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«La trama preziosa e sottile degli anni e delle stagioni si era dissolta nel nulla», il ritorno zoppicante di Coco Mellors

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Le sorelle Blue
di Coco Mellors
Einaudi, aprile 2025

Traduzione di Carla Palmieri

pp. 432
€ 20 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

Nel 2023 Einaudi portava in Italia Cleopatra e Frankenstein, il romanzo di una giovane scrittrice diventato caso editoriale, tradotto in varie lingue e circolato pressoché ovunque. Quello che all’epoca mi colpì del dibattito culturale fu come molto di quel discorso si concentrasse più sull’autrice – giovane, bella, bionda, alla moda – che sul romanzo in sé, e quando si tornava a guardare a esso in molti casi se ne parlava quasi esclusivamente in relazione con un’altra giovane e molto chiacchierata autrice, Sally Rooney, in un legame che in tutta onestà mi pare esistere quasi solo in termini anagrafici e poco altro, nel bene e nel male. Ricordo, inoltre, che per qualche giorno non si fece altro che discutere dell’apparizione di Coco Mellors – l’autrice appunto di Cleopatra e Frankenstein – a un evento con un paio di bellissimi stivali dorati: decisamente troppo cool e bionda per essere presa sul serio come scrittrice, questo sembravano sottintendere buona parte della stampa e dei commenti circolati. Ora, senza addentrarci in una polemica che riguarda il doppio standard di giudizio cui ancora e ancora il lavoro e il ruolo delle donne è valutato, e tralasciando anche il rapporto-non rapporto tra Mellors e Rooney, quello che mi preme anche stavolta è tornare al testo, alla scrittura, al discorso letterario. Perché, pare strano doverlo ribadire, ma è di questo che noi critici ci dobbiamo occupare.

Dopo l’enorme successo del romanzo d’esordio Mellors è tornata con un romanzo molto atteso, Blue Sisters, uscito a fine 2024 e approdato questa primavera anche nelle librerie italiane nella traduzione di Carla Palmieri. Anche in questo caso l’attenzione era molto alta e Le sorelle Blue può sicuramente soddisfare il lettore come esempio ben riuscito di turning page novel, ma anche per una serie di tematiche e spunti interessanti intorno a cui ruota la vicenda. Non c’è nulla di male in questo tipo di lettura e lettori, ma penso sia importante distinguere chiaramente quello che abbiamo tra le mani, per non confondere un romanzo-intrattenimento che contiene qualche spunto importante con un romanzo letterario che resta nel tempo, contribuisce al dibattito critico e culturale, arricchisce la tradizione entro cui si colloca. Il mio giudizio critico che comprendo possa apparire piuttosto severo si deve principalmente alla prosa – e qui parlo dell’originale, perché la traduzione di Palmieri mi è parsa del tutto in linea con la voce dell’autrice e ha svolto un lavoro egregio cui avrei veramente pochi appunti da fare – e a certi difetti già riscontrati nel romanzo precedente ma che qui sono ancora più evidenti.

Il difetto principale è, dunque, una costante artificiosità che permea il romanzo a più livelli, tanto formali che tematici, generata da una parte dall’aderenza a certi modelli da scuola di scrittura dai quali Mellors non è ancora riuscita ad affrancarsi: si avverte lungo tutta la narrazione un continuo ammiccare al lettore, il tentativo maldestro di portarlo dentro la narrazione, farlo partecipe del dramma che si consuma in scena e, soprattutto, l’artificio di una prosa che scivola troppo spesso in passaggi didascalici, quegli “spiegoni” che, per assurdo, proprio nei corsi di scrittura cerchiamo strenuamente di combattere.

Durante l’anno in cui era rimasta a San Francisco, le sue sorelle erano riuscite a parlarle ma non a stabilire un contatto. Si trovava in un luogo dove loro non potevano arrivare. Poi si era disintossicata, aveva preso la laurea in legge e subito dopo era partita per Londra inseguendo il proprio successo, la propria libertà. Aveva abbandonato le sorelle, ma era decisa a non rifarlo mai più. Non solo perché avevano bisogno di lei, ma anche perché lei aveva bisogno di loro. Il meglio di sé, adesso le era chiaro, lo dava quando correva in loro aiuto. Era questa l’unica struttura solida dalla sua vita, l’unico potere superiore in cui credesse. (p. 71)

