riletta ci sembra ogni volta la miglior cosa mai pubblicata fino a quel momento, con cui proviamo un grado incredibile di empatia e che in qualche modo ci rassicurano; ma quegli autori, di solito poco più di un paio, di cui non possiamo fare a meno di seguire ogni nuova pubblicazione o intervista certi che, nel bene e nel male, sarà l’ennesima occasione per spingerci a riflettere e magari mettere in dubbio le nostre – effimere – certezze. Non sempre ne condividiamo le idee, ci entusiasma la storia, o proviamo empatia con le loro parole, eppure torniamo ancora una volta lì, ipnotizzati dal fascino intellettuale che suscita in noi proprio quello scrittore in particolare. Personalmente ci sono casi in cui autori prediletti ed autori feticcio coincidono (un esempio su tutti: Virginia Woolf, che non mi stanco mai di leggere e rileggere, specie come saggista, di cui da sempre mi affascina anche il “personaggio” ) e altri che rientrano meglio nella seconda categoria, di cui seguo con estremo interesse interventi e pubblicazioni consapevole del fatto che potrebbero deludermi o infastidirmi con la propria posizione intellettuale, la propria visione del mondo e della vita. Penso a Franzen, David Foster Wallace, Salinger, Caitlin Moran, solo per citarne alcuni: ho amato follemente alcuni loro scritti e con la stessa passione ne ho detestato altri, mi entusiasmano alcune prese di posizione sul mondo che ci circonda così come altre mi suscitano un’antipatia assurda. Eppure, ogni volta che trovo online un’intervista, scopro una nuova pubblicazione o un dibattito intorno all’autore, difficilmente resisto proprio perché consapevole della particolare capacità che hanno di suscitare in me sentimenti contrastanti e la riflessione svincolata da sentimentalismi o inutili difese di parte.

Orazio Labbate e la Sicilia diabolica de "Lo Scuru"

Lo Scuru
di Orazio Labbate
Tunué, 2014

pp. 128
€ 9,90




Permettetemi di prenderla un po' alla lontana; se non vi interessano i miei sproloqui su crisi dell'editoria e esordienti, e volete sapere solo cosa penso de Lo Scuru di Orazio Labbate, saltate pure i primi due paragrafi e volate direttamente al terzo.

Certo, le due cose sono collegate. Mentre i consigli di amministrazione dei colossi editoriali, dietro le porte chiuse delle loro torri di vetro, studiano grafici, statistiche, fusioni e cambiamenti dell'asset (si dice così?) per arrestare l'emorragia di lettori che è al tempo stesso causa ed effetto della crisi dell'industria, là fuori ci sono ancora persone che pensano a scrivere libri. Si chiamano "esordienti", e sono i convitati di pietra di ogni discussione sull'editoria: presenti, ingombranti, insistenti, ma quasi del tutto privi di voce in capitolo a tavola. Un po' come "i giovani" nel mercato del lavoro: risorse propulsive e rinnovatrici quotidianamente invocate, ma mai realmente sfruttate. Perché? Ovvio: in un settore che, prima di muovere un passo, si chiede non "Vale?", ma "Vende?", il rischio della scommessa non sembra mai pari alla posta. Perciò meglio l'usato sicuro. Come nel caso di #ioleggoperché, la campagna di promozione della lettura che culminerà il 23 aprile in un grande evento di distribuzione gratuita di libri al popolo: ventiquattro titoli, appositamente selezionati e ristampati in 240.000 copie destinate a finire sul comodino di altrettanti "lettori assopiti", nella speranza di indurli a risvegliarsi. E di autori italiani chi c'è, tra i ventiquattro prescelti? Tutti volti nuovi, nuovissimi: Alessandro Baricco, Silvia Avallone, Sveva Casati Modignani, Margaret Mazzantini, Andrea Vitali, Marcello Simoni e così via. Che scelte audaci. Dovrebbero essere questi gli autori destinati a risvegliare i lettori assopiti? Ma allora meglio girarsi dall'altra parte e tornare a dormire.

