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Il ritorno di Besson

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L'amico di Marcèl Proust
di Philippe Besson
Guanda, 2007

Ecco il ritorno di Philippe Besson dopo un anno circa di silenzio. Un ritorno che è stato acclamato da parte di giornali letterari quali l’Express, o i francesi Le Monde des livres o Magazine Littéraire.
Parlano di un'illuminazione, di un racconto pudico a proposito di un argomento spinoso come era la omosessualità nei primi anni del Novecento. L’autore si destreggia bene tra emozioni e sensazioni che accompagnano l’iniziazione del sedicenne Vincent de l’Etoile all’amore e alla vita sessuale, alla guerra, all’amicizia, alla frequentazione dei prestigiosi salotti parigini. Proprio in uno di questi salotti, Besson fa crescere l’amicizia ambigua con l’esimio scrittore Marcel Proust, disincantato rappresentante di un uomo che guarda al passato, sempre. Accanto a questo rapporto, del tutto sbilanciato, vista la differenza d’età di trent’anni, Vincent trova l’amore con Arthur, figlio della sua governante, in licenza per una settimana. Infatti, su questi sette giorni d’amore, grava costantemente il timore della guerra, le grettezze che ogni soldato è costretto a compiere, l’ansia e l’angoscia di ogni morte. La dimensione narrativa di questi sette giorni è dilatata, occupa la sezione maggiore del libro, per presentare i personaggi e l’amore che, senza chiedere niente, prende il sopravvento nel protagonista.
A livello stilistico, Besson decide di creare un romanzo tripartito, per meglio presentare le diverse prospettive. La prima parte, intitolata “l’offerta dei corpi”, è affidata alla scrittura di Vincent, che segna su un quaderno-diario i passaggi più significativi dei due incontri: svolto in prima persona, Vincent si rivolge ora al giovane Arthur, ora a Marcel, con un continuo spostamento di destinatario. “Separazione di corpi”: un titolo significativo per la seconda parte, in cui sono raccolte lettere tra Arthur e Vincent, e tra Vincent e Marcel, occupando sostanzialmente oltre un mese di tempo.
Le lettere occupano una breve parte del libro, fino alla triste verità che concluderà amaramente e laconicamente questa parte, per introdurre all’ultima, intitolata “A corpo morto”. Quest’ultima sezione è dedicata al dialogo tra Vincent e la madre di Arthur, dilaniata dal dolore. Una parte piena di pathos, accresciuto dall’iterazione di “La madre è qui” a inizio di periodo. La madre di Arthur però non è la figura topica di madre inconsolabile, ma, al contrario, trova da questa circostanza la forza per parlare un’ultima volta (“a voi voglio parlare. E, dopo, non parlerò mai più. Non dirò più una parola”). Dopo una breve conversazione a proposito dell’amore tra il figlio e Vincent, la donna confessa un segreto che aveva serbato in sé da vent’anni. Un segreto che lascerà al lettore ben poco tempo per abituarsi a questo cambiamento di scena, ma davvero ben strutturato.
Personalmente, la forma che Besson utilizza in questo libro mi lascia perplessa, in modo particolare per la sezione epistolare: le lettere hanno poca profondità, sono poco caratterizzate, al punto da faticare a riconoscere i diversi mittenti, senza guardare prima la firma. Gli stili, che dovrebbero ovviamente essere diversissimi (parliamo di uno scrittore come Proust, di un sedicenne di buona famiglia e di un ventenne poco letterato), in realtà si camuffano fin troppo. Anche per quanto riguarda i dialoghi, bisogna prestare molta attenzione alle frasi banali, sfrondarle una dopo l’altra per trovare perle di letteratura piuttosto carine e inusuali: tuttavia, l’impressione che ne ho ricevuta, è un “così-così” che mi trovo a trascrivere, con un poco di delusione.
G. M. G.
La frase che ho preferito:
“Inseguo gli sguardi dei soldati e mi sforzo di credere che siamo ancora vivi, che potremmo continuare ad essere vivi. Allora piango. Ma nessuno mi prende in giro per questo. In guerra, nessuno prende in giro un uomo che crolla. Si tace, si guarda altrove, si aspetta che il pianto finisca, si resta in silenzio, aspettando la fine del pianto” pag. 120.