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Uno scheletrico romanzo-pangea: "Sofia si veste sempre di nero"

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Sofia si veste sempre di nero
di Paolo Cognetti
Minimum fax

pp. 203
14,00 €


Doppia  dice Marta […] – La tua faccia è tutta asimmetrica –  Ed è così che sono? Asimmetrica?  Aspetta  dice lei. Prende un foglio di carta e con quello copre il lato sinistro della fotografia. La metà sinistra della tua faccia ha l’aria ironica, spavalda. Sorride. Possiede l’aggressività delle donne capaci di farsi strada da sole.    Questa sei tu da fuori […] Questo è invece l’abito per stare in casa   Sposta il foglio da sinistra a destra e la ragazza della foto si trasforma di colpo. Il sorriso scompare. È diffidente, quasi minacciosa. Sembra anche stanca: stanca di trovarsi lì, stanca di essere guardata.  Lo vedi?  dice Marta. Quando solleva il foglio ti sembra impossibile che due persone tanto diverse possano stare insieme.

Da bambina, a scuola, mi fecero fare un esperimento che penso sia universale. Prendere una fotocopia del planisfero, ritagliare i continenti e riavvicinarli, in modo da far capire come doveva apparire la Pangea miliardi di anni fa. Vedete come il Brasile si insinua nel fianco dell’Africa? Come l’Italia si incastra con la costa Balcanica? Una volta i continenti erano tutti uniti in un grande blocco e poi movimenti sotterranei li hanno allontanati sempre di più gli uni dagli altri. Un giorno forse il movimento si invertirà e le terre torneranno a riunirsi.
Leggendo Sofia si veste sempre di nero mi sono trovata di fronte a un romanzo “pangea”: si parte da un nucleo principale, la scheletrica, ribelle e complessa Sofia, e poi ci si allontana, si scoprono altri personaggi che hanno la loro vita e il loro sviluppo, ma che vanno sempre ad incastrarsi e a rivelare nuovi spigolosi angoli del carattere della protagonista.
Sofia nasce in una normale famiglia borghese: padre ingegnere per l’Alfa Romeo, la madre casalinga e pittrice in gioventù. Hanno i loro problemi, le frequenti liti, la depressione di lei e la relazione extra- coniugale di lui, il cancro di lui, la vedovanza di lei. La figlia è un maschiaccio, più adatta alle lotte tra pirati che alle bambole, amante del nero e non del rosa, aspirante suicida da adolescente, attrice/cameriera nell’età adulta. Un racconto lungo trent’ anni in cui Sofia compare a volte solo di sfuggita o negli occhi di chi le sta attorno, ma sempre presente, sempre fulcro e movimento delle persone e dei continenti intorno a lei.
Non saprei nemmeno se “romanzo” sia la definizione più calzante per quest’opera. Si struttura su dieci microsezioni, racconti che pur facendo sempre parte di un unico filone vivono in maniera autonoma, cambiando con grande disinvoltura il punto di vista e la voce narrante. Non c’è un ben preciso ordine cronologico: nelle stesse dichiarazioni dell’autore, il libro può essere letto con l’ordine che si preferisce, saltando da un racconto all’altro alla ricerca di collegamenti che forse, a prima vista, ci sono sfuggiti, o sono sfuggiti all’autore stesso. 
La scrittura è incredibilmente semplice e minimalista, quasi spoglia, e riecheggia le influenze di autori come Alice Munro e William Trevor, dove la narrazione non è fatta di orpelli stilistici, ma di azioni e di vita così vera e spettacolare di per sé stessa da non aver bisogno di aggettivi ridondanti.

Giulia Pretta