"Il Regno" e il cristianesimo come narrazione: incontro con Emmanuel Carrère

Sono passati trentadue anni da quando Emmanuel Carrère ha esordito in Francia come romanziere con L'amico del giaguaro. Dal 1983 a oggi la tensione verso il racconto personale e collettivo, lo sguardo sempre rivolto all'esperienza umana, la capacità di creare storie di finzione capaci di riflettere la vita reale, sono rimaste centrali nella sua produzione, fari di una ricerca che è partita dalla pura narrativa d'invenzione (si vedano i romanzi degli anni Ottanta e Novanta, come Bravura e La settimana bianca) e con il tempo si è arricchita di intenti e sfaccettature, rimanendo comunque fedele a se stessa. Con una scrittura che è costante sforzo conoscitivo, ha dato anche voce alla follia e all'orrore che per anni l'hanno ossessionato costringendolo a farsi raccontare. Sono nati così L'Avversario (2000), la storia dell'inganno perfetto, e La vita come un romanzo russo (2007), un viaggio nei segreti dell'erotismo e nei fantasmi di una storia familiare.

"Il Signor Bovary" di Paolo Zardi


Il Signor Bovary
di Paolo Zardi
Intermezzi, 2014

Formato e-book




Si era fatto l’amante il Signor Bovary, per il semplice gusto di dire di essersi fatto l’amante come tutti. Lui, il Signor Bovary, è un direttore di una filiale, uomo realizzato in giacca e cravatta con moglie e figli a completare il dovuto quadretto di rispettabilità; la domenica barbecue con i genitori, abbonamento a Sky, monovolume a sette posti, iPhone, garage, e finalmente: un’amante. Lei, l’amante, l’addetta alle pulizie della filiale con camice azzurrino e colletto bianco.
Il Signor Bovary è il tipico personaggio borghese in possesso di tutti gli oggetti che lo includono nella cerchia della condotta di vita media, una parodia del personaggio femminile flaubertiano e del suo dramma borghese. Niente sfide alle convenzioni in nome dell’amore o amori infelici; è una caccia: di un borghese che ama sua moglie su preda proletaria.
(…) Ora, nel ventunesimo secolo, era tutto capitale contro forza lavoro, la riproposizione in chiave moderna dell’eterna lotta tra borghesia e proletariato, tra chi comandava e chi faceva i figli.

Alla scoperta del New Weird di VanderMeer: conquisterà anche l'Italia?

Annientamento
di Jeff VanderMeer
Einaudi, 2015

Traduzione di Cristiana Mennella

pp. 186
€ 16

Quando ormai eravamo pronte ad attraversare il confine sapevamo tutto... e non sapevamo niente. (p. 64)
Quando il lettore ideale apre la prima pagina, sospende l'incredulità. Il lettore reale, invece, è un'altra cosa, e spesso è necessario qualche capitolo per addentrarsi completamente nel mondo raccontato. Specialmente se l'ambientazione del romanzo è qualcosa di completamente inatteso, spiazzante, volutamente strano e fantascientifico.
Quando ci si avventura in Annientamento di Jeff VanderMeer, primo capitolo della "Trilogia dell'Area X", ecco che ci si ritrova a seguire l'io-narrante, una biologa, in una missione pericolosa alla ricerca oltre il confine. Cosa sia esattamente questa Area X, non si sa: la protagonista vi si trova catapultata  con tre compagne di spedizione di cui non conosceremo mai i nomi. D'altra parte, le quattro sono lì nel loro ruolo professionale (una psicologa, un'antropologa e una topografa), non per esprimere le proprie riflessioni. Anzi, per quelle hanno a disposizione diari di bordo, che devono però restare personali e non devono essere letti. Quindi, costrette nello stesso spazio con rischi altissimi di non ritorno, e armi in tasca (e che armi!), le quattro iniziano a indagare sfruttando la loro preparazione, fingendosi però diverse da ciò che sono, per non destare sospetti: 
Spesso a furia di fingere diventiamo una discreta copia di ciò che imitiamo, anche se solo alla lontana. (p. 44)
Non c'è coesione, né si conosce l'obiettivo esatto della missione: "esplorare" è un verbo che ha infinite sfumature. E, d'altro canto, i pochi superstiti non sono mai tornati realmente dalle spedizioni precedenti: la biologa stessa ha sperimentato nella sua vita familiare un "finto ritorno", e forse anche per questo ha deciso di arruolarsi. Tuttavia, anche i criteri di scelta dei volontari sono misteriosi:
Mi accettarono per fare un esperimento. Ma magari avevano previsto fin dall'inizio che mi sarei arruolata. (p. 78)

