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#SalTo13: la prima giornata al Salone

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Tornare annualmente a Torino, per il Salone Internazionale del Libro, dà sempre un senso di spaesamento al visitatore, chiunque egli sia.  La città stessa è un paesaggio sospeso tra  novità che sanno di antico e un antico che si celebra in moderno. Un insieme composito, che contraddistingue Torino e il Salone, e ne può in qualche modo spiegare le contraddizioni.
Il Salone, infatti, è una celebrazione per sua natura piena di contraddizioni: l'incontro tra novità e tradizione, lo abbiamo già detto, ma anche tra editoria indipendente, a grande distribuzione e a pagamento, tra cultura mainstream ed eventi di nicchia, scritture commerciali e d'avanguardia può dare certamente l'impressione di una congerie disarmonica, senza un vero filo conduttore, a rischio "schizofrenia" - rischio con cui l'organizzazione di ogni grande fiera deve in qualche modo venire a patti - e che certamente non può non porgere il fianco ad alcune critiche, come quella che Alessio Piras aveva lanciato proprio su CriticaLetteraria l'anno scorso (potete leggerla qui) o, più recente e provocatoria, quella di Gian Paolo Serino sulle pagine di Satisfiction (che potete leggere qui). Certo, non bisogna dimenticare che cos'è il Salone: un salone, appunto; non potrebbe celebrarsi se non a Torino ed è un bene che vi sia. 

In questa prima giornata ho seguito per CriticaLetteraria ha seguito gli eventi dedicati, in particolar modo, al rapporto tra letteratura, critica e mondo digitale.
Il primo evento a cui abbiamo assistito era intitolato Open Access e società globale della conoscenza, a cura del Centro Nexa e del SIOI (Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale), con gli interventi di Juan Carlos De Martin, Claudio Giunta e Alberto Oddenino. Ciò che è emerso è che l'Open Access va visto come un vero e proprio "contropotere", contrapposto ai valori del mondo mercificato: la messa a disposizione di un patrimonio comune per l'intera umanità. Se questo è lo sfondo si comprende perché l'UNESCO abbia deciso di prendere posizione a favore dell'Open Access, decidendo di pubblicare tutti i suoi documenti, diretti o indiretti, con tale sistema. Una decisione dall'alto valore simbolico e pratico.
Il primo a prendere la parola è stato Juan Carlos De Martin, per il quale, al di là dell'importante valore "politico", Open Access vuol dire poter accedere liberamente ai risultati della ricerca (scientifica, ma non solo), poterne fare copie per uso personale, poterla riutilizzare rispettando il diritto d'autore. De Martin ha, però, sottolineato come di Open Access se ne parla già da vent'anni. E se, fino a ora, non ha raggiunto i risultati e l'ampliamento che tutti si aspettavano ciò è dovuto, principalmente, alle resistenze della comunità accademica. Se è vero, infatti, che in alcuni settori virtuosi, come quello della scienze fisiche, il cambiamento è evidente, nella maggior parte dei casi l'abitudine e la pigrizia l'ha fatta da padrone e c'è bisogno di tempo per cambiare le cose. Un ruolo egemone è stato assunto, allora, dalla Commissione Europea che ha stabilito l'obbligo di deposito in Open Access per il 20% delle ricerche da lei finanziate e la nomina di punti di riferimento nazionali nei confronti di Bruxelles. Non bastano, però, certamente solamente i regolamenti e gli obblighi: come ha affermato De Martin è necessario provare a far capire agli enti pubblici che prendono finanziamenti come l'Open Access sia conveniente e utile alla trasparenza. Sarebbe un vero e proprio salto di qualità rispetto al semplice sito web per capire esattamente di cosa quel singolo professore o università si sta occupando e in quale modo.

Ha preso la parola, poi, Claudio Giunta, che, tra le altre cose, è responsabile della biblioteca di Trento: si è occupato di Open Access per "legittima difesa". Si è, infatti, accorto che molti soldi pubblici vengono investiti per le riviste scientifiche e, approfittando di questo, molti editori vendono alcune riviste alle biblioteche a un prezzo dieci volte superiore a quello medio. Le riviste scientifiche, così, più che uno strumento culturale e accademico, sono diventate un buon affare per un certo numero di editori, che hanno formato dei veri e propri "cartelli" in cui, insieme ad alcune riviste non fondamentali, vengono inserite anche quelle necessarie alla ricerca scientifica. L'investimento di questi soldi tolgono, però, fondi alle biblioteche: basti pensare che la curva dei prezzi di queste riviste è, dal 2001, del 100%. Giunta, ci ha tenuto a precisarlo, non ha voluto fare del moralismo: i colpevoli, infatti, non ritiene siano gli editori, ma i professori universitari che si prestano a questo gioco per mera vanità. Questo è stato il motivo per cui si è interessato di Open Access, rendendosi conto come questa sia l'unica strada percorribile per tagliare fuori l'intermediario (cioè l'editore), facendo risparmiare i soldi al contribuente e non arricchendo persone che nulla aggiungono al lavoro scientifico.

