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Un pensiero critico sul teatro dell'assurdo

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“Non posso spiegare le mie opere. Ciascuno deve trovare per sé cosa significano.” disse Samuel Beckett interrogato riguardo ad “Aspettando Godot”. E ciò che segue è la mia personale interpretazione di quest’opera. E’ inutile descrivere la trama, poiché non c’è una vera e propria trama in “Aspettando Godot”. E’ un’opera riguardante il Nulla, in cui il vero protagonista è il Nulla. Vladimir ed Estragon, o come si chiamano tra loro Didi e Gogo, sono due uomini alle prese con l’assurdità della loro vita. Rappresentano il tipico uomo borghese che è a conoscenza del problema di vivere e anche dell’impossibilità di trovarvi una soluzione. Mancano di proposte ed obiettivi, semplicemente cercano il modo di passare il tempo. L’ambientazione è alquanto povera: una terra desolata (potrebbe essere ricondotta a quella di T.S.Eliot), un masso e un albero. Quest’ultimo è la cosa più importante sullo sfondo perché rappresenta l’Albero della Vita del Giardino dell’Eden. E’ scritto: “Il Signore Dio disse allora – ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora egli non stenda più la mano e non prenda anche dall’albero della vita, ne mangi e viva sempre!-“ (Genesi 3,22). Didi, Gogo, ma anche Pozzo e Lucky (lì riprenderò dettagliatamente più tardi) sono tutti vicini al vero senso della vita che, secondo Beckett, è semplicemente niente. Ciò viene messo in evidenza dall’albero, probabilmente un salice, che è spoglio e scheletrico, come la vita umana. Sulle orme di Friedrich Nietzsche, Beckett spiega il mondo reso in macerie dalle idee e dal troppo pensare. E così seguendo le teorie dell’alienazione proposte da Feuerbach (alienazione religiosa) e Marx (alienazione politica e lavorativa) l’autore costruisce i suoi personaggi: Vladimir ed Estragon stanno aspettando un piccolo dio (Godot= God, cioè dio, + ot che è una particella diminutiva in francese) che sia capace di salvarli dal Nulla. Essi non possono fare niente con un vero impatto nella realtà da soli e sono solo in grado di cianciare e di ripetere le stesse azioni all’infinito. Vladimir è più pratico mentre Estragon è oppresso da incubi ad occhi aperti e gente che lo picchia. Entrambi aspettano Godot, perché non sono capaci di prendere nessuna decisione da soli, cercando di esorcizzare il Nulla e la loro inettitudine con le parole, ma senza pensarci su. Così il loro è solo un chiacchiericcio incoerente che è molto lontano dal vero aspetto del mondo (sia contro il motto cartesiano, cogito ergo sum, che contro lo spinoziano "nomina sunt substantia rerum"). Per sintetizzare: sono troppo occupati a parlare e ad avere a che fare con le idee per fare qualsiasi azione valida. Questo è uno dei problemi dell’uomo contemporaneo. D’altra parte, Lucky e Pozzo sono persone che finalmente hanno smesso di aspettare e hanno iniziato ad essere coinvolti in una specie di “materialismo umano”, che rappresenta la relazione ambigua di lotta e necessità reciproca tra i capitalisti (Pozzo) e i proletari (Lucky). Mentre Didi e Gogo sono persi tra le loro parole, Lucky e Pozzo sono smarriti nel mondo materiale dell’economia e delle merci, che è solo un altro modo per scappare dal Nulla. Ma è del tutto inutile. Il tempo, come ricorda la canzone di Estragon all’inizio del secondo atto, è circolare e le cose fatte si ripeteranno nel futuro quasi allo stesso modo. E contro il Nulla e l’inettitudine i personaggi di Beckett non trovano nessuna soluzione, mettendo in scena adeguatamente la situazione di inerzia e apatia dell’uomo contemporaneo che non vuole e non riesce a fare niente senza un aiuto (Godot) o un capo (Pozzo), cercando un significato lì dove non c’è.