Fino all'ultimo respiro e anche dopo. Rip di Marco Valenti

Rip
di Marco Valenti
Antonio Tombolini Editore
Collana Officina Marziani

€ 6,99
ebook


Rip di Marco Valenti è un romanzo che ti colpisce a tradimento. In senso positivo ovviamente. Inizi a leggerlo e ti fai subito catturare dalle riflessioni del protagonista, Luca, che ha appena perso il padre Giovanni. Ed è assalito dal dolore, ma si trova anche in un certo senso sospeso, tra la disperazione e il sollievo, non in grado ancora di capacitarsi che un capitolo molto difficile della sua vita è terminato. E ancora ignaro che non è tutto finito, che nel nostro Paese spesso non c'è pace nemmeno dopo avere esalato l'ultimo respiro. Il padre di Luca, prima di morire era malato di Alzheimer, e tutti sappiamo come questa malattia cambi e devasti chi ne è colpito e i suoi familiari. Ci si immedesima in Luca, anche grazie alla scrittura intima e diretta di Valenti, e si continua a farlo per tutto il romanzo che ripercorre le assurde – ma purtroppo realistiche – disavventure di un figlio che non riesce a dare l'ultimo doveroso saluto al padre a causa di una stupida e contorta burocrazia che gli impedisce di rispettare le ultime volontà di Giovanni.

#CriticaNera. The Orange Hand: la rivincita del thriller tra storia e giornalismo

The Orange Hand
di Luca Tom Bilotta
David and Matthaus Edizioni, 2014

pp. 275
€ 19,90


"Il nostro credo è la conoscenza, 
nel senso più puro e scientifico che ci possa essere. 
Questo è il vero scopo dell'organizzazione" 
(pag.111)


Un thriller con un ritmo molto sostenuto e diverse dinamiche narrative che si intrecciano, rendendo vario e composito il plot, questo è il segreto del successo di The Orange Hand di Luca Tom Bilotta. Un giovane scrittore che è riuscito con la sua opera prima a passare dalle pagine di un quotidiano di provincia alla scrivania di un mostro sacro come Albert Zuckerman, fondatore della Writers House, l’agenzia letteraria dei principali protagonisti della letteratura internazionale, tra cui Ken Follett. 

Per un caso strano del destino ecco che Joe Brigati, il protagonista del romanzo e Tom Bilotta, il suo creatore, intrecciano fortune e successo a cavallo tra due nazioni: America e Italia. Le logiche redazionali di un quotidiano, con il loro calvario mortificante di noia e cliché, stavano stretti ad entrambi e il processo catartico avviene attraverso il medesimo medium: la scrittura. 

The Orange Hand, la mano arancione, è la summa di quello che deve esserci in un thriller: ritmo, fatti, cronaca, vicende storiche poco chiare, ribaltamento dei punti di vista, suspense, intrighi. Il tutto è condito in un’ottica moderna, sostenuto da un linguaggio asciutto e giornalistico, che ammicca alla fiction - come ha notato del resto anche la Paramount, che ha già iniziato le riprese per la serie ispirata al romanzo - e servita con la giusta dose di efferatezza e mistero.

Fëdor Dostoevskij, "Due suicidi"


Due suicidi
Fëdor Dostoevskij
Damocle Edizioni, 2015


Traduzione di Chiara Munerato


pp. 21
€ 5,00



Nel 1873, Fëdor Dostoevskij (1821-1881) assume la direzione della rivista Graždanin (Il cittadino) dove pubblica “Il diario di uno scrittore”, opera che contiene una serie di articoli, diffusi settimanalmente e poi raccolti in volumi. Gli scritti vertono su temi di cultura e attualità, come eventi di cronaca nera, antisemitismo, materialismo.
Quello pubblicato dalla Damocle Edizioni è un estratto denominato “Due suicidi”, scritto nel mese di ottobre del 1876. Prende spunto da due fatti di cronaca, le morti per suicidio di due giovani donne, l’una accompagnata da un cinico biglietto, l’altra da una preghiera e da un’icona stretta fra le mani.  Due morti simili eppure opposte, l’una dettata dalla noia, l’altra dal bisogno, l’una figlia della disillusione, l’altra della disperazione.
Fine vita e suicidio sono due temi molto sentiti dall’autore, specialmente dopo che gli fu revocata la condanna a morte sul patibolo, esperienza che lo segnò per tutta la vita. Sia ne “L’Idiota”che in “Delitto e castigo”, afferma che vivere, anche in condizioni precarie, anche per soli altri cinque minuti, è l’unico desiderio di chi è vicino alla morte.

