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Pillole d'Autore: I romanzi di Chrétien de Troyes

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Combattimento tra Ivano e Galvano

Chrétien de Troyes è il grande nume tutelare della cosiddetta materia di Bretagna, i grandi cicli narrativi, cioè, che raccontano le gesta dei cavalieri che orbitano intorno alla corte di re Artù. La sua produzione letteraria, databile alla seconda metà del XII secolo, intesse il proprio ricamo narrativo a partire da grandi riferimenti culturali: la letteratura bretone, con tutte le sue leggende di re, cavalieri e avventure, ma anche la poesia trobadorica, che con la codifica dell'amore cortese fornisce specifiche suggestioni, e la letteratura classica. Chrétien, prima che romanziere, è un volgarizzatore. Non ci sono pervenute le sue traduzioni da Ovidio, ma sappiamo per certo che l'intera opera ovidiana - dalle Metamorfosi all'Ars amandi e ai Remedia amoris - è una grande fonte d'ispirazione, che il pubblico aristocratico per cui Chrétien componeva i suoi versi doveva apprezzare e cogliere al volo. Dobbiamo a Chrétien, della cui vita sappiamo ben poco, storie indimenticabili: i suoi cinque romanzi - Erec e Enide, Cligès, Lancillotto o il Cavaliere della Carretta (con la continuazione di Godefroi de Leigni), Ivano o il Cavaliere del Leone, Il romanzo di Perceval o il racconto del Graal - sono un patrimonio dell'intera cultura occidentale. Ognuno di essi esplora un tema particolare, realizzando una specifica conjointure: Erec e Enide fonde le istanze della materia bretone e dell'epica virgiliana; Cligès invece riprende il gusto orientaleggiante dei romanzi su Alessandro magno, che approdano alla corte di Artù; Ivano e Lancillotto, strettamente legati, indagano il tema del perfezionamento dell'amante, preparando infine al misticismo recuperato nel Perceval.


Il primo passo che ho scelto per voi è tratto da Erec e Enide. Si tratta di un "romanzo matrimoniale": dimenticate dunque le fantasie adulterine dell'amore cortese, perché Erec e Enide sono uniti legittimamente in matrimonio e si amano profondamente. L'avventura, anzi, parte proprio da questo: Erec è un marito tanto devoto che, per stare insieme alla moglie, trascura i suoi obblighi di cavaliere; non va più alla ricerca di avventure, non partecipa più ai tornei, ed Enide è addolorata dal discredito di cui il marito è oggetto a corte. Dopo un confronto tra i due, Erec, furioso, parte portandosi la moglie al seguito, e quest'ultima, innamorata e previdente, determina più d'una volta la vittoria del marito. Fascinazioni ovidiane si mescolano a un ribaltamento - a volte palesemente parodico - del mito virgiliano di Didone, finché i due arrivano al culmine delle loro avventure, una misteriosa prova chiamata Gioia della Corte. In breve, Erec combatte e sconfigge un fortissimo cavaliere che rivela infine di essere un vero e proprio doppio di Erec, l'alter ego di ciò che sarebbe potuto diventare se l'amore per la moglie avesse prosciugato del tutto il suo valore. Ecco come il cavaliere racconta la sua storia:

Quella fanciulla seduta là
mi amò fin dall'infanzia ed io lei.
Ne eravamo entrambi felici
e l'amore crebbe e si approfondì,
finché un giorno mi domandò
un dono, senza dire quale.
Chi rifiuterebbe un dono alla sua amica? 
Non è innamorato colui che esita
a compiacere interamente l'amata,
senza riserve e senza risparmio,
se in qualche modo può farlo.
Le promisi di fare ciò che voleva
e quando l'ebbi promesso,
ella volle ancora che giurassi.
Se avesse voluto di più, l'avrei fatto,
ma lei credette alla mia buona fede.
Così giurai, ma senza sapere cosa,
fino a quando divenni cavaliere.
Il re Evrain, di cui sono nipote,
mi armò davanti a molti valentuomini,
in questo giardino in cui ci troviamo.
La mia damigella, che siede là,
mi ricordò subito la mia promessa 
e disse che le avevo giurato
che non sarei mai uscito di qui,
finché non fosse giunto un cavaliere
che mi vincesse in combattimento.
Dovetti quindi restare,
per non smentire la mia parola.
[...] Così la mia damigella pensava
di trattenermi qui a lungo:
non pensava che un giorno
potesse entrare in questo giardino
un guerriero capace di battermi.
Per questo pensò di tenermi
tranquillamente in sua balia
per tutti i giorni della mia vita. [...]
Vi ho detto tutta la verità
e, ve l'assicuro, non è piccolo 
l'onore che avete riportato...


