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La casa dei sette abbaini, un romanzo di Hawthorne

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La casa dei sette abbaini
di Nathaniel Hawthorne
Mondadori, Collana Oscar Classici
Milano 2001
8.00



La casa dei sette abbaini è un luogo un po' tetro, vinto dal tempo, è nata da una storia macabra, custodisce dei misteri, e certamente Hawthorne, nato a Salem, aveva tutte le carte in regola per scrivere della stregoneria con una certa consapevolezza.
Racconta l'autore che prima ancora che la casa dei sette abbaini fosse costruita c'era solo un terreno che dava su "un sentiero da capre", animale sacro a Bacco e ben noto alle streghe, del resto; un uomo qualunque, Matthew Maule, aveva deciso di costruire la sua capanna proprio là, vicino ad una fonte di petrarchesca memoria, "una sorgiva d'acqua dolce e chiara". Dopo un bel po' di anni, però, quel terreno divenne estremamente appetibile agli occhi del colonnello Pyncheon, che cominciò una vera e propria battaglia per scacciare Maule, rivendicando di averlo avuto in concessione dal governo. Maule, testardo, non cedette a chi era più ricco e potente di lui.
Qualche tempo dopo, non senza lo zampino di Pyncheon, Maule venne impiccato per stregoneria, e dal patibolo maledisse il colonnello: "Iddio gli farà bere sangue!"; la maledizione non riuscì però a fermarlo, decise di costruire la sua casa proprio dove sorgeva quella del presunto stregone:
L'edificio avrebbe incluso l'abitazione dello stregone morto e sepolto, offendo così al suo fantasma il privilegio di infestare i nuovi appartamenti, e le stanze in cui i futuri mariti avrebbero portato le loro spose, e dove sarebbero nati i figli della stirpe di Pyncheon.
Non solo il vecchio Maule, ma anche altre presenze nefaste aleggiano non troppo segretamente tra le stanze della casa dei sette abbaini: l'orrifico ritratto del colonnello Pyncheon per sua volontà non poteva essere tolto dalla parete; nel giardino abbandonato, gli unici fiori del giardino incolto sono quelli piantati da un'altra Pyncheon, la giovane Alice, morta in tragiche circostanze:
la maledizione di Maule aveva regnato indisturbata tra le mura della casa. Il cattivo stato delle sue mura è un preciso testimone della decadenza dell'aristocrazia: il primo personaggio in cui il lettore s'imbatte è l'anziana Hepzibah che, nonostante le sue nobili origini e lo scarso fascino che esercita sul prossimo, decide di riaprire la vecchia bottega di quell'enorme casa per guadagnare di che vivere – anche quella funestata dal fantasma di un avaro Pyncheon che si era dato alla vendita e lo si poteva ancora udire contare le monete ogni notte, tanto ne era stato ossessionato da vivo. Hepzibah non è cattiva, ma Hawthorne descrive il suo sguardo arcigno - causato dalla sua miopia – e il suo sentirsi a disagio come negoziante: Hepzibah è pur sempre una nobile isolata dal mondo, chiusa tra quelle mura, una signora che a volte si ritrova a non saper chiedere danaro in cambio della sua merce e la regala:
"Lasciatemi essere una signora ancora un momento" – replicò Hepzibah, con un gesto d'antica maestà, a cui un sorriso malinconico conferiva una specie di grazia. Gli mise in mano i biscotti, ma respinse il compenso. "Una Pyncheon non deve a nessun costo, sotto il tetto dei suoi antenati, accettare del denaro per un tozzo di pane dall'unico amico che ha!"
Un personaggio del tutto positivo è Phoebe, la parente di campagna. Pur essendo nato a Salem, anche Hawthorne da giovane aveva passato molti anni in campagna e sembra proprio che lei abbia in sé tutta la genuinità di quei luoghi, la semplicità e la gentilezza inalterata, nei modi, da una discendenza nobile. Con lei la casa dei sette abbaini respira gioventù, la bottega e le vendite traggono benefici dalla sua presenza, ma il rapporto con la casa e i suoi abitanti non è proprio quieto, Phoebe ammette quanto quella permanenza l'abbia cambiata:
