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Quattro sberle benedette a Bellano: il ritorno di Andrea Vitali

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Quattro sberle benedette
di Andrea Vitali
Garzanti, 2014

pp. 384
€ 16.40


Quattro sberle benedette, il romanzo nuovo e tanto atteso di Andrea Vitali, si apre nel 1929: il fascismo non intacca più di tanto il mondo di Bellano, invece sconvolto da una notizia che minaccia lo scandalo. Il casino del paese, l'Arizona, chiude per malattia, e questo genera il panico anche tra cittadini apparentemente insospettabili. Sì, perché come spesso avviene, Vitali si diverte a tratteggiare le ipocrisie e i bonari vizi dei personaggi, imbrigliati nei loro ruoli, finché la vita non li sorprende, di colpo, disarmati:
"Va là, frigna!" lo bloccò il Misfatti. "Che io alla tua età...".
Si fermò però, perché in verità non aveva niente di eroico da raccontare. (p. 148)
D'altra parte, questa volta il caso è davvero delicato, e da subito nella caserma dei carabinieri di Bellano c'è trambusto: come trattare certe "questioni spinose" che coinvolgono, a quanto pare, anche la Chiesa? Non aiuta di certo la competizione all'ultimo sangue tra il brigadiere Mannu e l'appuntato Misfatti, che già in altri romanzi avevano dato prova di tiri mancini e reciproche angherie. In più, il maresciallo Maccadò è "fuori uso" per la nascita del primo figlio. Anzi, proprio questa è una delle parti più goduriose del romanzo, che mettono in risalto quanto la vita privata possa sconvolgere anche la carriera.

Foto di GMGhioni
E poi c'è il lago, personaggio costante nei romanzi di Vitali non solo come sfondo: ascolta e serba i pensieri dei compaesani, li accompagna e a volte si fa presenza antropomorfa, a tratti lirica:
Si muoveva con onde alte, senza schiuma, pigre. Movimento ozioso, quasi lascivo. Movimento passivo, ipnotico, come se non avesse voglia di quietarsi nonostante non ci fosse vento. E infatti vento non ce n'era e il cielo era la copia conforme del lago, un misto di grigio e azzurro, ma indeciso. (p. 149)
Vitali ha questa caratteristica: spiazza con inversioni dalla risata all'introspezione, dal lirismo di qualche aggettivo che, messo lì, dà al romanzo qualche cosa di nuovo. E d'altra parte rassicura, perché i suoi personaggi, le vie, le istituzioni bellanesi sono sempre quelle, con piccole aggiunte che non destabilizzano il lettore. Risultato? Il lettore si sente a casa, ritrova personaggi perfettamente riconoscibili, e gioca a prevedere  le azioni (spesso fortunatamente sbagliando e lasciandosi stupire dall'autore). 
Così, con un po' di levità, ci si muove tra gli sbatacchi umorali di tanti personaggi diversi, come il rapporto del "scior prevosto" con una perpetua che ricorda tanto l'antesignana manzoniana:
Sapeva il Signore cos'è che stava succedendo in quei giorni, cos'è che aveva fatto diventare scuro, silenzioso e senza fame il scior prevosto. E che soprattutto non le diceva, come aveva sempre fatto, dove stava quando usciva e a che ora pressappoco sarebbe rientrato. Come se volesse tenerle nascosta una cosa. (p. 209)
Cosa accadrà? La sottile vena di mistero è sempre controbilanciata dal piacere di uno scambio di analisi sugli animi dei personaggi, e si procede verso la conclusione con la consapevolezza che "quattro sberle non avevano mai ammazzato nessuno" (p. 308).


GMGhioni


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