Nel secondo dibattito a cui CriticaLetteraria ha partecipato si è parlato anche di noi. L'evento era, infatti, intitolato La presenza di casa editrice/autori/libri nei Blog e in Tv e l'impatto sulle vendite di libri, a cui sono intervenuti Noemi Cuffia (responsabile del blog letterario Tazzina di caffè), Elisa Molinari e Gianni Peresson (entrambi dell'AIE) e Lorenzo Ribaldi (della casa editrice La Nuova Frontiera), ma a questa ricerca sarà dedicato presto un sabato di #CriticaLibera.
Qui diremo perciò qualcosa in breve. I primi interventi sono stati quelli di Gianni Peresson ed Elisa Molinari che, esponendo la loro ricerca, hanno evidenziato come si sia modificato il ruolo del recensore sui giornali e del libraio e sempre più importanza hanno assunto i motori di ricerca. Il lettore non entra più, infatti, in libreria alla ricerca di consigli, ma sa già esattamente cosa andare a cercare.
Da una mera lettura dei numeri risulta che, dal 2007 al 2012, nell'interesse dei lettori italiani rimane ancora fondamentale l'argomento, mentre è calata l'importanza dei consigli degli amici, delle recensioni sulla stampa, delle esposizioni sul punto vendita, delle classifiche di vendita e della pubblicità. Sono, invece, aumentate tutte le forme di comunicazione attraverso il web (social network, blog, i siti delle case editrici).
Peresson ha, poi, mostrato una ricerca effettuata sui 13 blog più noti in Italia (tra cui quello di Critica Letteraria), incrociando i dati dei post in cui si parla di un singolo libro con le vendite su Arianna+. Come ha ammesso lo stesso Peresson, però, è probabile che una parte importante di coloro che accedono ai blog per informarsi prediligano i libri cartacei e preferiscano acquistarli in libreria (e questi dati, ovviamente, non sono calcolabili). Ciò che, invece, è facilmente intuibile è come il ruolo dei blog sia importante, non tanto nella fase di lancio, ma nella gestione del ciclo di vita dei libri (soprattutto dei titoli di catalogo) e non per tutti i titoli (non ha funzionato nel caso del libro di Paolo Giordano perché, probabilmente, il target dei lettori del blog in cui si è parlato di quel titolo non appartiene al suo pubblico, molto più vicino al pubblico di "Che tempo che fa"). L'elemento importante di questa indagine, e che per noi è fondamentale, è che i blog si configurano come un importante canale di comunicazione nei confronti di un certo target di lettori sempre più ampio.
Ha preso poi la parola Lorenzo Ribaldi, il quale ha sottolineato l'importanza dei blog, soprattutto nei confronti delle case editrici indipendenti. Ha poi raccontato la personale esperienza della sua casa editrice che ha deciso di realizzare, oltre al sito, un blog: solo attraverso il blog, ci ha detto Rinaldi, si riesce a creare comunità e una relazione più stretta con i lettori. Il blog è, dunque, lo strumento perfetto per una comunicazione bidirezionale e per nicchie specializzate.
Ha concluso, infine, Noemi Cuffia la quale, sottolineando la natura del suo blog personale e non collettivo, ha affermato che la natura dei blog è quella di produrre senso e produrre denaro, formati da persone che, utilizzando nuove forme tecnologiche, hanno aumentato le possibilità di comunicazione e interazione, seguendo il proprio gusto e la spontaneità.

Eccoci alla conclusione del resoconto di questa prima giornata al Salone del Libro di Torino, che vorrei chiudere con una piccola provocazione. L'ultimo incontro a cui ho partecipato è stata la presentazione di un nuovo sito web di recensioni librarie, Book Detector. Ero entusiasta, perché ritengo che una nuova voce del web che parli di libri sia una risorsa per tutti, ma non ho potuto fare a meno di notare che le dichiarazioni degli intervenuti hanno sollevato un problema  di non poco conto per la comunità dei blog letterari. In poche parole, il neonato progetto Book Detector rivendica l'unicità del proprio progetto editoriale, motivata dal fatto che si tratta di un progetto "professionale". Non mi soffermo sul fatto che esperienze professionali nel mondo dei lit-blog ce ne sono già - penso a Minima Moralia, tanto per fare un esempio - tuttavia credo che dichiarazioni di questo tipo, che vorrebbero ricondurre l'universo dei blog letterari al binomio professionale-amatoriale, siano più che un passo avanti un passo indietro nell'animato dibattito che almeno dal 2011 anima la comunità dei blogger. Un dibattito, va detto, molto complesso, in cui la soluzione trovata da questo nuovo progetto - finanziamento da parte di un editore che permette di pagare i propri collaboratori - può sembrare una scelta buona o discutibile, ma ha certo bisogno di ridefinire la propria unicità in un contesto particolarmente variegato quale quello dei blog letterari.

Rodolfo Monacelli