"Ah, povera me! [...] Non sarò più così allegra com'ero prima di conoscere la cugina Hepzibah e il povero cugino Clifford! Sono diventata molto più vecchia, in questo poco tempo. Più vecchia, e, spero, più saggia, e...non proprio più triste, ma certamente il mio spirito ha perso la metà della sua leggerezza! Io ho donato a loro il mio sole, e sono contenta d'averlo fatto; ma naturalmente non posso darlo e tenerlo contemporaneamente. Ma dopotutto, che se lo tengano pure!"
Di questo romanzo è stato scritto che manifesta una certa critica nei confronti nell'America, che per Hawthorne non possedeva esattamente la connotazione del nuovo mondo, piuttosto portava addosso gli effetti negativi della campagna puritana.
Per chi legga con particolare attenzione rivolta agli spazi in cui si svolge la trama, La casa dei sette abbaini resta un romanzo molto interessante, benché la storia si svolga sempre nello stesso luogo, ed è interessante notare il modo in cui l'autore descrive la casa come fosse viva, come se possa davvero essere impregnata di tutto quello che è accaduto fra le sue mura:
Tante e tanto diverse erano le esperienze che là erano state vissute, così tanto vi si era sofferto e, a volte, anche gioito, che il legno stesso di cui era fatta pareva trasudare gli umori di un cuore umano.
La casa, seppur teatro di morti misteriose di abitanti che hanno ingoiato sangue come Maule aveva maledetto, assume qui una connotazione quasi positiva.
Un personaggio particolare è Holgrave, un dagherrotipista che occupa una delle stanze della casa. Senza mai avere una dimora fissa e con idee tutte sue, Holgrave è affascinato da Phoebe, Hawthorne non lesina di raccontare minuziosamente le loro chiacchierate, le loro riflessioni. Il giovane è un convinto anticonformista, fiero di non aver radici:
"Prendiamo pure questa vecchia casa Pyncheon! Vi pare che sia un posto salubre in cui vivere, con i suoi spioventi neri, e il verde muschio che sta lì a dimostrare quanta umidità ne trasuda; con le sue stanze scure e spoglie, con tutta quella sporcizia e quello squallore, che altro non sono che la cristallizzazione sui muri dei fiati umani che vi furono esalati nel malumore e nell'angoscia?"
Tra le righe, inoltre, si intuisce, da parte dell'autore, una critica alla proprietà immobiliare, al suo peso:
"Quel che chiamiamo proprietà immobiliare – il solido terreno su cui costruire una casa – costituisce le estese fondamenta su cui posano quasi tutti i peccati di questo mondo. Un uomo potrà commettere praticamente qualunque ingiustizia, accatasterà un'immensa pila di misfatti, dura come il granito, e che come tale gli peserà sull'anima per l'eternità, e tutto questo solo per costruire una grande, cupa, buia dimora, per morirci dentro lui, e perché la sua discendenza ci viva infelice. "
In questo contesto l'autore si riferisce alla prepotenza con la quale Pyncheon strappa la terra ad un poveraccio, errore che ricadrà su tutta la sua discendenza, come vuole la morale che Hawthorne indica con chiarezza nella breve prefazione al suo romanzo:
[...] gli errori di una generazione sopravvivono in quelle successive [...]

...nessun grave errore, commesso o subìto nella nostra vita mortale, viene mai realmente raddrizzato.
L'unica eccezione a queste regole sembra essere l'intervento da parte di chi, pur essendo parte della famiglia, non ci è cresciuta a diretto contatto, estranea alla nobiltà e alle sue leggi: l'arrivo di Phoebe rende plausibile persino il lieto fine, lontano però dalla casa dei sette abbaini.
Per chi, dopo aver finito di leggere un libro, desidera ritrovare nella realtà qualcosa che glielo possa ricordare, diciamo una piccola curiosità: la casa dei sette abbaini esiste davvero, a Salem, oggi è sede di un museo.