Per una nuova teoria del narrare: su «New Italian Epic» di Wu Ming

New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro
di Wu Ming

Editore Einaudi, 2009

pp. 203, € 14,50



Nel 1998 Antoine Compagnon pubblicava uno dei più bei saggi di teoria della letteratura degli ultimi vent'anni. Nello scontro tra primato dell'autore e primato dell'opera, realismo e antirealismo, testo e contesto, Il demone della teoria si misurava in un lungo e appassionante faccia a faccia con gli eredi della posizione strutturalista, in primis quel Roland Barthes di cui Compagnon è stato il maggiore allievo: l'obiettivo, dopo vent'anni di dominio della cosiddetta corrente postmoderna in letteratura, era trovare il difficile giusto medio tra due modi completamente opposti di concepire la scrittura. Eppure la domanda merita di essere estesa al di là dei confini della semplice teoria. Ci si chiede, insomma, se dopo la fortuna (per alcuni una deriva) del postmodernismo negli anni '80 e '90 la scena narrativa internazionale sia effettivamente cambiata. Soprattutto, però, occorre chiedersi se questa reazione riesca a segnare un passo avanti invece di una regressione, se essa riesca a offrire al pubblico qualcosa di nuovo e attuale, che scardini uno dei paradigmi dominanti dei decenni precedenti senza scadere in un ideale obsoleto di letteratura.

In Italia una delle prime e più interessanti risposte arriva dal collettivo Wu Ming, gruppo di scrittori con sede a Bologna e famosi per una massiccia attività di critica letteraria e politica online, i quali nel 2009 pubblicano (a firma di Wu Ming I) un memorandum intitolato New Italian Epic, un saggio più volte rimaneggiato e nel tempo arricchito in cui si definisce per la prima volta la specificità di una corrente letteraria tutta italiana. I nomi più famosi, al di là degli stessi Wu Ming, sono quelli di Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Giancarlo De Cataldo e Roberto Saviano; i tratti principali della corrente sembrano fare eco alle esigenze espresse dal libro di Compagnon: ricerca di un nuovo contatto tra letteratura e realtà, ritrovamento del valore etico della scrittura, fine della letteratura intesa come disimpegno. Alla base dell'analisi di Wu Ming è tuttavia possibile leggere qualcosa di più profondo, il tentativo di ripensare il senso stesso della narrazione: solo in questo modo, infatti, le soluzioni proposte all'interno di questa corrente ai problemi richiamati possono essere non scontate, emanciparsi dalla semplice esigenza di un ritorno al passato.

"Shotgun Lovesongs" di Nickolas Butler

Shotgun Lovesongs
di Nickolas Butler
Marsilio, 2014

traduzione italiana Claudia Durastanti

pp 318
18,00

Questi uomini, questi uomini che si conoscono da tutta la vita. Questi uomini che sono nati tutti nello stesso ospedale, tirati fuori dalla stessa ostetrica. Questi uomini che sono cresciuti insieme, che hanno mangiato lo stesso cibo, cantato negli stessi cori, frequentato le stesse ragazze, respirato la stessa aria. Si girano attorno con un linguaggio tutto loro e il loro sistema di segnali invisibili, come animali selvaggi. Qualche volta si accontentano di stare solo in reciproca compagnia, a passeggiare nella foresta o a fissare il televisore, o a girare le bistecche sul barbecue. [...] Se non fosse per i sorrisi perennemente tatuati in faccia, penseresti che non ne possono più l’uno dell’altro o che sono attraversati da una rabbia inspiegabile.