Anziché fare propria la lezione dello Show, don’t tell, Mellors infarcisce la narrazione di spiegazioni, sentimenti e rapporti che non si mostrano mediante i gesti e le azioni ma nominati direttamente, al punto che certi passaggi perdono quasi del tutto la valenza narrativa. Ogni cosa, ogni dettaglio e pensiero è sviscerato sulla pagina, in quella che pare a tutti gli effetti una narrazione costruita per facilitare il più possibile le cose al lettore, ridurre al minimo lo sforzo: le cose sono nominate, i pensieri e gli stati d’animo didascalicamente raccontati, tanto che più volte si ha la straniante percezione di essere più dentro il taccuino della scrittrice e le sue indagini verso la costruzione dei personaggi che nel romanzo vero e proprio. I dialoghi sono troppo spesso forzati, i personaggi mancano di reale spessore e autenticità e restano intrappolati nel ruolo e nelle maschere che indossano, seguendo uno schema di turbolenze, crisi, redenzione, consapevolezza che si intreccia a sentimentalismo e frasi che cercano un effetto e una profondità che alla fine però non riesce.

Ha ventisei anni e si sente perduta. Del resto, tutte le sorelle superstiti lo sono. Ma c’è una cosa che nessuna di loro sa: finché sei viva puoi essere trovata, e non è mai troppo tardi. (p. 8)

Se l’idea di dare voce in capitoli alterni alle sorelle Blue rimaste e raccontare la crisi a seguito della scomparsa di una di loro aveva del potenziale, quando anche non così originale, la resa non è stata all’altezza, intrisa di quei difetti menzionati poc’anzi. Le cose in un certo senso si potevano anche salvare, se solo si fosse scelto di chiudere il romanzo prima di quel capitolo-epilogo che con un forzatissimo happy ending vanifica gli ultimi interessanti passaggi e quella bella immagine, forse un po’ stereotipata ma resa egregiamente, dell’abbandonarsi all’acqua e al silenzio, in quello che sarebbe stato un finale decisamente migliore per questa storia. È Lucky, la minore delle sorelle Blue, che per qualche istante illumina la narrazione, con il caos che porta con sé, le cadute e i punti di arresto, un certo grado di imprevedibilità. Meno didascalico il suo punto di vista, forse grazie anche al fatto che è lei stessa a non aver ancora raggiungo un certo grado di consapevolezza, su di lei, sulle sue sorelle, sul legame che intercorre fra loro. Tutte loro aderiscono però a cliché da cui Mellors, nello sforzo di cercare di affrancarle, ha finito per soffocare i personaggi, maschera dopo maschera, stereotipo dopo stereotipo.

Ma chi sono, dunque, queste sorelle Blue? Avery, la sorella maggiore che in pratica si è sostituita alle mancanze della loro madre nel prendersi cura di tutte loro, un passato di tossicodipendenza poi la ripresa, la stabilità economica e sentimentale; il matrimonio messo in crisi dal desiderio di maternità della sua compagna e dai segreti di Avery. Bonnie, ex pugile che a seguito di una brutta sconfitta si è ritirata lontano dal ring e dalla palestra in cui è cresciuta e cova una rabbia che senza la box non sa dove catalizzare. Lucky, appunto, la minore, bellissima e complicata, modella internazionale che si sta rovinando la carriera tra alcol e droghe. E Nicky. La sorella equilibrata, cristallizzata per sempre nell’attimo prima che morisse. Nicky però non era quello che vogliono credere, non del tutto almeno. Ha attraversato il dolore e lunghi anni di frustrazione prima di arrivare alla diagnosi che dava finalmente almeno un nome a quel male: endometriosi. Qualcosa però si era già rotto e dalla sua morte pare impossibile riprendersi. Mellors racconta la confusione, il caos dietro l’apparente equilibrio, le distanze, le incomprensioni, l’aderenza a ruoli e modelli auto imposti o accettati e le macerie che ci lasciamo dietro. Non mancano, è evidente, spunti di riflessione interessanti in questo romanzo, dal discorso su dipendenze ed ereditarietà al ruolo di cura, il rapporto tra sorelle, il confronto con la perdita e le bugie che scegliamo di raccontarci, il senso di colpa, le distanze. Un’occasione mancata, nel complesso, da parte di un’autrice da cui ci si aspettava di più con questa seconda prova.

Debora Lambruschini