in

"L'importanza di essere secondi": storie di eroismo al secondo gradino del podio

- -
L'importanza di essere secondi.
Storie di eroismo e non solo
di Marilena Lualdi

Nomos Edizioni, 2012

pp. 189


"Non è nella natura umana, tanto meno nella mentalità del nostro convulso mondo, applaudire i secondi." Ispirandosi a questo assunto incontrovertibile, soprattutto in quest'epoca in cui primeggiare ad ogni costo si prospetta come un obiettivo irrinunciabile, l'autrice ha intrapreso un lungo viaggio attraverso le dinamiche che sottendono l'essenza del ruolo in cui viene solitamente relegato colui che sfiora la vittoria senza agguantarla, un ruolo che ha il sapore amaro di una sconfitta, a tratti senza appello. Basti pensare al Palio di Siena, dove al secondo classificato viene inflitta la cosiddetta "purga", per la sua incapacità di aggiudicarselo dopo averlo rasentato. Nell'immaginario collettivo, il terzo classificato risulta meritevole di una maggior clemenza e comprensione, forse perché oltre un certo limite non si sarebbe mai potuto ragionevolmente proiettare.
Ma sarà davvero così? Marilena Lualdi, grande appassionata di storia della Scozia, dedica questo libro a un grande secondo nel centenario della sua scomparsa: il capitano Robert Falcon Scott, esploratore antartico. Sulla scia di questa figura leggendaria del primo Novecento, l'autrice si sofferma anche sulla personalità e sulle vicende di altri personaggi - seppur diversissimi fra loro - che hanno lasciato un segno indelebile nella nostra storia antica e moderna.
Dicevamo di Robert Falcon Scott, uno degli eroici e sfortunati membri dell'equipaggio della spedizione in Antartide del 1912. Eroici anche e soprattutto rispetto a noi, in quanto potevano e dovevano contare esclusivamente sulle loro forze, senza l'ausilio di telefoni satellitari e altri congegni sofisticati. L'autrice, che a Dundee ha incontrato i discendenti degli uomini di quella spedizione, ha saputo cogliere mirabilmente le sfumature del tessuto psicologico del capitano Scott, venutosi a dipanare anche in seguito ad alcuni eventi cruciali della sua vita, primo fra tutti l'amicizia con James Barrie, l'indimenticato creatore del personaggio di Peter Pan ("il ragazzo che non voleva crescere"), attraverso cui cerca l'isola che non c'è. Robert Falcon Scott vuole invece raggiungere l'Antartide, il continente di cui altri uomini coraggiosi hanno già intravisto l'esistenza. Robert sogna anche di arruolarsi in marina, ma il senso del dovere gli impone di accantonare le sue aspirazioni per stare accanto alla madre e alle sorelle in seguito ai gravi lutti e ai disastri economici che si sono abbattuti sulla sua famiglia. Ciononostante, ad un certo punto, il suo sogno comincia a tradursi in realtà grazie alla Royal Geographical Society, guidata da Sir Clements Markham. Robert sbarca per la prima volta in Antartide e viene travolto da una frenesia che non lo abbandonerà più; rientra in Scozia con il fermo proposito di tornare in quel continente di ghiaccio che si staglia all'estremo Sud del nostro pianeta. Riuscirà a coronare la sua ambizione nel 1910, a bordo della Terra Nova, seppur ignaro del fatto che il norvegese Roald Amundsen è partito a sua volta per una spedizione nel Polo Sud. Sarà lo stesso Amundsen a comunicarlo al suo rivale Scott con un telegramma. Questa competizione del tutto inaspettata risulta poco gradita a Scott, il quale finisce tuttavia per accettarla di buon grado, impegnandosi a fare del proprio meglio per l'onore della patria.
Sarà Amundsen ad avere la meglio, probabilmente anche grazie ad alcune scelte strategiche destinate a rivelarsi più azzeccate, una fra tutte quella di reclutare una folta compagine di cani, considerati "infaticabili" e maggiormente affidabili rispetto alle slitte a motore. Altro dettaglio non trascurabile: gli inglesi indossavano pellicce, rese pesantissime dall'umidità, mentre i norvegesi avevano optato per delle giacche impermeabili (decisamente più leggere) indossate sopra i maglioni. E che dire del carburante lasciato incautamente nei depositi lungo il tragitto di ritorno, senza tener conto del fatto che sarebbe evaporato?
Gli errori del capitano Scott e del suo equipaggio hanno dunque permesso ad Amundesen di raggiungere il Polo Sud alcune settimane prima del suo "rivale". Ciononostante, Scott non esita a dichiarare che "conta il lavoro, non l'applauso" e, in virtù di questo principio, decide stoicamente di portare a termine la sua missione, affrontando con i suoi compagni le ottocento miglia di cammino che li separano dalla meta. Robert Falcon Scott, accompagnato da Henry Bowers, Edward Wilson, Edgar Evans e Lawrence Oates, si accinge ad affrontare la sua ultima sfida con la "morte bianca". Forse, a trasmettergli la forza di affrontare l'inaffrontabile è anche la profonda amicizia che lega questi quattro uomini accomunati da un sogno vissuto con un fatalismo che trae la sua linfa vitale da una certa irrazionalità cementata dalla convinzione che "il meglio possa venire".  Una convinzione che sovrasta la lucida consapevolezza che la morte bianca li avvolgerà uno dopo l'altro nel suo manto silente. Un eroe che muore è sempre accompagnato da un velo di toccante poesia, che cancella ogni zona d'ombra, non importa se piccola o grande. Robert Falcon Scott e i suoi quattro amici, comunque "condannati" al ruolo di comprimari, hanno scelto di continuare in nome di una sete di conoscenza del tutto scevra da ogni calcolo e interesse personale.
