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Fulvio Ervas, "Se ti abbraccio non aver paura"

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Se ti abbraccio non aver paura
di Fulvio Ervas

Marcos y Marcos, 2012 

 
 
Franco ha 50 anni e assomiglia un po’ a Ligabue. Andrea invece ne ha 18 e tocca la pancia a tutti. Sono padre e figlio. Andrea aveva due anni e mezzo quando il verdetto di un medico ribaltò il mondo: autismo. La clinica dove Franco sentì il responso è a Siena. Il rientro a casa, in Veneto, fu solo urla e pugni sul cruscotto. È una storia che oramai conoscono in tanti visto che Franco Antonello è andato in tv, nei giornali e nei rotocalchi. Perché proprio la sua storia?
Tutto prende avvio da un’idea che comincia a lavorare dentro a Franco, in silenzio. Come un virus. Una mattina va incontro ad Andrea che torna da scuola, lo vede arrivare e gli chiede: «Andiamo in America?». «America bella». Subito parte la contraerea di parenti, amici, medici. A Franco danno del pazzo ma lui non demorde: per anni ha viaggiato con il figlio inseguendo solo terapie, tradizionali e no. Adesso vuole un viaggio diverso, senza bussola. E partono. Prima per gli States a bordo di una Harley Davidson rossa poi raggiungono l’America latina e brasileira in automobile: 38.000 chilometri per quattro mesi a cavallo di due mondi per combattere l’apparente incomunicabilità cui li costringe la malattia.
Insieme, padre e figlio tagliano gli Stati Uniti in moto, si perdono nelle foreste del Guatemala. E giù, giù: Messico, Belize, Amazzonia, incidenti e pericoli, ragazze sexy e posti di blocco, sedute sciamaniche dalle quali Andrea esce devastato ma consapevole, deserti, polvere, gomme bucate, sudore e intossicazioni. Si massacrano il culo ma si fanno coraggio a vicenda fra incoscienza e «se molli è finita». Si parlano scrivendosi al computer dove Andrea imprime frasi di una sensibilità sconvolgente e la prigione pare aprire spiragli di evasione. Per tre mesi la normalità è abolita, e non si sa più chi è diverso. Anzi, sarà Andrea a trasmettere a suo padre il senso dell’istinto allo stato puro: un amore, in Brasile, nell’atmosfera intensa e lontana del villaggio di Arraial, per Angelica.  

Dopo il rientro, Franco incontra Fulvio Ervas che passeggia per le strade di Treviso. Fulvio è uno scrittore e Franco lo sa, ma predilige i gialli. Mediatore dell’approccio è un dentista: non proprio il massimo ma i due non stanno a sottilizzare. «Tu scrivi?» chiede Franco. Fulvio annuisce. «Allora ascoltami, perché la storia che voglio raccontare ha la forza della vita vera». Ervas ascolta per più di un anno. Fino a quando Franco gli ricorda una verità, banale ma triste: «io e la mamma di Andrea un giorno ce ne andremo. E questo produrrà un’altra conseguenza ovvia: Andrea rimarrà solo per una trentina d’anni. Su questa terra. Dentro la sua nazione indiana, la sua riserva». Ma tra questo schiaffo finale e la prima volta seduti l’uno di fronte all’altro, Franco rovescia addosso a Fulvio la vicenda da urlo vissuta col figlio.
Ne viene fuori questo libro. A Fulvio Ervas il merito di avere impresso con la forza di una narrativa tracimante un on the road a detta di troppi impossibile e che invece si è tradotto in best seller. Quando infatti Franco e Fulvio si stringono la mano il primo promette di offrire uno spritz alla millesima copia venduta. Siamo a quasi 300.000.

Sono di più, oltre 400.000, i ragazzi autistici in Italia e di conseguenza almeno 800.000 i genitori. Numeri purtroppo destinati ad aumentare. Fanno 1.200.000 persone. Non tutti sono fortunati, se vogliamo spendere questo termine, come Andrea. Qualcuno viaggia con magliette su cui è impresso un numero di cellulare, nelle t-shirt di Andrea compare la frase che dà il titolo al libro. Perché lui abbraccia all’altezza della pancia. Per conoscere gli altri. Difficile non provare timore, la categoria del diverso è sfuggente e suscita paure. Invece c’è bisogno di coraggio: il coraggio di affrontare il mondo, per queste persone, il coraggio del mondo di accettarli. So che vogliono vincere la sfida. Con un po’ di aiuto vinceranno meglio.