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Riconsiderare l'eutanasìa di un amore

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Eutanasìa di un amore
di Giorgio Saviane
Rizzoli, Milano 1976

Nel '76 uscì un libro che fece molto parlare di sè: il titolo provocatorio, la materia eroticheggiante trattata con disinvoltura, l'apparente facilità di lettura gli valsero il XXV Premio Bancarella l'anno successivo. Attirò anche l'attenzione del regista Enrico Maria Salerno, che nel '78 portò nelle sale la riduzione cinematografica con Ornella Muti e Tony Musante per protagonisti. In poco tempo, il libro divenne un bestseller, ma offrì anche parecchi spunti di discussione, a quanto mi dicono. A facilitare l'acquisto e la lettura del romanzo, è l'alto tasso di digeribilità delle prime pagine (e, in generale, della prima delle tre sezioni in cui è divisa l'opera). 

La scena iniziale è un già visto/sentito addio amoroso: la bella Sena, donna dall'altezza e dall'alterigia non comune, abbandona a un semaforo il suo compagno, Paolo, dopo dieci anni di relazione. Sia chiaro: relazione accettata dagli amici comuni, dai conoscenti, ma rifuggita dai protagonisti, desiderosi di sfuggire alle regole della società borghese. Quindi: nessuna convivenza, nessun legame o vincolo riconosciuto (Paolo è stato insegnante di Sena all'Università, e ancora non vuole che si diffondano pettegolezzi), nessuna progettualità familiare; stare insieme per scelta, con la libertà di alcuni flirt qui e là., senza far parlare di sé. Ma qualcosa di forse imperdonabile ha scalfito e poi rotto l'equilibrio della coppia, una colpa che Sena imputa totalmente a Paolo, il quale, del tutto ignaro, si strugge e cerca di recuperare la donna amata.
I dialoghi rapidi, quasi mai introdotti, le scene con zoomate particolarmente filmiche e lo sfondo onnipresente di Firenze sono accompagnati dal perenne scandaglio del pensiero. La trama, inizialmente esile, cresce via via alimentandosi di riflessioni, dubbi, domande, ipotesi, reazioni dei protagonisti, che prendono liberamente la parola in una libera polifonia, che alterna la voce dei personaggi a quella di un narratore esterno (molto simile a quella voce fuoricampo che accompagnava e introduceva tante pellicole coeve). In questo modo, ci si addentra efficacemente nelle incoerenze di Sena, convinta di voler vivere senza Paolo e tuttavia incapace di staccarsi dal passato comune; e l'insistenza ossessiva, a tratti nevrotica, di Paolo, che somatizza l'abbandono e decade fisicamente e mentalmente. 


Quel che più sconvolge, è la violenta e onnipresente spinta edipica che lega Paolo a Sena, una vena sempre più pulsante a mano a mano che ci si avvicina al cuore dell'azione: l'amante-madre appare insostituibile, e la sua perdita è inaccettabile; orgoglio e dignità non possono nulla contro il timore dell'abbandono definitivo. Freud, presente fin dall'epigrafe in apertura della prima sezione ("gli uomini non possono restare bambini per sempre, devono andare ad affrontare la 'vita ostile'"), è la matrice sottoerranea (addirittura la sinopia forse?) dell'intera opera. Goffo e frustrante è infatti il tentativo di Paolo di fare l'amore con un'altra donna, mentre nella sua mente ogni amplesso con Sena ripropone distortamente il momento della propria nascita, e per questo si connota di spontaneità.
Inoltre, è interessante il perfetto spaccato che l'autore dà dell'amicizia: gli amici comuni diventano intermediari, confidenti, complici di uno e nemici dell'altra (e viceversa); spesso non capiscono, né agiscono nel modo corretto, ma sono onnipresenti con i loro consigli, le cene organizzate per una rappacificazione,... Ben poco appare della loro vita privata: davanti al dramma personale, i due protagonisti (e Paolo in particolare) si dimostrano invidiosi della quotidianità altrui, perfino dei litigi o delle incomprensioni che tengono comunque uniti gli amici.

Del tutto inaspettata e, d'altra parte, imprevedibile, la svolta della terza parte. E la vicenda si scioglie dopo notevoli tensioni, con un finale simil-aperto, particolarmente diffuso negli anni '70, ma ancora molto attuale. Attuale, appunto: questo rende l'opera estremamente all'avanguaria per l'epoca e disperatamente realistica e verosimile nel Duemila. Aggiungo un'altra argomentazione che, per quanto esterna e apparentemente superficiale, può essere utile: il libro è veramente avvincente anche per i più scettici alla lettura di romanzi sentimentali. Concludo con l'invito a scavare a fondo nelle pagine, e a constatare quante volte si sussurri appena "è successo anche a me" o "l'ho pensato anch'io". In questa comunione di intenti e di esperienze si realizza un'opera dalla capacità comunicativa elevatissima. Non resta che confrontarlo con il film.

Gloria M. Ghioni

(Con profondo sgomento ho scoperto ora che il libro è attualmente fuori-catalogo presso la BUR e, probabilmente, reperibile solo in biblioteca. Non aggiungo polemiche facilmente immaginabili).