L'idealismo quasi mistico, che accompagna l'essere secondi nella dimensione di eroico stoicismo del quale è intrisa la vicenda appena narrata, si contrappone al ruolo di gregario scandito da molti passi falsi e da un forte antagonismo permeato di slealtà e colpi bassi come quello che animava Giovanni Senza Terra, fratello minore di Riccardo Cuor di Leone nonché reggente di quest'ultimo, al quale aveva tentato di usurpare il trono approfittando della sua assenza. Otto anni dopo diventerà re,  anche se la sua vita è destinata a diventare un florilegio di tradimenti, complotti (si sospetta che abbia assassinato il nipote Arturo, scomparso in circostanze misteriose) e scelte poco felici destinate a ritorcersi contro di lui, minando progressivamente la sua credibilità agli occhi dei sudditi. L'unico gesto encomiabile per il quale verrà ricordato (e peraltro strappato contro la sua volontà), sarà la firma della Magna Charta. Non si può affatto escludere che alla base dei suoi atteggiamenti a dir poco discutibili vi sia l'angoscia più o meno latente di essere considerato dall'opinione pubblica una sorta di eterno secondo (leggi: fallito e incapace).
Si può scegliere di essere secondi, anche a discapito dei propri interessi personali, in nome di una solida amicizia che scorre lungo i binari di una nobiltà d'animo di matrice pressoché ultraterrena, come quella che lega Gionata al futuro re Davide. Queste amicizie tanto rare quanto preziose trascendono le regole stereotipate delle affinità e degli interessi comuni, seppur presenti in qualche misura, e non sono riconducibili a nessuna logica plausibile, forse perché le vere motivazioni hanno sede in una dimensione molto più profonda, che si affranca dalle dinamiche dell'umano intendimento. Nei confronti del futuro re Davide, Gionata nutre un sentimento di lealtà incommensurabile che rasenta la devozione, in nome della quale non esiterà ad aiutarlo anche nelle circostanze più pericolose, come quando si prodiga per convincere il padre Saul a non ucciderlo, sottolineando a più riprese l'innocenza del suo giovane amico.
Può capitare che una donna sia così innamorata del proprio uomo da manifestare la volontà di calarsi nel ruolo di seconda al suo cospetto, come è accaduto nella vicenda di Abelardo ed Eloisa. Giovanissima allieva di Abelardo, un uomo maturo e gaudente, Eloisa si innamora del suo maestro e intreccia con lui una relazione che manderà su tutte le furie lo zio della fanciulla, anche perché questa caldeggerà la decisione di non sposare il suo amante per non rovinargli la carriera. Aggredito ed evirato, Abelardo sceglierà la vita religiosa, ed Eloisa prenderà i voti. I due amanti non si rivedranno più, ma riusciranno in qualche modo a riprendere i contatti attraverso una fitta corrispondenza epistolare, dalla quale emergerà prepotente il sentimento purissimo di Eloisa che si staglia al di là di ogni convenzione materialistica in una sorta di femminismo ante-litteram, specie quando dichiara: "Sei solo tu, non i tuoi beni, ciò che amavo. Non mi sono mai preoccupata dei vincoli del matrimonio, né della dote, né delle mie gioie, né delle mie volontà personali." Un amore puro, che trascende l'ego, e che solo uno spirito poco illuminato può relegare al ruolo di secondo (leggi: irragionevole e perdente).
In questo bel libro di Manuela Lualdi, non potevano mancare diversi aneddoti legati al mondo dello sport, che a tratti si intrecciano con i ricordi personali dell'autrice, come nel caso della finale Italia-Germania ai Mondiali dell'82. All'epoca, Manuela, ragazzina ribelle nonché romanista verace, si era rifiutata di tifare per la nostra Nazionale, salvo poi sciogliersi davanti alla gioia di Sandro Pertini (e alla soddisfazione di vedere la Germania relegata nel ruolo di seconda).
E infine la musica: da Mozart e Salieri, l'eterno secondo irritato contro un Dio "reo" di premiare un un giovane artista del tutto sprovvisto (a suo dire) di tratti virtuosi, passando attraverso i palcoscenici del rock e del pop dove si sarebbe disposti a tutto pur di non essere secondi a nessuno, esiste anche qualche simpatica eccezione, come dimostra il lato B di molti vecchi 45 giri in vinile, originariamente destinato a fungere da riempitivo senza infamia e senza lode, con qualche eccezione eclatante, che gli ha permesso di surclassare il lato A (vedi "Day Tripper" e "We can work it out" dei Beatles e, restando in Italia, "In silenzio" e "Piccola Kay" dei Pooh).
Questo libro ci insegna che, spesso, arrivare secondi non significa dover fare i conti con una sconfitta (in alcuni casi, come abbiamo visto, può rappresentare addirittura una scelta consapevole), bensì trasformare un risultato apparentemente meno appagante in un'occasione per accendere una speranza in noi, ma anche in chi ci guarda. Chi accetta serenamente o sceglie in modo consapevole il secondo gradino del podio della vita in piena coerenza con un ideale, con un sogno, piuttosto che per lealtà nei confronti di un proprio simile o in nome di un sentimento disinteressato, ha già vinto una delle più grandi sfide con se stesso e, come tale, merita rispetto.