"Il Regno" e il cristianesimo come narrazione: incontro con Emmanuel Carrère

Sono passati trentadue anni da quando Emmanuel Carrère ha esordito in Francia come romanziere con L'amico del giaguaro. Dal 1983 a oggi la tensione verso il racconto personale e collettivo, lo sguardo sempre rivolto all'esperienza umana, la capacità di creare storie di finzione capaci di riflettere la vita reale, sono rimaste centrali nella sua produzione, fari di una ricerca che è partita dalla pura narrativa d'invenzione (si vedano i romanzi degli anni Ottanta e Novanta, come Bravura e La settimana bianca) e con il tempo si è arricchita di intenti e sfaccettature, rimanendo comunque fedele a se stessa. Con una scrittura che è costante sforzo conoscitivo, ha dato anche voce alla follia e all'orrore che per anni l'hanno ossessionato costringendolo a farsi raccontare. Sono nati così L'Avversario (2000), la storia dell'inganno perfetto, e La vita come un romanzo russo (2007), un viaggio nei segreti dell'erotismo e nei fantasmi di una storia familiare.

Arrivano poi i romanzi delle vite degli altri, avidamente osservate e comprese attraverso un meccanismo a specchio per cui lo scrittore guarda l'altro attraverso una lente che riflette anche se stesso. Carrère si fa carico delle storie e dei dolori degli altri prima in Vite che non sono la mia (2009), poi in Limonov (2011): è il testimone che non ha paura di raccontare
Nel 2015 arriva (nell'edizione italiana Adelphi) Il Regno, che sembra chiudere un ciclo durato quindici anni e riunire in sé tanti lati dell'esperienza letteraria e umana di Carrère, che in questi giorni è in Italia per presentare il romanzo. 
Il 16 marzo il Teatro dei Filodrammatici di Milano si è riempito per ascoltarlo dialogare con Marco Missiroli a partire da questo viaggio nei sentieri del Nuovo Testamento iniziato tanti anni prima:
Per forza di cose questo libro è diventato una finzione, c'erano troppo vuoti da colmare. Ho cercato di dare un ritratto nuovo degli uomini del Nuovo Testamento. Prima di essere santi, erano uomini come tutti noi, con le loro invidie e le loro fragilità. Uno di loro in particolare, Luca, è il narratore che racconta e interpreta la storia di Cristo, un indagatore che ha scritto trenta, quarant'anni dopo che i fatti relativi alla vita di Gesù si sono verificati. Con lo stesso spirito mi sono mosso io 2000 anni dopo.  
"Narrare" è la parola chiave del libro, l'atto attorno a cui si costituisce tutto: a Carrère oggi il cristianesimo interessa più come racconto che come dottrina. Alla religione si è accostato in modo molto fervente e dogmatico in un particolare momento della sua vita.
Arrivato all'età di trent'anni totalmente immerso nel solo regno dell'intelletto, Carrère ha scoperto l'esistenza di un'altra dimensione spirituale e in essa ha trovato la via d'uscita da un dolore interiore che lo aveva privato della voglia di vivere:
Non soltanto io non credevo in Dio, ma nell'ambiente in cui ho passato la maggior parte della mia vita era naturale non crederci. È vero, da bambino sono andato al catechismo e ho fatto la prima comunione, ma la mia educazione cristiana era così formale e distratta che non avrebbe senso dire che a un certo punto ho perso la fede [...] In seguito, ho evitato l'argomento con tutti i miei amici, le donne che ho amato e le conoscenze più o meno superficiali. La religione era persino al di là del rifiuto, era completamente estranea ai nostri pensieri e alla nostra esperienza.

Questo trentenne che non riusciva più a scrivere e ad amare, diventato intollerabile anche a se stesso, iniziò a leggere il Vangelo secondo Giovanni e a commentarlo. 
Per tre anni Carrère è stato un cristiano praticante, cosa che oggi non è più; i commenti al Vangelo, accantonati per decenni, gli sono stati molto utili in questi ultimi sette anni in cui ha deciso di "tornarci su":


Questo libro è stato scritto attingendo agli archivi dell'umanità - il Nuovo Testamento - e ad archivi personali, i miei diciotto quaderni di commenti al Vangelo di Giovanni. Mi è sembrato legittimo che nel libro confluisse la mia esperienza, che anche io sedessi al banco dei testimoni. Volevo che Il Regno si rivolgesse ai credenti e ai non credenti e per fare questo ho cercato gli strumenti dentro di me. 
Carrère fa rivivere le figure e gli episodi del Nuovo Testamento con potente forza romanzesca, dando voce ai suoi protagonisti: Paolo e Luca su tutti. 
Se Luca è "l'artigiano della narrazione", Paolo di Tarso è l'eroe, figura straordinariamente complessa, a proposito del quale l'autore ha aggiunto:
Alle parole di Paolo, a differenza di quelle di Gesù stesso, abbiamo accesso diretto, ci sono delle lettere riconosciute come autentiche. Io ho tradotto i suoi passi e qualcosa mi ha fatto pensare a Dostoevskij. Non sempre Paolo risulta simpatico ma, dopo tutto, un eroe ha bisogno forse di essere simpatico? 

Dato che l'unico modo per vivere davvero qualcosa e poterla raccontare è farla passare attraverso se stessi, ecco che mentre racconta la rivoluzione del I sec. d.C. Carrère ci parla anche della sua madrina Jacqueline, della psicoanalisi, del rapporto con la moglie, di Philip Dick e anche di un video porno trovato in rete a cui sono dedicate cinque pagine che sono state molto discusse in Francia.
Il porno dei nostri giorni rappresenta in qualche modo il contrasto ideale tra la pittura sacra e quella profana e "il sesso ha un ruolo troppo importante nella nostra vita per lasciarlo da parte", come ha puntualizzato. 

Come ha fatto notare Marco Missiroli, una buona parte de Il Regno è stata scritta in contemporanea a Vite che non sono la mia, uno dei romanzi più cristiani di Carrère, e a Limonov, uno dei meno cristiani. Viene da pensare che ci sia stato un processo di osmosi per cui questi libri si sono incrociati e insieme costituiscono la fine di un ciclo di grandi lavori. 
Ho sentito Il regno come un libro quasi più grande di me. Da una decina d'anni a questa parte ho sempre scritto; attualmente non ho nulla su cui sto lavorando ma non sono preoccupato. Sono fiducioso che la vita mi porterà altro da scoprire e di cui parlare. 
E alla fine è tornato il nome di Jean-Claude Romand, il protagonista de L'Avversario, del quale Carrère custodisce in casa tutti i dossier giudiziari, che in futuro conta di potergli restituire.
Ecco che il romanzo del regno del male si collega a Il Regno come a chiudere un cerchio perfetto in cui gli opposti si congiungono. 

È sempre il testimone Carrère, alle prese con la vita e la storia degli uomini. 


Claudia Consoli