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Des Esseintes e l’estetica del disturbo antisociale di personalità

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Si è comunemente portati a pensare ai secoli passati come ad un’epoca lontana anni luce dai giorni nostri. Una società diversa, regole diverse, persone diverse, conseguentemente una psiche diversa. Eppure, è bene ricordare che è proprio negli ultimi anni di questo affascinante secolo che gli studi sulla psiche umana cominciano a radicarsi e a diventare fondamentali nell'analisi dell’animo umano, soprattutto in ambito romanzesco.

Adesso, si immagini la Parigi dell'Ottocento. Una società sporcata dal materialismo borghese e da una politica dedita all'occultamento di prove. Un secolo in cui i romanzieri tentano di rispecchiare la società senza ripulirne il riflesso. Un periodo di rivolte, violenza ma di tanta evoluzione intellettuale. Il periodo delle tecnologie che stravolgono la vita dell’uomo comune. O meglio, dell’uomo benestante, perché le scoperte toccano sempre chi può farne buon uso, di certo non il comune cittadino. Il secolo in cui il concetto di popolo comincia ad avere un’entità ben definita ma al contempo reclama la singolarità dell’individuo. Un secolo che, seppur si è ben lungi dall’ammetterlo apertamente, prolunga i suoi strascichi fino ai giorni nostri. C’è poi così tanta differenza rispetto alla società nella quale viviamo?


Des Esseintes, protagonista colto e benestante di À rebours dell’esteta Huysmans, è un esempio lampante di sociopatico ottocentesco che riflette al contempo l’uomo contemporaneo. Jean Floressas Des Esseintes soffre di quello che amo personalmente definire il “male del benessere” – sebbene molti cultori del campo sarebbero ben pronti a smentirmi, con tanto di prove scientifiche. Si parlava dunque di Des Esseintes, ricco, dall’educazione rigida (la parola “gesuiti” fa subito risuonare un campanello d’allarme), erede della fortuna dei genitori e dell’amore per tutto ciò che è obiettivamente classificabile come “bello”: belle donne, bei quadri, bella tappezzeria, bella vita, bel sesso, belle letture. Un aggettivo che si prostituisce da secoli, “bello”. Ciò da cui Des Esseintes non può, ovviamente, essere attratto è proprio la società che frequenta: una società macchiata dall’infamia borghese. Una borghesia che, a sentir parlare il narratore esterno (e quindi i pensieri del protagonista stesso), “dégradait par son manque de savoir-vivre et […] mitraillait sans pitié son éternelle et nécessaire dupe, la populace, qu’elle avait elle-même démuselée et apostée pour sauter à la gorge des vieilles castes!”. Così, preso dalla frenesia di lasciarsi trasportare da questo disgusto, Des Esseintes decide di ritirarsi a vita privata. La definizione latina, però, non è corretta: in questo caso, il protagonista non si dedica né alla vita letteraria né alla vita da asceta. Semplicemente, si allontana dalla società per dedicarsi al cosiddetto “bello” perché:
“Son mépris de l’humanité s’accrut; il comprit enfin que le monde est, en majeure partie, composé de sacripants et d’imbéciles”.
Non si intende qui giudicare la condotta di Des Esseintes, al contrario. Si parla di “estetica” del disturbo antisociale di personalità in quanto il protagonista ne fa uno stile di vita. Inizialmente, sicuro di poter controllare la propria mente, si convince di poter seguire uno stile di vita schiavizzato all’arte del bello, totalmente estraneo ai rapporti interpersonali. Ma la mente, si sa, è un’arma letale e a doppio taglio: Des Esseintes rimane scottato dalla sua stessa scelta di vita. Ben presto, è proprio quel “bello” di cui si circonda a diventare il suo demone persecutore. Ciò che sconvolge il lettore, è la sensazione di poter toccare con mano l’instabilità mentale che investe il protagonista: particolarmente scioccante, la scena in cui Des Esseintes, devastato da una nausea che non gli permette di toccare cibo, vede dei bambini sporchi e affamati gustare una tartina al formaggio. Una misera tartina rispetto a ciò che potrebbe permettersi, eppure sufficiente a mettergli appetito. E’ proprio quel contatto con una parvenza di realtà che fa risorgere, inconsciamente, un riflesso fisico “sano”. I libri, i quadri, i profumi, i fiori non posso sostituire il sesso, i bistrots cittadini, le passeggiate, i colloqui. Gli incubi lo ossessionano, il fisico non regge più la complessità del pensiero: Des Esseintes si riduce a letto e il ritorno alla società è ormai una condanna certa.
Perché Des Esseintes non regge? Perché l’uomo è un animale sociale, ovvio. Sebbene, ancor oggi, si lamenta il desiderio di starsene per conto proprio e allontanarsi dal “branco”, ben pochi riescono veramente a reggere la complessità del pensiero e il conflitto con se stessi. Difatti, non è tanto il rapporto con gli altri a renderci labili e asociali, bensì il rapporto con il nostro Io più intimo, più nascosto, più prepotentemente insano. Il protagonista sfida questa parte di sé ma ne esce sconfitto. Particolare, ad esempio, è la scelta anglofona di tradurre il titolo francese con “Against Nature”, contro natura. Perché Des Esseintes non riesce laddove ce l’hanno fatta asceti e eremiti? Perché il desiderio di Des Esseintes, così come il desiderio dell’uomo contemporaneo, non è quello di abbandonare gli istinti e i vizi animali per davvero. Il motivo risulta essere semplicemente "contro natura", come chiedere ad un leone di rinunciare alla sua natura carnivora. Il protagonista ha la presunzione di creare un nuovo stile di vita basato sulla contemplazione, ma la contemplazione del bello non è anch’esso uno dei sette vizi capitali, tanto per usare una metafora? Il legame al bello è un segno chiaro: Des Esseintes non si è mai allontanato dalla società che tanto disprezza, bensì ne ha ricreata una identica presso la sua realtà personale. Come può, un uomo solo, resistere alla società che distrugge e opprime una comunità intera? Tanto che lo stesso protagonista, nelle ultime righe, si costringe a convincersi:
“Dans deux jours je serai à Paris; allons, fit-il, tout est bien fini […]. Seigneur, prenez pitié du chrétien qui doute, de l’incrédule qui voudrait croire, du forçat de la vie qui s’embarque seul, dans la nuit, sous un firmament que n’éclairent plus les consolants fanaux du vieil espoir!”
Pertanto, questo romanzo mi ha fatto ben riflettere: la più grande sfida non è creare un’estetica di vita asociale, bensì un’estetica di indifferenza alla società imborghesita. Un’estetica guerriera che fa emergere il vero Io nevrotico e instabile di ogni individuo.

Arianna Di Fratta