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Guardando la città dal finestrino di un treno. I racconti del collettivo extravesuviana

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Racconti dalla periferia
di a.a.v.v. (collettivo extravesuviana)
ed. L'arca e l'arco edizioni, 2012


Per un ragazzo vivere in provincia è come assistere ad una partita di calcio fuori dai cancelli dello stadio, è come guardare un film in 3d senza quegli occhialini speciali, è come fare un’immersione ad occhi chiusi. Il collettivo extravesuviana ha raccolto in un libro i racconti di giovani vissuti ai margini della grande città, che la guardano con occhi critici e famelici, che la narrano con parole di amore e rabbia, che la immortalano con la poesia dei loro scatti e dei loro versi. Sono pendolari che trascorrono ore delle loro giornate sui freddi sediolini grigi della Circumvesuviana (la ferrovia che collega i paesi vesuviani a Napoli), traghettati alla vita, ma mai in fuga. Perché la fuga è rassegnazione, e la rassegnazione è il sentimento provinciale da contrastare, è il male da debellare. Extravesuviano è un modo di essere, è, come scrive nella prefazione Francesco Di Bella, frontman dei 24 Grana, 
chi non si rassegna all’indifferenza e accoglie la vita come confronto, rivelando le contraddizioni del proprio essere con il proprio territorio”. 
Tante le storie, i nomi, le esperienze raccontate, tutte con un velo di tristezza, quello che copre, talvolta, gli occhi dei ragazzi di periferia, abituati a conquistarsi la vita a pugni stretti. Alcuni dei racconti potrebbero essere ambientati in qualsiasi paese della provincia italiana, come la storia di Alice ne “Il negozio di fiori” di Nicola Di Mauro, costretta a vivere la relazione con Clara nel suo retrobottega, per proteggerla dagli sguardi indiscreti dei passanti e dalle maldicenze dei vicini. 
 “Gli amori segreti sono odiati, sono pericolosi. L’intolleranza e la violenza potevano uccidere il loro amore, potevano uccidere lei.” 
 Poi c’è la bella storia scritta da Dario Cetta, “La mia sinistra (a mio padre)”, che è un poetico ritratto di un’ideologia politica che si trasformava in stile di vita, nell’Italia degli anni sessanta e settanta, negli anni bui delle Brigate Rosse e del senso di impotenza e disorientamento che li accompagnava. Gli anni in cui si credeva a un sogno, si credeva nel cambiamento e in nome di quello si faceva la rivoluzione. 

 “La rivoluzione ci scorreva nelle vene come un fiume impetuoso e noi volevamo la nostra lite d’amore con il mondo. Poi in una plumbea mattina di un inverno lungo quanto un decennio, ci accorgemmo che quella stessa rivoluzione che sognavamo, stava diventando qualcos’altro.” 
 C’è Giovanna, laureata in lingue orientali, emigrata a Prato grazie alla conoscenza della lingua cinese e finita a vendere simcard e gratta e vinci in un ufficio postale, sperando a fine turno di quadrare i conti della cassa e non vanificare la giornata lavorativa; o facendo improbabili colloqui con imprenditori montati. Lo stile dell’autrice di questo racconto, “In precario equilibrio”, Giovanna Ricchezza, è ironico, leggero, ma si trasforma nel finale, acquisendo una vena malinconica e riflessiva. Poi ci sono le denunce sociali, legate a un territorio ferito, violentato come quello campano. Ne è un esempio “Sversuvio” di Alessio D’amico e Nicola Di Mauro. Il titolo ha in sé due parole tristemente legate tra loro: Vesuvio e il verbo sversare, ovvero “scaricare, far defluire una sostanza tossica o inquinante”. Nel racconto un ragazzino scopre i condizionatori e il percolato nella stessa torrida estate dei suoi 10 anni. Il fetore che entrava in casa e rendeva l’aria, già infernale per la temperatura, mefitica e irrespirabile. Le finestre sbarrate, l’aria immobile, l’unica possibilità per respirare era incarnata in un condizionatore. Ma quel vento tossico per chi lo respira è veleno che, se non ti ammazza sotto forma di tumore, si trasforma in rabbia che ribolle dentro. “Capisci, allora, che la vera vita sta nella lotta. Sta nella ribellione dall’ingiustizia imposta, e da chiunque abbia la faccia tanto tosta da imporla.” E ci sono ancora tante storie di amori nati tra le fermate ferroviarie, di piogge che allagano e sommergono città devastate dalla noncuranza, di vecchie e sagge abitudini, come quelle dei cordiali, di viaggi e della voglia di tornate a casa, nonostante tutto. Un bel progetto quello di Extravesuviana, che può essere seguito sul blog: Extravesuviana