È una storia di uomini Shotgun Lovesongs, sorprendente romanzo d’esordio dell’americano Nickolas Butler. Romanzo di formazione ad alto tasso di testosterone, ambientato in quell’America rurale di provincia che negli ultimi anni pare essere diventata sfondo ed ispirazione ideale per raccontare la vita. Butler lo fa con inaspettata poesia, scegliendo un immaginario paesino del Wisconsin, Little Wing, per dare voce a quattro uomini, quattro amici cresciuti insieme tra sogni, alcool – moltissimo alcool - , successi e fallimenti e quindi diventati adulti, finchè la vita non si è messa in mezzo minacciando di distruggere ogni cosa. «La vita era successa», la lontananza, le incomprensioni, le rivalità e un segreto pesante come il cielo si insinuano in quell’amicizia che dura da tutta la vita. 

Heautontimorumenos cercasi disperatamente: “Al limite della docenza”

Al limite della docenza
di Stefano Pivato

Donzelli Editore
2015

pp. 116
17

Un pamphlet è un libro, spesso di piccole dimensioni, che però contiene in sé una forza polemica e di attrazione molto grande. In più, ma non tutti i pamphlet ce l’hanno, talvolta può avere anche un’eleganza e un’immediatezza dei toni e del linguaggio che lo rendono fruibile come un instant-book e pregno d’interesse come un saggio. Queste caratteristiche sono tutte ben condensate nel libro Al limite della docenza di Stefano Pivato, docente di Storia Contemporanea all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Pivato nel suo libro tratta, fondamentalmente, di uno e uno solo argomento: i professori dell’università italiana. L’argomento è così dichiaratamente centrale da far sì che il sottotiolo sia "Piccola Antropologia del professore universitario". Il dato veramente interessante, al di là delle singole tesi mosse qui, è che l’antropologo non è uno “studioso bianco di fronte a degli aborigeni” ma esso stesso fa parte integrante di questa comunità, è un professore che blandisce altri professori, suoi consanguinei. Si tratta cioè  di quello che si potrebbe definire un heautontimorumenos contemporaneo: un punitore di sé stesso.

Un tentativo (poco riuscito) di radiodramma amatoriale

Vinile. Romanzo familiare in colonna sonora
di Maria Antonietta Macciocu e Donatella Moreschi

indies g&a

pp. 205
€ 4,99 (ebook )



Maria Antonietta Macciocu e Donatella Moreschi,  le due autrici del libro Vinile. Romanzo familiare in colonna sonora, hanno grandi obiettivi: raccontare il precariato di oggi, le vite giovani di, soprattutto, ragazze, ma anche di  ragazzi alle prese con i meandri della realtà moderna, abbinandole alle storie e ai ricordi delle giovani e dei giovani di una volta, di quelle e quelli che avevano grandi ideali e grandi sogni: i giovani rivoluzionari del ’68. Tutto questo attraverso un fondale di natura doppia tra la Sardegna d’origine famigliare e la Torino approdo esistenziale. Se fossimo ancora nell’era atomica, dove in realtà siamo ancora immersi solo che non va più di moda parlarne, si potrebbe parlare di una fusione a freddo.  Per quanto possa valere la mia piccola opinione di lettore distratto, la cui distrazione forse si spiega anche dal far parte di quella masnada di giovani nei meandri del precariato sopracitati o forse da altre ragioni a me ignote, ho trovato che il romanzo pubblicato da  indies g&a abbia più di un punto debole e che quella levità imprescindibile quando si parla della “fiorita e verde etade” sia mancante. L'ho trovata mancante a causa di una trama troppo sconnessa con continui flashback, avanti&indietro (nel tempo) che non si compiono neppure al sabato pomeriggio per trovare un parcheggio. 

Chi manda le onde? Incontro con Fabio Genovesi

Onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l'essere, e ciascuna 
con istinto a lei dato che la porti. 

(Dante, Divina Commedia, Paradiso, I, 112-114)


Mentre leggi Chi manda le onde di Fabio Genovesi (Mondadori 2015) hai l'impressione di sentire il rumore del mare, quel suono quasi ipnotico di acqua che viene e che va, appoggiandosi per un momento sulla spiaggia e poi tornando indietro.  Le onde del libro hanno il ritmo della vita che scorre continua, tra le lacrime e le gioie dei suoi personaggi, in bilico tra le favole, i sogni e la realtà.

