in

Demiurgo dei giorni nostri

- -

Gocce dall’Infinito
di Vito junior Ceravolo
Empoli, Ibiskos Editrice, 2005

pp. 69
€ 10.00

Anche l’Infinito si veste di risoluzione… Con queste parole, explicit della poesia prefatoria, il giovane poeta (1978) permette di accostarsi subito alla propria poesia, strumento per raggiungere l’inconoscibile e tramutarlo in verso. Siamo davanti a una poesia che non ha paura di definire, né di caricarsi di quel ruolo demiurgico a cui allude anche l’introduzione di Monia B. Balsamello. Il poeta, entusiasta scopritore del mondo e oltre, offre il risultato dei propri voli - pindarici o meno – al lettore, a cui dedica l’opera. È infatti tutto un tendersi verso, un desiderio di arrivare, e di non esaurire la comunicazione con il termine del componimento.

Grandi sentimenti d’eternità e il desiderio di valicare i limiti del conosciuto, il contrasto rappacificato tra vita e morte sembrano riportare alle tradizioni orientali dei saggi zen: non mancano pertanto parecchie allusioni alla luce, che non si stempera, ma illumina con un particolare gusto coloristico, come nella poesia Mediterraneo:

Sopra la luna
rischiara le stelle
come il gran sole
d’un rosso splendente

Sotto il blu mare
riflette il colore
d’un giorno finito
infinito d’amore


Amore. Amore che spesso compare, ma senza angoscia, nonostante la donna ritratta sia una presenza evanescente, mai raggiungibile, ora perché rifugge il sentimento, ora perché è assente. Non sembra però bloccare l’itinerario del poeta: è compagna, non signora, e per questo è presenza desiderata, non Musa fondamentale al canto. Anche davanti alla delusione, il poeta non s’arrende. E, allo stesso modo, non c’è timore nell’affrontare la vita, né insicurezza: pochi sono gli aggettivi qualificativi, tante le poesie scevre da immagini. Spesso invece sono gli aforismi a farsi spazio, smontando paradossi o appoggiandosi ad antitesi o a giochi di parole. Vi propongo a questo proposito l’Aforisma (del volo):

Tutto è eterno.
Niente è mai esistito

ogni cosa è materiale
ogni cosa è astratta

ogni Dio è vero
ogni dio è pura fantasia

E’ solo il nostro cuore e la nostra mente
A farci decidere quale,
fra tutte queste, è la nostra verità.


Questo componimento semplifica alcuni caratteri costanti nella poetica di Ceravolo: è evidente la tendenza al minimalismo verbale, l’assenza di aggettivazione e un certo andamento iterativo e definitorio. Ma è qui che ci si sbaglia: il poeta non impone una realtà, ma anzi invita attraverso queste incalzanti antitesi (sottolineate dall’anafora martellante di “ogni”) a scegliere la propria verità, attraverso sentimento e ragione.
Troviamo inoltre un’altra componente fondamentale: l’uso o meno della maiuscola e delle parentesi per il titolo. Vito Ceravolo sperimenta senza timore di violare gli usi più tradizionali: spesso sono proprio le maiuscole a creare giochi linguistici, come in estrapolando La nota, di cui leggiamo l’inizio:

SIlenzio in arsura
da sinuSOidaLe sFerA
satura isotropica
battuta

curva sgorgante
il nettaRe sonoro
di-vino


Per quanto riguarda il sopraccennato uso della parentesi, basta consultare l’indice per accorgersi di quanto siano sfruttate per adombrare i titoli. Ma risultano così davvero adombrati? Sappiamo che nel corso del Novecento, la parentesi, come gli altri segni di interpunzione, è stata investita di un nuovo ruolo: provocatoriamente, Vito sembra qui suggerire tra parentesi una possibile chiave di lettura della poesia a venire, ma senza volerla imporre con la prepotenza di un normale titolo. Lo stesso spazio bianco del foglio viene gestito come una realtà da possedere, dividendo la silloge in sezioni che andrebbero tutte indagate.

Gloria M. Ghioni