di Roy Fuller
Guanda, aprile 2025
Traduzione di Alba Bariffi
pp. 208
€ 19 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Dietro le quinte di Roy Fuller è uno di quei romanzi che si aprono in sordina, ma finiscono col condurre il lettore in territori ben più oscuri di quanto avesse immaginato all’inizio. Pubblicato in Inghilterra nel 1953 e finalmente arrivato in traduzione italiana, questo romanzo incarna appieno il sottile equilibrio tra la compostezza del racconto borghese e le incrinature di un’anima che, pur cercando rifugio nell’abitudine, finisce col dover affrontare l’imprevisto e il pericolo.
Il protagonista, George Garner, è un personaggio che non cerca simpatie: scrittore mancato, divorziato, ancorato a un impiego editoriale privo di sbocchi, trascorre le sue giornate in una Londra che Fuller ritrae con una penna affilata e partecipe, dove ogni quartiere sembra custodire un’eco di Dickens o un’ombra di Graham Greene. E proprio questi due autori funzionano da coordinate ideali per decifrare il mondo interiore di George: il primo come compagno fedele nei tragitti della metropolitana, il secondo come filtro attraverso cui misurare ogni nuovo incontro. Non è un caso: se Dickens gli fornisce uno sfondo morale, Greene gli suggerisce un possibile copione – quello del dilettante invischiato in faccende troppo grandi per lui.
La struttura del romanzo, almeno all’inizio, si affida a una placida quotidianità: George è un uomo di lettere che scrive poco, parla molto (ma senza dire nulla) e vive in una Londra che sembra anestetizzata dal dopoguerra. L’unica breccia autentica nella sua impenetrabile formalità è rappresentata dalle lettere che invia a William Widgery, un vecchio compagno di scuola con cui condivide un’intimità epistolare colma di sottintesi e non detti. Quando però William smette di rispondere, qualcosa in George si incrina. E quando la sorella di William lo contatta, implorandolo di aiutarla a scoprire che fine abbia fatto il fratello, il romanzo deraglia in una direzione inaspettata: da commedia borghese a thriller esistenziale.
Ma Fuller non si abbandona mai del tutto al genere. Dietro le quinte è un giallo senza investigatori, un noir dove il protagonista si muove con l’inconsapevolezza di chi ha sempre vissuto nella teoria, e ora è costretto a confrontarsi con la realtà più concreta e pericolosa. I toni si fanno cupi, ma mai drammatici; l’ironia rimane una costante, mentre la tensione cresce con una precisione chirurgica. George non cambia, non si trasforma in un eroe: resta un osservatore, una figura in bilico tra la vigliaccheria e l’autoconservazione. E proprio per questo, il lettore è portato a seguirlo con crescente apprensione, ma anche con un certo distacco. Come se, davvero, fossimo tutti seduti dietro le quinte, a spiare un palcoscenico che si credeva letterario, e che invece si rivela spietatamente reale.
Roy Fuller – poeta, avvocato, romanziere, membro del Parlamento – dimostra, in queste pagine, una padronanza del registro narrativo che merita una riscoperta. La sua prosa è sobria, elegante, ma mai asettica. Ogni dialogo ha il peso di una schermaglia, ogni descrizione urbana restituisce una Londra vissuta e non semplicemente osservata. E la scelta di ambientare tutto in quel dopoguerra ancora sospeso tra ricostruzione e disincanto dona al romanzo un respiro sottilmente politico, senza mai sfociare nel pamphlet.
Inoltre il mondo in cui ci porta Fuller è quello degli scrittori medi, di cui Garner si sente in parte portavoce e nello stesso tempo odia, perché questa letteratura di second'ordine lo nausea nelle sue dinamiche, nei suoi salotti sempre troppo ciarlieri e nelle sue trame sottili, che lo svuotano come scrittore e lo sviliscono come uomo; infatti riesce quasi sempre ad ubriacarsi e a diventare molesto, scappando da questi odiati circoli letterari. La potenza di questo libro, di non troppe pagine, sta nelle sue parti riflessive, nelle innumerevoli citazioni di libri, artisti, musicisti, personaggi più o meno famosi.
Tra questi anche un tributo al libro di Mario Praz a p. 157, quando Garner riflette se procurarsi una copia della sua opera La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, non si sa bene se per creare un senso di inquietudine o per un tributo a un'opera per lui significativa. Anche nel citare Caleb Williams, il libro di William Godwin, noto per le sue idee radicali e per essere uno dei primi esponenti dell'anarchismo filosofico, nonché padre di Mary Shelley, si individua una sorta di alter-ego letterario. George, come Caleb, si sente perseguitato per aver scoperto un crimine, ma ancora una volta, se nell'opera di Godwin, il personaggio di Caleb agirà in maniera onorevole, George non avrà il suo stesso coraggio.
Quello di Fuller è un romanzo che riflette su cosa significhi vivere davvero, quando il sipario si apre e non si è più spettatori della propria vita, ma attori inconsapevoli di una tragedia che non si era scritta da soli. Lettura consigliata a chi ama la letteratura britannica più raffinata, a chi cerca storie che parlano con garbo ma non hanno paura di mostrare il lato oscuro dell’animo umano. E a chi, come George, si è chiesto almeno una volta se le parole bastino a salvare la realtà.
Samantha Viva
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