Abbiamo incontrato Fabio Genovesi alla libreria Open Milano per parlare insieme del suo ultimo romanzo, candidato al Premio Strega 2015. Fabio ci ha raccontato come sono nati Luna, Serena, Sandro, Zot e tutti i personaggi di Chi manda le onde, introducendoci nel suo complesso processo di scrittura: 
Al romanzo ho lavorato per quattro anni interi, per un totale di 25 stesure. All'inizio le pagine erano circa 800, oggi la metà.

Il problema della scrittura al computer? Il copia-incolla che le toglie spessore. Io scrivo e riscrivo a mano interamente le stesse pagine, anche venti volte per esplorare tutte le possibilità. 

I "Quaderni" di Emil Cioran

 Quaderni (1957-1972)
di E. M. Cioran

Adelphi, 2001
Traduzione di T. Turolla

pp. 1103



Invischiato suo malgrado nell’inconveniente di essere nati, apolide metafisico, funesto demiurgo caduto nel tempo al culmine della disperazione, Cioran è un autore da avvicinare con cautela e parsimonia, controindicato al lettore in cerca di evasioni compensatorie. Per coloro che invece apprezzano la fragranza del dubbio, l’evidenza della nientificazione, l’(in)intelligibilità trasversale, o soltanto una lucidità fuori dal comune, questo anomalo filosofo-saggista potrà rappresentare un sodale con il quale condividere impopolari e intransigenti intellettualismi.

I Cahiers sono il frutto di trentaquattro quaderni ordinati cronologicamente e consegnati alle stampe disattendendone la volontà (lo stesso Cioran aveva annotato sulla copertina del primo: tutti questi quaderni sono da distruggere). Materiale quindi originariamente non destinato alla pubblicazione, costituisce in realtà l’essenza intima dell’autore, la sua cifra cognitiva più privata e quotidiana, modellata su un’analitica impietosa che non risparmia niente e nessuno, compreso se stesso. I concetti e snodi riflessivi cioraniani hanno poco a spartire con la nozione comune di filosofia, in quanto non inseguono nessun impianto schematico di ordinazione o sistemazione del mondo, di costruzione ad sensum, né s’inerpicano in complicate elucubrazioni metafisiche. Con straordinario acume ci mettono invece di fronte al nudo scheletro dell’essere senza i (ri)vestimenti dei bisogni consolatori e delle riproduzioni culturali, non privandoci del piacere di una sana cattiveria e di un disarmante furore. Il suo è un procedere implacabile, uno stillicidio di sentenze da far impallidire il più pessimista dei pensatori. Ma se negli altri suoi libri tale procedimento assume un andamento a tratti anche organico, nei Quaderni la scrittura si fa più rapsodica, estemporanea, privata, finanche sarcastica. La sistematica demolizione degli apparati di senso, dei costrutti ideologico-progressivi e delle motivazioni comuni del vivere trova qui una perspicacia mai raggiunta in precedenza. Non si tratta certo di un maggior tasso di sincerità dovuto alla funzione della scrittura intima, quanto piuttosto di un’istanza squisitamente fisiologica, come lui stesso precisa in più di un passaggio. Una scrittura con funzione terapeutica, liberatoria, necessaria all’io per non rischiare l’implosione, con precise indicazioni sulla sua motivazione primaria:
Non bisognerebbe mai scrivere per fare un libro, ossia non si deve scrivere con l’idea di rivolgersi agli altri. Bisogna scrivere per se stessi, punto e basta. Un pensiero deve rivolgersi solo a colui che lo concepisce. È questa la condizione indispensabile perché gli altri possano assimilarlo con profitto, farlo veramente loro.

“La dittatura dell’inverno” di Valeria Ancione – Libertà di pensare ciò che non si dice

                                                                                                                                                                                                                    La dittatura dell’inverno
di Valeria Ancione
Mondadori, 2015


pp. 312
€ 18
                                                                                                              




Alla fine Nina è una donna libera, una donna però non libera di amare e neppure libera di fare quello che vuole nel momento in cui lo vuole, ma possiede, forse innata forse mediata dagli anni e dagli incontri, un’altra gradazione di libertà. Nina è libera di pensare ciò che non si dice. La protagonista di “La dittatura dell’inverno”, romanzo della giornalista sportiva Valeria Ancione, palermitana di nascita ma messinese di sole e di cuore, è una figura molto interessante per avvicinarsi a quello che, in modo pressapochistico, si potrebbe definire Quello che le donne non dicono.