Di sapore diametralmente opposto è la storia di Lancillotto, che infatti è da apparentare all'Ivano e al Perceval. Conosciamo tutti la storia di Lancillotto, innamorato della regina Ginevra al punto di salvarla dal perfido Meleagant. Ciò che però rende peculiare la storia di Lancillotto - e la resa narrativa di Chrétien - è che l'amore a cui aspira il cavaliere è eccezionale, è l'amore di una regina, e proprio per questo egli deve sottoporsi alla più atroce delle umiliazioni. Lancillotto è l'eroe che rinuncia alla propria dignità per amore, il cavaliere che sale sulla carretta - il mezzo con cui si trasportavano i condannati esponendoli al pubblico ludibrio, dunque una grandissima onta per un uomo del suo rango - pur di far più in fretta per salvare l'amata. Lancillotto è, per questo, il cavaliere senza nome: un fatto di grande importanza in un sistema letterario, quello dei romanzi cortesi, in cui l'identificazione e la pronuncia del proprio nome è un atto di grande valore e dignità sociale. La nota scena d'amore tra il cavaliere e la regina è tra le pagine più note di Chrétien de Troyes. Si dà qui la splendida traduzione del prof. Beltrami, che ha perfettamente reso il metro originale dei romanzi di Chrétien (couplets di octosyllabes a rima baciata):

La regina se ne va allora,
e lui si prepara e lavora
a sconficcare l’inferriata.
Prende i ferri, dà una scrollata,
tira e tutti li piega, e fuori
li estrae dal muro via dai fori.
Ma poiché il ferro era affilato,
s’è al dito mignolo tagliato
fino al nervo la prima giunta,
e all’altro dito dalla punta
tutta la prima giunta; ma
del sangue che gocciando va
né di quelle ferite sente,
poiché a tutt’altro intende, niente.
La finestra non era bassa;
pure, Lancillotto ci passa
presto, senza essere impedito.
Vede nel letto Keu assopito,
e va al letto della regina,
e l’adora, ed a lei s’inchina,
perché non c’è reliquia a cui
creda più. E la regina a lui
le braccia distende, e l’abbraccia,
e stretto al petto se l’allaccia;
se l’è a fianco nel letto tratto,
ed il più bel viso gli ha fatto
che possa fargli, che da Amore
le viene ispirato e dal cuore.
Questa gioia da Amore viene
che gli mostra, e se l’ama bene
lei, centomila volte più
lui, perché nei cuori altrui fu
Amore niente, al suo rispetto;
ma rifiorì tutto nel petto
di lui, e fu tanto intero Amore,
che fu vile in ogni altro cuore.
Lancillotto ora ha ciò che brama:
la regina lo accoglie, ed ama
che stia con lei e che le faccia
piacere: tiene fra le braccia
lui lei, e lei lui tra le sue.
È così dolce il gioco ai due
e del baciare e del sentire,
che n’ebbero, senza mentire,
una gioia meravigliosa
tanto che mai una tale cosa
non fu udita né conosciuta;
ma da me resterà taciuta:
nel racconto non può esser detta.
Delle gioie fu la più eletta
quella, la gioia che più piace,

che il racconto ci cela e tace.


Testi di riferimento: Chrétien de Troyes, Erec e Enide, trad. e note di Cristina Noacco, Luni Editrice, Milano-Trento 1999 ("Biblioteca medievale", 75); ID., Il cavaliere della carretta, trad. di Pietro G. Beltrami, Edizioni dell'Orso, Alessandria 2004 ("Gli Orsatti", 23).

Selezione e note a cura di Laura Ingallinella.