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Il Salotto: intervista a Valentino Ronchi

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D: Nel tuo libro, Canzoni di Bella Vita, figurano tantissime donne (Chiara, Rita, Luciana, Patrizia, Barbara, l’amica di Barbara, la biondina di Torino, Marie-Anne, Flaminia, l’amica bionda di Flaminia, Claudia, Marta, Laura – spero di non averne scordata nessuna). Una girandola di nomi e corpi e storie. Questa bella vita, per te, è più una dolce vita o una vita nuova?

R: Ci sono tante donne perché ci sono diversi personaggi, sono sei storie… Ogni personaggio ha la sua bella vita, che sia con la compagna di sempre o con due donne nello stesso letto nello stesso pomeriggio. La bella vita è dunque certo la donna, ma anche in senso più ampio, amare quel che si fa e quel che si sta vivendo.

D: Le canzoni di bella vita usciva quattro anni fa; due anni fa la seconda edizione, rivista e ampliata. “Suonare meglio lo stesso strumento” scrivi in una nota al testo: ci fai un esempio di cosa hai cambiato (una variante per i nostri amici filologi)?

R: All’inizio di ogni cosa sei, diciamo così, titubante e finisci per ostentare la tua preparazione, le tue qualità. Dopo viene tutto più semplice, le stesse cose che dicevi le dici meglio, in maniera più naturale. Non ti faccio un esempio, prima di dover scoprire con te che era meglio la versione precedente, ma mi ricordo che Felice Accame (una delle tre persone che hanno effettivamente letto Canzoni esclusi forse moglie e parenti) quando presentò la prima edizione, a un certo punto mise a confronto una versione di una mia poesia che aveva trovato in rete con quella stampata e disse che ero andato in direzione di una apparente semplificazione. Ed eravamo solo alla prima edizione, la stessa poesia – e con lei le altre – è cambiata ancora…

D: Qual è il tuo punto di vista sull’editoria di poesia, da particolarissimo addetto ai lavori – da una parte curatore della collana Festival per Lampi di Stampa e cacciatore di libri antichi dall’altra.

R: Da cacciatore e venditore di libri del Novecento conosco le Collane e i libri che negli anni hanno resistito diventando ora ricercati, dalle uscite solitarie, come Fiore che Lalla Romano fece stampare da Frassinelli a sue spese per poi mandarlo piccata all’Einaudi che l’aveva rifiutato, alle grandi collane, come la Rebellato o la Forum, che stabilito un criterio minimo di qualità, pubblicavano tantissimi autori, come per esempio fa oggi Lietocolle, dei quali pochi poi sarebbero “rimasti”. Così mi diverto a indovinare chi prenderà valore col tempo, fra i poeti che hanno pubblicato negli anni settanta fino ai giorni nostri. Quanto invece alla Collana Festival che fino ad oggi ho diretto per Lampi di stampa, contiene sicuramente almeno tre libri destinati a restare, ne sono sicuro e ne vado fiero. Per questo devo anche farmene una scorta come libraio… Ma, e forse qui rispondo meglio alla tua domanda, della mia collana mi piace che non gravi sul portafoglio dell’autore: lampi di stampa è stato fra i primi editori a lavorare col print on demand, io ho solo applicato questo metodo distributivo e produttivo al settore che secondo me più ne abbisogna, proprio la poesia. Se uno vuole il tuo libro a Palermo o a Roma, lo ordina e viene stampato e portato in libreria, ma l’autore non si sobbarca inutili distribuzioni infruttuose e deprimenti, fatte di libri lasciati nei sotto scaffali giusto per far dire all’editore che i tuoi libri sono in tal libreria.

D: Dall’Odissea, a Walden e il Canto d’amore di J. Alfred Prufrock, a Silvio Giussani e Piero Ciampi, a Lévinas e, soprattutto Jankélévitch. Come usi gli eserghi, come integri i testi altrui nei tuoi?

R: Jankélévitch parlava e scriveva in maniera straordinaria, con termini filosofici e filosofici neologismi, e con il sentimento e l’ardore di chi è totalmente immerso in ciò di cui sta parlando, la vita. È stato sufficiente ascoltarlo, capirlo e riproporlo in un contesto. Gli altri sono principalmente amori, provocazioni e portafortuna.

D: Tra i giudizi negativi in cui ho avuto la ventura di imbattermi sulla tua poesia, eccone alcuni: “poesia giovanile, diaristica, praticamente prosa tagliata in versi, un neocrepuscolarismo povero di contenuti, spessore e originalità”; “una poesia di mercato dettata dal fatto che arriva facile ad un pubblico facile, e quindi vende facile”; “la sovrastruttura pare quella di un io in realtà abbastanza statico e prevedibile”.

R: Ho avuto critiche positive egualmente superficiali. Non ti leggono quelli che ti criticano, non ti leggono quelli che ti incensano.
D: In Queste sera d’estate usciamo dopo la cena e (Primavera in Ancona) e (Barbara e l’amica sua) ci sono brevi inserti dialettali (“le mani ‘nte la maglia”), non solo nelle battute di dialogo. Che funzione ha questa, per quanto minima, insorgenza del dialetto?

R: Estate semplice è la sezione in cui l’io è il più giovane del libro e la sua storia si svolge ad Ancona. Si tratta più di una cadenza che di un dialetto, di un declinare la frase, che ogni anconetano ha. Meno impegnativo di un dialetto, ma egualmente evocativo. Non avrei potuto scriverla in italiano.

D: Ci leggi una tua poesia?

R: Ti leggo questa, non si trova nel libro ma tu potrai capire perché te la leggo. Attenzione però, non fa riferimento a questa precisa estate politica, ma sicuramente ad una qualsiasi degli ultimi anni…

L’estate a Parigi di mio fratello

Il pericolo che l’educazione politica si converta in un dressage
psichico messo in opera da astuti e cinici giocatori della politica
è un pericolo reale e imminente.

Remo Cantoni in Almanacco letterario Bompiani 1959 (sic!).


Sono contento tu sia a Parigi,
qui sono brutte giornate nonostante l’estate
tira una brutta aria si ascoltano
solo autorevoli pessime parole (e tu lo sai
che per me le parole contano)

così per non sentirne più mi rifugio
queste sere in un borgo di due case e rane
a imprecare a scopa coi vecchi
rientrando solo quando è tardi. Ma

dimmi invece di te delle ragazze
che nei parchi leggono scalze,
dei librivendoli lungo il fiume,
nei dettagli di cosa stai studiando - se ti va -

e dei discorsi che fate al mattino
nell’università, nel caffè affollato.
Scrivimi di te mi raccomando
e ritarda se ti riesce più che puoi
il tuo ritorno.