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Letteratura estiva

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Daniel Chavarrìa

La sesta isola


295 pp. ca

Edizioni Net

7,80€



Estremamente scorrevole. Ho reperito questo libro nell'ennesimo mercatino dell'usato, in piena villeggiatura e subito l'ho adottato (insieme ad un'altra decina di orfanelli) anteponendolo a letture sicuramente più noiose (e non me ne voglia Moravia!). Daniel Chavarrìa, autore cubano e cittadino uruguajo, come lui stesso ama definirsi, racchiude in sé due grandissime qualità per un narratore contemporaneo: l'esperienza e la capacità quasi conseguente ma non sempre scontata di metterla per iscritto, darle un'ordine e senza consumarne l'inchiostro tracciare tutti i ghirigori della propria fantasia. Per il piacere di scrivere, quella penna che sembra agitarsi motu proprio sotto i dettami di un divertimento puramente letterario, tipica di una certa tipologia di letteratura "leggera" e d'intrattenimento, potrebbe essere accostato all'italianissimo Emilio, padre di Sandokan e del corsaro nero, all'anagrafe Salgari. Il condizionale è però d'obbligo: i contesti narrativi sicuramente in un certo qual modo simili (ladri, pirati, picari e forte caratterizzazione storico-ambientale) hanno la clausola dell'esperienza in Chavarrìa lì dove Salgari si limita a studi e fantasia, in un mondo non più reale. Onori ad entrambi gli autori in ogni caso. L'uruguajo ha dalla sua anni passati tra tanti lavori, luoghi ed occupazioni, di cui inevitabilmente risente il suo protagonista. In virtù di questo assolutamente non è un visionario, come spesso lo definiscono. Si avverte poi, impalpabile, ne "La sesta isola" la rinuncia a qualsiasi artificio letterario che possa trasformare queste piacevolissime 295 pagine da letteratura d'intrattenimento proprio e del lettore (immagino che Chavarrìa si sia divertito non poco ad elaborare una simile trama) in carta straccia prodotta in tot pagine (magari a caratteri cubitali) solo in funzione del prezzo di copertina e del nomeautore-titolo-recensione-immaginedicopertina-trama più adatto a spillar soldi. In verità la struttura del romanzo risulta abbastanza caotica, con l'introduzione in parallelo di più fili narrativi tanto in terza quanto in prima persona, con il prevalere di quest'ultima con l'incalzare delle pagine. La trama reale, le informazioni strettamente necessarie che diano un senso all'insieme, sono riscontrabili solo nell'ultima parte di questo libro, riducendo le duecento e passa pagine precedenti ad un corollario non inutile, ma paragonabile ad un pranzo nuziale consumato in attesa della torta con i simpatici sposini di plastica: un qualcosa di preannunciato dalla circostanza, in questo caso dal titolo e dai commenti di copertina (superflui a mio parere), e di cui quasi si inizia a disperare, dato il drammatico ritardo. Un rischio nel leggere questo funambolico volume risiede nel tentare di sottovalutarlo e magari superficialmente andare dritti alla conclusione della vicenda tralasciando che non è importante tanto la meta quanto il viaggio, il modo in cui si giunge ad un approdo sicuro. E tra verità e menzogne, interessanti riflessioni, digressioni teologico-filosofiche ed excursus di viaggi, furti, uccisioni e scorrerie, si potrà apprezzare il sapore di una scrittura limpida e genuina, non eccessivamente elucubrata, dal gusto inconfondibilmente latino-americano, con un occhiolino al mondo classico.

Adriano Morea