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Conoscenza e possesso della vita in un’opera da (ri)scoprire

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Titolo: Il giudizio della sera
Autore: Sebastiano Addamo
Curatore: Sarah Zappulla Muscarà
Editore: Bompiani
Dati: XIV, 160 pp.
Prezzo: 8,60 €

Il romanzo è un’architettura composita, che consente diversi livelli di analisi: una vera avventura letteraria che è tanto più una conquista quanto è autoconsapevole, onesta, libera da pregiudizi. Superata la separazione manualistica tra Contenuto, Poetica e Stile, il lettore attento si renderà conto quanto i famosi “livelli di analisi” si compenetrino in una sintesi ricca, esplosiva: le simbologie si nutrono di parole, le idee sono dialoghi o lunghe digressioni – e mai entità avulse dal testo, estranee ed autosufficienti.

Questa riflessione è d’obbligo, prima di parlare de Il giudizio della sera (1974). Primo romanzo del catanese Sebastiano Addamo, dopo la prova narrativa con i racconti di Violetta (1963), riprende la lunga tradizione del Bildungsroman, tanto cara agli scrittori siciliani del ‘900. L’adolescenza e il suo carico di emozioni e contraddizioni, infatti, diventa il punto privilegiato per fotografare un’epoca intera, nel suo ribollire convulso e dialettico di opposti.

La Catania che ci offre Addamo nel suo romanzo prende corpo, così, come una creatura immensa, come la padrona dell’appartamento in cui Gino e i suoi amici si trasferiranno per frequentare il liceo, sordida e “meravigliosa” della meraviglia composita – orrore ed estasi – che è propria della vita. Una Catania bifronte, dunque. L’attenzione di Addamo, infatti, non si ferma ai quartieri “asettici” della Catania bene: l’autore indaga soprattutto il “rumore pulsante della vita” proprio di strade come via delle Finanze, via Rapisarda, via Maddem, via Di Sangiuliano. Su queste strade, popolate di prostitute, si riversa l’entusiasmo dei giovani protagonisti, che nell’autunno del 1940 intraprendono un processo di crescita attraverso questo intrico di vicoli e di vita “che si avviluppava intorno a noi, che le nostre veglie e l’attesa ampliavano e trasformavano fino a crearne una nuova, fantastica e reale soltanto per noi”.

La crescita di Gino e i suoi amici si realizza in concomitanza alla seconda guerra mondiale, al suo riversarsi sulle strade e insozzare, letteralmente, una città prima “tenera e profonda”. Della meraviglia resta l’abisso, e la crescita non può che avvenire scavando nei bassifondi della città, e nei primordi della sensibilità umana. L’arrivo dei ragazzi in via delle Finanze, durante il primo bombardamento, ha tutto il sapore di un’iniziazione rituale, come una discesa agli inferi.
Crescere, per i ragazzi di Addamo – e per Addamo stesso, come vedremo poi – significa conoscere, e attraverso la conoscenza possedere. Questi due concetti sono fondamentali, e non soltanto perché si tratta di un romanzo di formazione: come ne Il bell’Antonio di Vitaliano Brancati, la società in cui si muovono i ragazzi è una società (apparentemente) virile in cui “noi non pensavamo, non agivamo, e il pensiero e l’azione si concretavano nel sesso, o nel suo mito”. Possedere, dominare è l’ossessione dell’uomo che non domina, non possiede sé stesso.

Per Addamo la conoscenza è un processo, prima che cognitivo, sensoriale. Ogni entità – che sia un uomo o un luogo, la guerra o la propria casa – è identificata attraverso un odore particolare e inconfondibile: “assorbivamo l’odore della casa e del vicolo e del quartiere come se il naso, che è veicolo o tramite si fosse per noi tramutato in mezzo di possesso e di dominio”. Un indizio: la stessa parola “odore” compare nel testo 48 volte, senza contare tutto ciò che appartiene all’area semantica dell’olfatto. Sentore, lezzo, puzzo, fetore: i termini ricorrono ossessivamente, e gli odori stessi si caricano di arcani simbolismi. L’abbrutimento della guerra, ad esempio, è l’odore di escrementi umani che si addensa per le strade, che invade le anime cancellando qualsiasi speranza.

Il nucleo del romanzo risale al 1968, anno in cui Addamo lo inviò – si sarebbe trattato di un racconto lungo – a Einaudi, che rifiutò di curarne la pubblicazione. Tra il 1968 e il 1974 Addamo apportò delle modifiche sostanziali all’opera, che ne cambiarono la prospettiva e il significato: trasformò il narratore conferendogli la maturità di un adulto che osserva (e giudica) il proprio passato, e aggiunse delle importanti digressioni tra parentesi che assestarono la narrazione in un nuovo equilibrio, più riflessivo e consapevole. Consapevolezza che si concreta nel riferimento finale alla “età del parricidio”, passaggio crudele ma necessario per la crescita.

Dopo il discreto successo del 1974, dopo quasi trentacinque anni si è ritenuto necessario riportare sugli scaffali delle librerie Il giudizio della sera. Il romanzo è stato ripubblicato dalla Bompiani, nel 2008, in un’edizione a cura della prof.ssa Zappulla Muscarà, ordinaria di Letteratura Italiana dell’Università di Catania. Qui, nell’Auditorium De Carlo presso la facoltà di Lettere e Filosofia, l’11/11/2008 si è tenuta la presentazione del romanzo, con interventi del Preside Enrico Iachello e del prof. Salvatore Nigro, ordinario di Letteratura Italiana moderna e contemporanea presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e la lettura di alcuni passi da parte dell’attore Pippo Pattavina.

Un'opera da (ri)scoprire, dunque, finalmente riconosciua come quadro rappresentativo di un’epoca (il fascismo e la seconda guerra mondiale in Sicilia), di determinate fette sociali (la piccola borghesia lentinese, l’ambiente popolare catanese) e, in genere, di una inconfondibile sicilianità ripresa con romantica nostalgia.

Laura Ingallinella
in foto: (1) l'edizione Bompiani del 2008, (2) l'edizione Garzanti del 1974