«Non sono le notizie che fanno il giornale, ma il giornale che fa le notizie»: Umberto Eco e la satira giornalistica

Numero zero
di Umberto Eco
Bompiani, 2015

pp. 224
€ 17 cartaceo



I perdenti, come gli autodidatti, hanno sempre conoscenze più vaste dei vincenti, se vuoi vincere devi sapere una cosa sola e non perdere tempo a saperle tutte, il piacere dell'erudizione è riservato ai perdenti. Più cose uno sa, più le cose non gli sono andate per il verso giusto.

Numero Zero stupisce già a partire dal potere di dividere i lettori in due partiti estremisti: chi sostiene che il nuovo Eco sia un buco nell'acqua (e, ad argomentazioni talora povere, si accompagnano giudizi particolarmente acidi), e chi invece vede nel romanzo una freschezza e una scorrevolezza piacevoli. Di sicuro, i commenti non restano mai nel tiepido territorio della neutralità o dell'indifferenza. 

Forse (e dico forse) a dividere tanto è il diverso grado di aspettativa del lettore. Ecco, chi si aspettava un altro Pendolo di Foucault, è rimasto sostanzialmente deluso: libro più snello, infinitamente meno parentetico e riflessivo (almeno in apparenza). Invece, si è lasciato volutamente stupire il lettore più aperto e meno pregiudizievolmente legato al vecchio Eco: tra le pagine, una satira feroce nei confronti del giornalismo e nel relativismo manipolatorio delle notizie
Eco approfitta del suo protagonista, lo "scribacchino" Colonna, per avere un io-narrante nevrotico e perdente, che conosce bene le regole del gioco culturale in Italia, le guarda con cinismo ma sostanzialmente accetta la situazione per quieto vivere (e per la pagnotta). Infatti, nel 1992 l'uomo viene coinvolto come capo-redattore di uno strampalato giornale, Domani, finanziato dal Commendatore Vimercate, per raccontare ciò che dovrebbe accadere 'domani', appunto, grazie a una serie di ipotesi e soffiate giornalistiche. In realtà, per un anno i redattori sono chiamati a mettere in piedi una serie di "numeri zero" del giornale, ovvero numeri di prova, che propongono e riscrivono notizie già accadute, trattate tuttavia come se fossero ancora ipotesi da verificare. L'obiettivo è quello di mettere in piedi uno strumento di manipolazione politica e sociale, dimostrando come la riscrittura e la tendenziosità di una notizia sappiano influenzare l'opinione pubblica. 
All'interno della redazione, il direttore Simmei, macchinoso ed estremamente scafato, raccoglie alcuni redattori sfaticati o con scarsa fortuna professionale, come Maia, talentuosa ma continuamente sottovalutata. D'altra parte, questo attaccamento dei giovani alla cultura è qualcosa di assolutamente deprecabile per il direttore: 
"Sempre con la cultura, voi giovani, e per fortuna che lei non è laureata, altrimenti mi proporrebbe un saggio critico di cinquanta pagine..."
Pare un mondo dell'assurdo, non è vero? D'altra parte, il redattore Braggadocio è l'apoteosi di questo gioco narrativo che procede per paradossi e smentite: la ricerca della verità, in questa concezione relativistica e continuamente prismatica del reale, può diventare una mania pericolosa. In ogni caso,
Un giornale si misura anche dalla capacità di far fronte alle smentite, specie se è un giornale che mostra di non aver paura di mettere le mani nel marcio.
E il marcio che vede Braggadocio è ovunque, a cominciare dall'assassinio di Mussolini a quello di Papa Luciani, passando per P2 e Gladio, con inchieste al limite della perversione ossessiva e patologica. Allora i dialoghi si trasformano in monologhi di Braggadocio, e qui il lettore meno volentieroso potrebbe perdere il filo della narrazione, ma Eco non è nuovo alla divagazione intellettuale e non stupisce questa scelta. 
Di pagina in pagina, Colonna ascolta Braggadocio e si lascia vagamente convincere, mentre viene condotto per quartieri sconosciuti e malfamati di Milano; al tempo stesso, in redazione è affascinato dalla perturbante Maia, ben più complessa di quanto sembri. Allora, mistero e sentimento partono a costeggiare il romanzo di emozioni contrastanti: quale destino aspetta il quieto e passivo Colonna, da anni solo con la sua misantropia?

Tra dialoghi caustici tra i redattori e il direttore, ipotesi storiche più o meno complottiste di Braggadocio, Colonna è un io-narrante paradossalmente poco intrusivo, che vive la sua vita grigia e osserva con stupore che, a volte, basta poco per cambiare le cose. E rischiare di morire. O di ricominciare a vivere.

GMGhioni



Frase tristemente vera del romanzo: 
All'università (allora, ma credo ancor oggi) le  cose vanno all'opposto del mondo normale, non sono i figli che odiano i padri ma i padri che odiano i figli.